La tragedia del Connecticut e la visita nella scuola elementare di un bambino romano
I corridoi larghi, la mensa, la biblioteca, il piccolo ma accogliente teatro ricavato da due aule messe insieme, il giardino che circonda la scuola e che in primavera ospita un orto didattico. E le aule con i bambini seduti tra i banchi, i loro quaderni e loro e zainetti colorati, le lavagne. Fabrizio ieri guardava incuriosito con i suoi grandi occhi tutto quel mondo nuovo, mentre noi scambiavamo due chiacchiere con le maestre e altri genitori. L’Open day, organizzato il 14 dicembre dalla scuola pubblica elementare del nostro quartiere, periferia romana, per i bambini che il prossimo settembre andranno in prima è stata una bella passeggiata.
Abbiamo visto come maestre e maestri e i loro collaboratori si prendono cura ogni giorno con passione dell’educazione di centinaia di bambini e bambine. Abbiamo capito la loro determinazione nel difendere e innovare la scuola pubblica, nonostante i tagli (eufemismo). Abbiamo discusso di come scuola pubblica non significhi scuola statale ma scuola partecipata. Abbiamo anche immaginato come i bambini potrebbero avere piccoli incarichi nelle mense, dell’idea di tenere aperte le aule anche di pomeriggio e di sera per altre inziative sociali e culturali, oppure di come i più grandi potrebbero affiancare i più piccoli nei percorsi didattici, e ancora di come il gioco e il movimento non debbano essere orpelli ma elementi centrali e trasversali della formazione.
Poi, a casa, la tv ha gettato parole e immagini sulla tragedia nella scuola del Connecticut, Stati uniti. Dolore, sgomento e tanta rabbia per quel maledetto commercio di armi. Anche di questo bisogna trovare il modo e le parole per ragionare con i bambini come Fabrizio. La scuola può essere luogo del sapere e palestra di cooperazione, spazio nel quale imparare a gestire conflitti e a trasformare l’aggressività, palestra in cui smontare le culture di dominio e di violenza.
C’è un filo rosso tra quello che è accaduto negli Stati uniti, proprio in una scuola, e il dediserio di maestri, genitori e bambini di difendere e migliorare la scuola pubblica in Italia, ma anche in Spagna, Cile, Messico e molti altri paesi? Forse sì. Scuola, nella testa dei bambini di tutto il mondo, non ha nulla a che fare con disperazione, crisi, odio, violenza. Non può, non deve avere niente a che fare. Rimettiamo la scuola al centro, subito.
Sulla tragedia del Connecticut leggi anche il commento di Alenssandro Portelli «Il furore della depressione».
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