Tutto il mondo ha conosciuto José Mujica, il presidente più sobrio del mondo. Lo chiamano Pepe, in ricordo di quando faceva il capo dei guerriglieri Tupamaros in Uruguay ed è noto perchè cede gran parte del suo stipendo ai più poveri e vive in una piccola casa di campagna senza scorta. Tuttavia, anche Pepe sostiene mega-progetti di minere a cielo aperto in aree rurali e di grande biodiversità ed è arrivato a proporre la vendita di dune in aree naturali protette. Come gran parte dei progressisti al potere in America latina, il mito dello sviluppo lo ha intrappolato.
di Pablo Guerra
Ammiro per diverse ragioni José ‘Pepe’ Mujica. Condivido molto le sue critiche al consumismo, il richiamo all’attenzione sul cammino intrapreso dal mondo occidentale, col suo stile di vita semplice e con alcune politiche pubbliche, che possono essere comprese soltanto conoscendo il suo carattere particolare, come nel caso delle iniziative d’appoggio alle imprese autogestite.
Si possono capire anche alcune delle sue frasi più polemiche, come quelle a favore dei Kung (Mujica ha più volte pubblicamente apprezzato la popolazione nomade dell’Africa meridionale dei Kung San/Boscimani, noti per aver vissuto dedicando poche ora al giorno al lavoro, ndr). Probabilmente la mia passione per autori come Marshall Sahlins, Malinowski, Mauss o Polanyi, è stata determinante per comprendere come il presidente, in fondo, volesse risaltare l’importanza di un modo di vita austero come quello che ha caratterizzato le società orali rispetto all’attuale, altamente consumista e competitiva.
Su queste basi mi ero immaginato un presidente vicino ai concetti di sostenibilità ecologica, dl momento non esiste alternativa socio-economica possibile senza una discussione seria e profonda sui limiti dell’ecosistema in cui l’umanità è inserita. Il suo discorso durante la conferenza di Rio+20 ha improvvisamente svegliato l’interesse “altermondista”, mentre il recente intervento all’Assemblea generale delle Nazioni unite ha offerto, nuovamente, alcuni ammiccamenti a quelli che, come noi, lavorano e credono in un altro mondo possibile. Nonostante ciò, quest’attitudine contrasta con una serie di politiche alimentate dal governo uruguaiano.
Lo stesso Pepe, che spiega l’aumento in quantità ed intensità di pioggie e temporali con il modello di produzione industriale contemporaneo, critica acidamente gli ecologisti, burlandosene allegramente. Non capisco il mio presidente quando da una parte riconosce come l’attuale modello che assimila sivluppo a crescita economica sia insostenibile e, dall’altra, sostiene decisamente mega-progetti di minere a cielo aperto in aree di produzione agro-pastorizia, un mega-porto (d’acqua profonda) in una delle zone più attrattive in termini di turismo e biodiversità, fino ad arrivare a proporre la vendita di dune in aree naturali protette.
È chiaro che il neo-sviluppismo si è da tempo installato come paradigma della maggioranza dei governi progressisti in America latina. Si afferma che è necessario migliorare la spesa sociale e le risorse vanno recuperate da qualche parte; ergo, è obbligatorio sfruttare la natura di una forma sempre più intensiva.
Si fa fatica a credere, nonostante tutto, che proprio un presidente come Pepe non veda oltre il breve termine. Il Pepe che vive in forma austera e che per certi versi reincarna il sumak kawsay (buon vivere) che i popoli originari andini ci propongono in alternativa all’”avere per essere” della nostra società. Il Pepe caratterizzato da una sorta di bipolarità, che lo rende incapace di mettere in discussione la politica “sviluppista” che va esattamente in direzione opposta ai suoi discorsi, tanto ammirati ed emblematici.
Non riesco a capire il mio presidente.
Articolo scritto per Comune-info, traduzione di Roberto Casaccia.
Pablo Guerra, docente e ricercatore presso l’Università della Repubblica di Montevideo (Uruguay) è presidente dell’Associazione Retos al Sur.
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