Per loro hanno costruito nuove abitazioni in stile svizzero, hanno offerto dei soldi, un presidio sanitario e un luogo dove far studiare i bambini. Hanno traslocato perfino il loro cimitero. Niente da fare. I comuneros di Fuerabamba hanno bloccato la strada per 68 giorni impedendo il passaggio verso il porto sul Pacifico ai camion dell’impresa statale cinese MMG, che aveva comprato la miniera di rame peruviana Las Bambas per quasi 6 miliardi di dollari. Il conflitto investe tutti i 500 chilometri del corridoio minerario strategico che attraversa le tre province andine peruviane in cui vivono 50 mila persone, in gran parte appartenenti alle comunità indigene quechua. Lo stato d’emergenza ha fatto loro sospendere anche i diritti più elementari, sulla base di accordi, firmati in segreto, che trasformano la polizia del governo nazionale peruviano in guardie private al servizio del capitale cinese. La repressione è una faccia tremenda del conflitto ma il vero danno lo creano lo smembramento e la corruzione che divide le comunità. Misure indispensabili a vincere una resistenza molto dura. Quella dell’estrattivismo contro una storia e una cultura secolari è una lotta epocale
Per 68 giorni centinaia di contadini delle comunità vicine alla miniera Las Bambas (Apurímac, Perú), hanno bloccato la strada attraverso cui l’impresa statale cinese Minerals and Metals Group (MMG) esporta rame attraverso il “corridoio minerario” fino al porto di Matarani nell’oceano Pacifico. I comuneros di Fuerabamba hanno sollevato piccole capanne di paglia ai lati della via, dalle quali resistono all’impresa mineraria per obbligarla a negoziare.
Las Bambas fu installata nel 2004 ad opera dell’impresa mineraria svizzera Xstrata Cooper, ma nel 2014 fu ceduta alla cinese MMG per quasi sei miliardi di dollari. Poco dopo, scoppia il conflitto tra le comunità e l’impresa. Nel febbraio del 2015, un gruppo di 400 comuneros bloccò per cinque ore cento lavoratori e a settembre fu fatto uno sciopero provinciale con un saldo di tre morti e 23 feriti (15 civili e 8 poliziotti), per scontri tra poliziotti e comuneros.
Lo stato d’emergenza e la repressione sono il nucleo del repertorio statale di fronte alle comunità. Lo scorso gennaio il conflitto è tornato a scoppiare tra le persone della comunità di Fuerabamba, che hanno lasciato negli scontri 11 poliziotti feriti e un accampamento della polizia bruciato. I comuneros rifiutano la costruzione di una strada che attraversa il loro territorio senza che siano stati nemmeno consultati.
La comunità di Fuerabamba è stata trasferita, giacché era insediata giusto nel luogo dove è stata posta la miniera di rame. Si tratta di 450 famiglie alle quali sono state costruite nuove abitazioni in “stile svizzero”. Sono state compensate con denaro e nel nuovo insediamento (a due chilometri dall’originale, a 3.800 metri di altitudine) contano su un centro sanitario, istituti educativi e perfino il cimitero che è stato completamente trasferito.
Il caso Las Bambas può servire da termometro di quello che succede in tutto il “corridoio minerario”, una strada di 500 chilometri che attraversa tre province (Apurímac, Cusco e Arequipa) e 215 centri popolati dove vivono 50 mila persone. Si tratta, in maggioranza, di persone appartenenti a comunità indigene quechua che, secondo l’ONG CooperAcción, “cui sono stati sospesi i diritti alla libertà e alla sicurezza personale, all’inviolabilità del domicilio e alla libertà di riunione e transito nel territorio”, per l’applicazione dello stato d’emergenza.
Il corridoio stradale si è trasformato in Perù in un elemento strategico, giacché include cinque grandi unità minerarie in funzione (tra loro Las Bambas) e congiunge non meno di quattro importanti progetti di sfruttamento. In questo quadro, la Polizia Nazionale ha in segreto firmato 31 accordi con imprese minerarie per la protezione dei loro affari. I poliziotti si muovono su fuoristrada delle imprese e hanno la base in accampamenti delle imprese minerarie, cosa che trasforma la Polizia Nazionale in una guardia privata delle imprese. Questi meccanismi permettono di parlare di un “governo minerario” nella regione, a cui partecipano Stato e imprese.
Uno sguardo ampio sul conflitto minerario intorno a Las Bambas fa spiccare due questioni. Da un lato, 500 comuneros hanno processi per aver partecipato alle proteste contro l’impresa mineraria. Ma la repressione è appena una faccia del conflitto. Le conseguenze più profonde della presenza mineraria possono riassumersi nello smembramento delle comunità per la divisione che provocano le iniziative.
Il giornalista Jaime Borda, direttore dell’ONG Diritti Umani Senza Frontiere di Cusco, afferma che “dal 2006 fino al 2014 la maggioranza dei dirigenti comunali hanno terminato male il proprio mandato, con accuse di abuso di potere, cattiva gestione economica e di negoziare solo a favore dei propri familiari”. Per le abbondanti risorse che gestiscono le imprese, gli incarichi di direzione nelle comunità sono altamente contesi, ma anche le imprese minerarie operano nelle comunità affinché eleggano persone vicine ai loro interessi.
Borda conclude che in molti casi “la comunità non reagisce più come un gruppo coerente ma come una somma di individui che curano ciascuno i propri interessi”. I terreni comunali, inoltre, sono lottizzati e sono titolati come proprietà privata, perché per l’impresa mineraria “è più facile negoziare con le famiglie che con la comunità”.
All’apparenza, questo è il destino che attende le regioni dove le mega iniziative estrattive si impongono. Tutta una cultura e una storia sono trasformate per favorire il capitale.
Fonte originale: Desinformémonos titolo originale: Governo minerario, resistencia indigena
Traduzione in italiano del Comitato Carlos Fonseca
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