Rifiutare di proporre a scuola un sapere legato al mercato del lavoro non basta. C’è da passare dal sapere trasmesso da parole che rimandano a parole alla costruzione condivisa con gli allievi. È così difficile, ad esempio, scoprire il concetto di temperatura di ebollizione non tramite le espressioni astratte e complicate di un libro ma dall’osservazione dell’acqua che bolle e dalla condivisione della descrizione? Abbiamo sempre più bisogno di una «una “didattica delle cose” – degli eventi, dei fenomeni – come voleva John Dewey, ma con la capacità di dare loro un nome, di collegarle, di andare oltre e più a fondo…», scrive Giuseppe Bagni in Suonare in caso di tristezza. Dialogo sulla scuola e sulla democrazia (scritto con Giuseppe Buondonno ed edito da PM edizioni). Insomma, il sapere deve essere disinteressato ma la scuola deve essere interessante per i ragazzi e le ragazze che la frequentano: questo significa, tra le altre cose, misurarsi con i contesti concreti della vita di ogni giorno, incluso l’universo dei mestieri
Caro Peppino, mi ha molto colpito la tua immagine di una scuola “figlia di un conflitto e madre di un progetto”: è un modo molto poetico e incisivo per ricordare che la sua natura è fatta di “storia e possibilità”, per tornare a Bruner.
Vorrei scavare di più dentro la prospettiva che dobbiamo darci per capire come agire adesso, in questo momento così delicato di ritorno a scuola. Siamo tutt’ora in emergenza e la direzione che sceglieremo per uscirne farà la differenza. Dobbiamo porci un orizzonte di senso per non sentirci prigionieri del presente e delle sue perenni emergenze. Altrimenti si cade in un tecnicismo sterile, che non sposta di una virgola l’idea di scuola che continua a dominare nel Paese e, di conseguenza, nemmeno scalfisce le sue prassi più consolidate.
C’è delusione, e troppe speranze deluse lasciano il segno; ma, senza aver chiaro quale scuola si vuole, le sconfitte sono inevitabili. Non credo che si sia spenta la scintilla collettiva Peppino, se non nella misura obbligata dall’individualismo sfrenato che caratterizza questo nostro tempo. Di fatto, anche ai ragazzi sembra di avere il mondo in palmo di mano (quella che tiene lo smartphone), e riconoscono con sempre minor nitidezza il bisogno di toccare altre mani; la pandemia lo ha fatto diventare un atto addirittura pericoloso, ma per lo meno ne ha fatto sentire la mancanza.
Credo, invece, che il problema più urgente sia nel motore della macchina che la scintilla dovrebbe accendere, che non sa bene dove andare. Dobbiamo “armare” i nostri ragazzi delle competenze necessarie per vincere nella competizione sociale che li attende? Allora il concetto di competenza si declina come valore d’uso immediato del sapere sul mercato del lavoro. Noi non pensiamo questo, ma gran parte della sinistra ha preso questa scorciatoia, senza rendersi conto che non era affatto una scorciatoia per l’innovazione, ma una strada diretta altrove: verso l’asservimento dell’istruzione alle logiche del mercato.
Una parte della sinistra ha invece imboccato la strada della difesa del sapere disinteressato, non legato alle esigenze immediate del mondo del lavoro, senza rendersi conto che era facile scivolare nel sostegno di una scuola tradizionalista e accademica: il sapere può (direi deve) essere disinteressato, ma la scuola deve essere “interessante” per i ragazzi e le ragazze che la frequentano; e questo significa misurarsi con i contesti concreti del vivere e del lavorare, per estrarne quel sapere che ne supera i vincoli. La capacità di astrazione non nasce nell’astrattezza.
Questi che ho tracciato sono entrambi binari morti che deprimono ogni entusiasmo e spengono l’impegno e la partecipazione. Resta la protesta, ma è una reazione sterile che si spegne rapidamente. Ecco perché dobbiamo tenere ben a fuoco il conflitto che la scuola ha rappresentato rispetto all’idea di società del tempo fascista da cui uscivamo, dando sostanza all’articolo 3 della Costituzione; è indispensabile per capire quale strada imboccare, senza cadere in nuovi vicoli ciechi.
