Reinventing Cities è un bando internazionale, avviato dal C40 Cities Climate Leadership Group. Prevede l’alienazione di siti inutilizzati o in stato di degrado da destinare a progetti di rigenerazione ambientale e urbana, nel rispetto dei principi di sostenibilità e resilienza. Bello, no? Tra le 40 città che hanno sposato questo progetto dal nome altisonante c’è anche Roma Capitale, che per “reinventarsi” ha selezionato ben 5 aree urbane. La quinta è quella della Stazione Tuscolana, dove c’è Scup, il centro della cultura popolare e dello sport ben noto a chi capita con una certa frequenza sulle nostre pagine (la sua prima dimora ha ospitato perfino la nostra redazione). Solo che i nostri compagni, anche per via di certe esperienze “deludenti” passate, hanno imparato a guardare bene dentro le scartoffie. Così hanno analizzato il bando con meticolosa attenzione fino a trovare alcuni nodi spinosi – che poi, a ben guardare, son sempre gli stessi: cemento, profitto e privatizzazione, le patologie croniche della città eterna. Niente affatto intimoriti, sempre grazie a impegnativi trascorsi di lotta libera, gli atleti di Scup hanno deciso di partecipare al bando con un progetto molto autonomo e assai partecipato, dunque aperto a chiunque. Se ne discute sabato 7 marzo, in una grande assemblea pubblica, alle ore 15,30 a Villa Fiorelli. Sta a vedere che saranno capaci di immaginare quel che s’era creduto impossibile: rigenerare (nella città dei palazzinari) senza specularci sopra. L’assemblea è stata sospesa, però potete seguire gli sviluppi del progetto qui

Roma sta per subire una trasformazione profonda, anche se ancora non se n’è resa conto. Il suo tessuto urbano, già noto alle cronache per essere preda delle mire incontrastate di profitto dei costruttori – o palazzinari, come amano definirli i romani – negli ultimi decenni non sembra aver conosciuto pace. Dal 2001, anno di approvazione del Piano Regolatore voluto dalla giunta Veltroni, numerosi varianti e deroghe hanno rimodulato quello che già era sembrato un tentativo in extremis di porre un freno alla città tentacolare che si andava estendendo oltre il centro storico, cementificando campagne desolate prive di servizi, creando zone dormitorio oltre il Grande Raccordo Anulare. Oggi, molte delle promesse felici di quel Piano sono state tradite, complice anche una legge regionale – il Piano Casa – che ha permesso e sta tuttora permettendo ai palazzinari di demolire e riedificare con premi di cubatura importanti su tutto il territorio cittadino. Ma al peggio, e al cemento, non c’è mai fine.
Il bando Reinventing Cities
Nel dicembre 2019, Roma Capitale, come altri comuni italiani, ha aderito al bando globale per progetti urbani innovativi, resilienti e a emissioni zero, Reinventing Cities. Un forum, denominato C40, raccoglie le quaranta città che hanno sposato questo progetto dal nome altisonante, con l’ancor più altisonante intento di condividere strategie per la riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera e stimolare un’azione globale contro il cambiamento climatico.
In funzione del bando, Roma Capitale ha scelto cinque aree urbane caratterizzate dal degrado e dall’abbandono: l’ex Mira Lanza nel quartiere Ostiense; l’ex Filanda a San Giovanni, su Viale Castrense; il compendio Vertunni nel quartiere La Rustica; e l’ex Mercato di Torre Spaccata.
Il quinto sito fa invece parte di un comprensorio assai più ampio, coincidente con l’area della Stazione Roma Tuscolana e le vie limitrofe, già facente parte di precedenti accordi di programma degli anni 2000-2006, sottoscritti tra Ferrovie dello Stato, Rete Ferroviaria Italiana, Comune di Roma e Regione, e finalizzati al potenziamento del sistema ferroviario metropolitano con la realizzazione di un vero e proprio anello e la rigenerazione delle aree dismesse.
Tutto ottimo, sulla carta. Solo che il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi, e andando ad analizzare il bando con più attenzione vengono fuori dei nodi spinosi – che poi a ben guardare son sempre gli stessi: cemento, profitto, e privatizzazione.

