Outdoor education, città educative, patti territoriali, scuole aperte e partecipate… Questo, malgrado tutto, è il tempo per mettere in comune idee e percorsi con cui ripensare territori e forme di apprendimento. Appunti da un workshop dedicato a chi non rinuncia a dare priorità a infanzia e adolescenza

Parco dell’appia antica, ex Cartiera Latina di Roma, Think Green Ecofestival: siamo tutti presenti per il workshop ecologico interattivo sui servizi per l’infanzia e l’adolescenza. Un gruppo di convinte e dedicati, che copre istituzioni scuole, comitati, terzo settore. Il tema è cruciale, difendere la scuola pubblica garantendo il più completo e felice apprendimento di bambini e ragazzi.
In una città che gronda acqua parliamo di come rendere più permeabile il sistema dell’educazione, appellandoci alla Comunità educante, base sociale delle Città educative, un’utopia concreta degli anni Novanta che ancora oggi può darci un indirizzo e una progettualità.
Compiamo un percorso a crescere, felici di avere una solida base nella legge regionale sull’infanzia di cui salutiamo l’innovatività dell’articolo 38, sull’outdoor education, nel racconto appassionato di Marta Bonafoni, che l’ha costruito come vorremmo fossero costruite tutte le leggi, ascoltando, limando, proponendo, decidendo con consenso.
Outdoor, fuori porta, che non è il Tuscolo e le fraschette, ma di quelli ha la gioiosità e il senso di libertà, con la scelta forte e condivisa di allargare la superficie di contatto tra l’infanzia e la natura, che vuol dire spostare decine di verbi come “bagnarsi, ruzzolare, cogliere, annusare, infrattarsi, cercare, salire, scivolare, osservare, assorbire, nascondersi, scoprire” dal rifiuto all’immersione. E ce ne parla Francesca Lepori, dell’Asilo nel Bosco della Caffarella, dell’attivazione concentrata di una comunità grande e variegata come quella dei fautori dell’educazione outdoor, nel dialogo con l’istituzione regionale per trasferire l’entusiasmo libertario nel linguaggio della legge; per calare l’intento sperimentale in un riconoscimento che nasce a fronte di precise condizioni e si muove nell’alveo di una metodologia che guida e precisa le scelte corrette.
Inizia da qui, dalla sperimentazione di una educazione in natura per la prima infanzia il nostro giro di tavolo, in una discussione a più voci che parla di responsabilità da rendere condivisa, di linguaggi diversi da ascoltare con attenzione, di un soggetto, il bambino che cresce e si fa adolescente, che non è “un bene” da preservare, ma un essere umano a cui permettere autonomia e sperimentazione, in una spirale crescente di presa di coscienza e di rischio, di guida e di margine di scelta, in un percorso che parte dalla casa e viaggia, per boschi e cortili, verso la città.
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Il contributo di Francesca Vetrugno, assessora alla Scuola dell’VIII Municipio, è la Rete: delle scuole, con l’ente locale, le Asl, le associazioni, un vero patto di territorio che gioca in estate per preparare insieme l’apertura della scuola. Per arrivare a fare è necessario conoscersi e per comunicare con la scuola è essenziale parlare la sua lingua, conoscerne le potenzialità e le carenze, per sostenere le insegnanti nel proprio compito e rasserenare un clima che la pandemia rende delicatissimo e spesso gravoso di responsabilità. Condividere in consapevolezza è il lavoro prezioso che il Municipio riesce a compiere, grazie anche alla profonda conoscenza della scuola, che stenta ancora a comprendere le lingue degli altri.
Ma per imparare le lingue, ci ricorda Diana Cesarin dell’MCE, è fondamentale l’ascolto e il dialogo, che permette di fare comunità, e per tutta la Comunità educante si apre la sfida della crisi che arriva con la pandemia, ma ci da l’occasione di fermare un trend che in crisi già era e al quale non vogliamo tornare. La centralità della scuola pubblica è il pilastro, ma questo non toglie che la scuola per prima debba chiedersi un cambiamento, fatto di consapevolezza, di responsabilità di riconoscimento delle altre componenti educative. Per una scuola immersa nel territorio, in cui siano presenti i corpi di ognuno e che ad ognuno restituisca identità.
E la scuola, con la sua gioiosa attrattiva di relazioni e contenuti è al centro anche del contributo della professoressa Malvina Fiorani che ci ricorda la voglia di apprendere dei ragazzi e ci rivela, dopo l’ubriacatura di tecnologia della Dad, il nuovo desiderio di presenza, di incontro concreto, di scambio reale che le comunicano i suoi ragazzi. Perché lo studio, quando parla alla vita, non è solo nozione, ma anche confronto e guida.
Cosa fare di tutto questo?, si chiede Gianluca Cantisani, storico genitore della Di Donato e Presidente del Movi: una lista di soluzioni. Quando ci confrontiamo con gli altri mettiamo in comune soluzioni, facendolo sistematicamente troviamo anche quelle che funzionano su larga scala. La Comunità Educante è un concetto funzionale, tiene insieme gli attori in scena e permette una condivisione di punti di vista che diffonde consapevolezza e responsabilità, evitando posizioni autocentrate e arroccamenti ingiustificati. In una situazione di incertezza prendere del tempo per narrarsi fa bene. Permette comprensione e scambio di punti di vista, apre al confronto, tiene dentro i genitori e il terzo settore, produce cultura, come il movimento delle scuole aperte e partecipate, da rinforzare e promuovere.
E su questa necessaria fluidità di confronto si appoggia l’ultimo intervento, di Eleonora di Maggio, Responsabile per il CSV Lazio del Progetto Tutti a Scuola finanziato, come per Radici di Comunità con capofila i Cemea, dai bandi di Con i Bambini. Una fluidità che l’azione con gli adolescenti necessita come il pane, ma che la logica sempre più prestazionistica dei progetti, codificati e ingessati fin dall’inizio rende difficile da perseguire. Gli adolescenti, ci ricorda Eleonora, ci inchiodano alla complessità, con quella capacità naturale che hanno di scompaginare, di far saltare il banco, di non fermarsi al ruolo e di volere il confronto con la persona adulta, non per quello che è tenuta a fare, ma per l’autenticità della sua messa in gioco. E allora lo schema non è più quello del progetto confezionato a tavolino, ma della pista aperta, valutata nel percorso e nell’efficacia, ma portata avanti nel confronto e nel coinvolgimento di una comunità educante che riesca a crescere quanto e più dei ragazzi, perché pensata, curata e prevista. Altrimenti gli adulti saranno sempre meno attrezzati dei bambini e delle bambine, visto che loro sono figli a tempo pieno ma i genitori e gli insegnanti no e che, a discapito della differenza di età, vale quanto affermato da Maria Montessori: quando nasce un bambino nascono due genitori.
Abbiamo concluso, non ci resta che ringraziare Francesca Cencetti, organizzatrice del Festival e Valentina Avella, animatrice territoriale del CSV Lazio, attrezzarci per diffondere quanto abbiamo condiviso, c’è stata una bella aria di complicità e abbiamo saputo chiedere agli altri offrendo noi stessi e questo ci dà una pista da seguire. Perché saper parlare di sé anche rivelando le proprie fragilità o incompiutezze potrà essere pericoloso in un confronto tra condottieri, ma rende interessante l’incontro tra persone reali e permette di riconoscersi oltre i ruoli, gli steccati e le siepi. Perfetto per un’educazione all’aperto.