Non sto solo pensando ai contenuti delle nostre lezioni: non ne faccio un problema di conoscenze, che certo sono cambiate e stanno cambiando. Qualunque sia la materia che insegniamo, storia letteratura scienze o matematica, c’è uno zoccolo duro di conoscenze che non cambia, ma cambiano i nostri allievi nel modo di apprendere, cambiano i contesti e cambiamo perfino noi, anche se non ce ne accorgiamo. Allora è indispensabile il coraggio di una riflessione sulla efficacia delle prassi di scuola consolidate, resistenti, anche perché ci sono naturali, essendo le stesse della scuola dove siamo cresciuti.
Non voglio farla lunga, dico solo che bisogna passare dal sapere trasmesso da parole che rimandano a parole (vale lo stesso se sono formule matematiche connesse ad altre formule), alla costruzione del sapere – meglio: alla sua autonoma ricostruzione da parte degli allievi – a partire da parole/cose: che cioè siano collegate alla realtà e ci costringano a costruire a scuola situazioni stimolanti.
Ti faccio solo un esempio preso dalle scienze. La definizione che si trova in molti libri di scienze delle medie, per la temperatura di ebollizione è questa: «la temperatura alla quale la tensione di vapore di un liquido eguaglia la pressione esterna e il liquido inizia a bollire». Ma che roba è? Come si può imparare qualcosa andando avanti da una definizione all’altra e per di più incomprensibili? Qui ci sono parole che dovrebbero essere capite grazie ad altre parole ancora più difficili: cos’è la tensione di vapore? Io ho fatto l’esperienza della sua misura al quarto anno di chimica, e in laboratorio riuscì alla metà degli studenti. La pressione atmosferica, poi, si sa che c’è ma nessuno la percepisce, e per misurarla ci volle il genio di Torricelli.
Ma è così difficile trovare il coraggio di far osservare l’acqua che bolle e chiederne la descrizione? Non è già importantissimo portare i nostri allievi dal semplice “vedere” all’osservare? E non c’è tempo, poi, per passare dalla definizione operativa a quella concettuale, nettamente più ricca ovviamente perché generativa di riflessioni e previsioni impossibili altrimenti?
Qualcuno può pensare che questa strada sia stata già percorsa nella stagione dell’attivismo, ma quella si tradusse in gran parte uno sperimentalismo ingenuo, fine a sé stesso, che ha sottovalutato il valore del linguaggio. Il linguaggio non esprime semplicemente, ma sviluppa il pensiero: “il pensiero non si esprime nella parola, ma si realizza nella parola”. In altri termini, io penso a una “didattica delle cose” – degli eventi, dei fenomeni – come voleva John Dewey, ma con la capacità di dare loro un nome, di collegarle, di andare oltre e più a fondo.
Non si riaccende la scintilla se non si sa guardare a una strada nuova, che metta davvero al centro, facendone il suo punto di forza, la consapevolezza e l’intenzionalità i apprendere dei nostri allievi. Oggi, più di ieri, devono essere le prime cosa da stimolare, perché la conoscenza è il frutto di una risposta appassionata cercata dentro di sé. Nessuno impara a sua insaputa. Senza consapevolezza e intenzionalità non si impara nulla, al massimo si può balbettare le risposte che la scuola vuole sentire. Adottare questo punto di vista è, secondo me, l’unico modo di sfuggire, da una parte a una visione nostalgica e restauratrice, e dall’altro a sposare l’innovazione qualunque essa sia. Conservare i valori tradizionali non obbliga ad essere conservatori.
Va bene, l’ho fatta lunga e non sono riuscito ad evitare di tornare alla mia diretta esperienza di scuola, ma ormai nella nostra corrispondenza i nostri reciproci ruoli sono chiari: tu sei quello che vola alto come l’aquilone e io il filo che lo tiene a terra!
Un abbraccio forte.
Titolo originale completo Sapere disinteressato in una scuola interessante.
PIERA dice
…sapere disinteressato ma
” interessante ” come questo stralcio dalla mia programmazione che ho adoperato per anni e con successo :
Evitare, quanto possibile, l’ imposizione di saperi ed esercitazioni, ma condizionare gli apprendimenti alle situazioni reali di partenza degli allievi ripercorrendo, se necessario ,parte o dettagli del programma scelto, senza lasciarsi condizionare o influenzare da pressioni esterne immotivate o, da scadenze rigide e conformistiche.