Cemento, cemento, cemento
La prima questione fondamentale in merito ai progetto di cosiddetta «rigenerazione urbana» è la quantità esorbitante di edificato prevista per le aree oggetto del bando. Per ogni zona, infatti, sono immaginate operazioni di demolizione e ricostruzione con gli immancabili aumenti di cubatura – dedicati ovviamente al commerciale e all’abitativo, cioè ad affitti che si immaginano di molto ingrassati dopo l’operazione di restyling. Ad esempio, per la zona della Stazione Tuscolana sono previsti 34.000 mq di terreni edificabili su un’area di poco inferiore a 50.000 mq.
L’assessore all’urbanistica Luca Montuori, nel presentare il progetto alla cittadinanza, ha rivendicato il fatto che le quantità previste sono in linea con le previsioni vigenti del famoso Piano Regolatore veltroniano, ma intanto bisogna ricordare che tali quantità sono concentrate in una porzione di città già fortemente congestionata. Alla faccia dell’ecosostenibilità: buttare cemento su un’area densamente abitata e carente di servizi, andando a gravare sul bilancio ambientale e sociale complessivo, non sembra essere il modo migliore per aiutare l’ambiente e costruire un mondo diverso. Anzi, sembra il ripetersi di un film già visto – e già visto fallire.

Rigenerazione o privatizzazione?
Non sono soltanto le cubature a preoccupare. Da più parti viene ricordata l’esigenza, sacrosanta, di superare una visione della città legata alla distinzione tra centro e periferia, e immaginare una città accessibile e attenta alla qualità e alla diversificazione bilanciata dei servizi. Anche Montuori si è appellato a questi princìpi. Bene. Ma tutte queste considerazioni, peraltro più che condivisibili, hanno poco a che fare con l’operazione di Reinventing Cities, che si prevede sia gestita interamente da soggetti privati; le operazioni di rigenerazione urbana previste per le cinque aree del bando romano non prevedono alcun ruolo attivo della parte pubblica.
Ciò significa che quanto verrà costruito in queste aree sarà ad uso privato, comprese le aree verdi e i servizi, che non saranno fruibili in forma gratuita e pubblica (salvo l’introduzione di eventuali convenzioni al momento non previste né ipotizzate da Roma Capitale). Le sorti di pezzi consistenti di città, la sua «rigenerazione», sarà dunque subordinata ai capitali privati: nei fatti, il bando subappalta il futuro di interi quadranti a chi ci metterà i soldi. Cioè ai palazzinari – sempre loro.
Possiamo immaginare che questi capitali privati, i costruttori famosi, siano nel tempo rinsaviti, e abbiano deciso finalmente di cambiare vita e darsi alla rigenerazione del tessuto sociale e all’ecologia in nome del benessere comunitario. Oppure possiamo ipotizzare che un’operazione del genere, lastricata di buone intenzioni, possa diventare – in mano al tessuto imprenditoriale del mattone romano – una sequela di abitazioni di lusso da vendere a prezzo d’oro, con qualche pannello solare sul tetto e un paio d’alberi per darsi una patina di ambientalismo.

Una possibile alternativa
Qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca. Sembra un circolo vizioso: ogni volta che Roma prova a rigenerare il suo tessuto urbano finisce dritta dritta nelle fauci del lupo, complice una classe politica brava soprattutto a fare finta di occuparsi dei problemi, aderendo a progetti dal sapore smart e innovativo, mentre in realtà la soluzione che propone è sempre la stessa: svendere pezzi di demanio ai privati e chiedere in cambio una fettina microscopica di una torta gigante.
Ma non tutto è perduto. Come realtà territoriale dell’Appio-Tuscolano abbiamo deciso di partecipare al bando Reinventing Cities con un progetto autonomo: non per metterci sullo stesso piano dei grossi capitali, ma sfruttare questa opportunità per parlare con le persone di proposte concrete per migliorare la qualità della vita e la mobilità del nostro quartiere – che resta un nodo di scambio strategico per la città.
Insieme all’Associazione Piazza Ragusa e Dintorni, al Comitato Villa Fiorelli e alle tante associazioni e realtà, piccole e grandi, che da anni frequentano e contribuiscono a far vivere Scup, abbiamo lanciato un appuntamento pubblico per coinvolgere nella progettazione partecipata tutte e tutti: sentiamo infatti il bisogno di partecipare al bando assumendo un ruolo etico e morale, coinvolgendo la società civile e cioè i comitati, le associazioni e i privati cittadini presenti nel territorio. Ma soprattutto vogliamo stimolare una partecipazione reale al progetto, e per una volta non limitarci alla mera consultazione che spesso ci viene proposta in queste situazioni – in cui a giochi fatti ti fanno mettere una panchina lì, un lampione là, e così via. Vogliamo essere una presenza attiva all’interno del gruppo proponente e far sì che le nostre esigenze vengano ascoltate e rispettate.
Per questi motivi abbiamo indetto un’assemblea pubblica il prossimo sabato 7 marzo, alle ore 15,30 a Villa Fiorelli, in cui verrà richiesta la disponibilità per l’adesione ad un progetto che tuteli i cittadini dalla speculazione immobiliare che si prospetta. Esigiamo che questo progetto di rigenerazione, se tale vuole essere, abbia una regia pubblica che garantisca che almeno una porzione dell’area di progetto diventi realmente fruibile in forma gratuita, per soddisfare le esigenze degli abitanti di un quartiere che, a fronte di una densità di popolazione tra le più alte nel Comune di Roma, risulta carente di un’adeguata presenza di spazi pubblici.
Sarà forse vero che al peggio non c’è mai fine. Ma, come dicono in ValSusa, stavolta per il peggio a sarà düra.
In questo comunicato stampa si dà risalto negativamente all’interesse privato, ma anche quello di Scup è un interesse privato, ossia quello di rimanere dove è oggi, sorvolando sul fatto che parliamo di un cso abusivamente in una proprietà privata (fs). Inoltre il comunicato omette (!) che l’area del progetto non ha nulla da tutelare. Si tratta di un’area enorme in cui si trovano solo ruderi di baracche, tinnellate di rifiuti , carcasse di automezzi e sbandati vari e da cui i residenti sono costretti a girare alla larga perché si verificano violenze e vandalismi quotidiani.
Lo Scup sarebbe più onesto se ammettesse di essere interessato solo alla propria sopravvivenza e non agli “aspetti etici e morali” o ad “impedire altro cemento “, in tal caso i residenti potrebbero aiutare a cercare un posto per Scup nel progetto i comunque un’alternativa in zona. Così facendo invece Scup si oppone al diritto dei cittadini ad avere una riqualificazione e di fatto si pone contro l’interesse del quartiere. Rifletti Scup e cambia atteggiamento, forse insieme la soluzione si trova.
Vivo nel quartiere da tredici anni e ho visto cambiare interamente la via di Stazione Tuscolana, ho sentito e visto ragazzi lavorare qui dentro gratuitamente perché quei ruderi abbandonati da FS diventassero altro per i residenti e per tutta la città. Questa realtà si muove nel quartiere e per il quartiere, ascoltando le esigenze di chi vive qui con nessuna imposizione dall’alto. Mi sono avvicinata a questa realtà e usufruisco dei servizi pubblici che ci fornisce perché in questo spazio fanno ciò che serve al corpo e all’anima e hanno questo come unico scopo, lo so solo perché sono una beneficiaria in un quartiere dove non ci sono più cooperative di riferimento, e hanno anche spostato gli uffici dell’ASL rendendo a persone anziane e disabili svolgere in modo difficile qualsiasi pratica burocratica, almeno qui si può gioire di uno spettacolo teatrale, di un incontro olistico e tutto in modo veramente accessibile. Attenti a parlare di realtà che non si conoscono minimamente e tacciare di egoismo chi sta collaborando con associazioni che supportano le persone con disabilità e promuovono un’etica del lavoro priva di sfruttamento. Quell’aera non è più come è stata descritta qui sopra: entrate dentro SCup!