Il soffocamento delle proteste pacifiste a Mosca ricorda la repressione contro la guerra in Vietnam, inclusa la strage nel campus della Kent University dell’Ohio, quando coloro che protestavano, da tanti erano considerati fratelli e sorelle e non c’era bisogno di nessuno che spiegasse la necessità di distinguere un popolo dal suo governo. Del resto parole/concetto come fraternizzazione avevano cominciato a cambiare lo sguardo sul mondo a molti e molte. Quella parola era stata l’incubo delle gerarchie militari nelle trincee della prima guerra mondiale, ma aveva acquisito un senso anche in tempo di pace. Per questo, anche in questi giorni possiamo imparare ad accogliere pensieri divergenti e a trasformare rabbia e terrore: si tratta, suggerisce Mirco Pieralisi, insegnante, di mettere in luce ogni episodio di fraternizzazione che rompe l’orizzonte di guerra – come quello raccontato da Mario Rigoni Stern – e “ogni incontro che a partire da sentimenti profondamente e universalmente umani, come il dolore e la paura, avvicini le persone più di quanto ogni potere esistente possa separarle…”
Guardarsi indietro è giusto e necessario, a volte persino pericoloso se è solo un pretesto per conservare inamovibili certezze. A volte però è un bene prezioso, quando ti accorgi che le radici di buone piante sono state sradicate o inquinate. Non avevo ancora compiuto 18 anni il giorno in cui vidi, nel maggio del 1970, a tutta pagina sul settimanale L’espresso le foto della strage nel campus della Kent University dell’Ohio. Jeffrey Miller, Allison Krause, Sandra Scheuer e William Schroeder, ragazze e ragazzi di 19 e vent’anni, erano stati uccisi dai proiettili della guardia nazionale durante una protesta contro la guerra in Vietnam. Non li salvò neanche il colore bianco della loro pelle, per il governo e le autorità militare erano solo traditori del loro paese. Ma per noi, che stavamo crescendo nel pieno dell’illusione di trovarci all’alba del ribaltamento del mondo, quelli erano nostri fratelli e sorelle e non c’era bisogno di nessuno che ci spiegasse la necessità di distinguere un popolo dal suo governo, anche quando quel governo era nato grazie al voto del suo popolo.
Mi è tornato in mente quell’episodio non solo vedendo le drammatiche immagini del soffocamento delle proteste pacifiste nel cuore di Mosca, ma anche leggendo e ascoltando quella nemmeno troppo latente ostilità che serpeggia nei confronti di donne e uomini russi che abitano o attraversano il nostro paese e che hanno trovato un contraltare (tra il tragico e il ridicolo) anche in alcune istituzioni più o meno autorevoli. Eppure io penso che sia necessario affrontare, con un atteggiamento aperto, senza autocensure, con sincerità e autentica voglia di capire, una discussione seria, ancora più seria quando è informale e svuotata di pregiudizi e luoghi comuni, con ogni persona provenga da quel paese, una discussione che per altro si svolge già in migliaia di famiglie e ambienti di lavoro in cui si incontrano e conoscono cittadini di ogni parte del mondo, in particolare in tutti quegli ambiti di vita in cui le donne costituiscono un deposito straordinario di esperienze e memoria storica.
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Il ricordo degli anni giovanili mi riporta a discussioni infinite con ragazzi e ragazze venute dal paese il cui esercito aveva invaso il Vietnam e sterminato con le sue bombe centinaia di migliaia di uomini, donne, bambine e bambini. In quelle discussioni io, “chiedevo conto” ai miei coetanei d’oltre oceano della loro posizione, scoprendo straordinarie affinità (ricordo un caro amico che sfilava vicino a me con la bandiera dei Vietcong), atteggiamenti fortemente critici nei confronti del loro governo, vera e sacrosanta paura di essere chiamati alle armi, punti di vista curiosamente, per me, “al di sopra delle parti”, e perfino qualche rarissimo simpatizzante della “guerra contro il pericolo comunista”. Incontri di pochi minuti o notti intere passate a discutere, anche negli anni successivi, mi hanno aperto la mente e hanno dato ancora più senso concreto alla mia crescente ostilità verso ogni forma di chiusura identitaria di tipo nazionale. Quella vecchia e bellissima parola che circolava già nell’800 e che era l’incubo delle gerarchie militari nelle trincee della prima guerra mondiale, fraternizzazione, acquisiva un senso anche in tempo di pace, ed è una parola che ho cercato di consegnare, quando insegnavo, alla memoria delle mie alunne e dei mie alunni ogni volta che abbiamo affrontato lo studio delle grandi guerre.
Per me aver conservato l’idea del conflitto sociale come momento potenziale di crescita di una società e al tempo stesso, essere arrivato al rifiuto dell’idea di annientamento del nemico, è frutto di quegli incontri lontani e di tanti altri che ne seguirono, attraverso contatti diretti tra persone e attraverso quella sterminata zona di “non confine” rappresentata dalla letteratura, dal cinema, dalla cultura in generale. Pensare che anche lontano dal fronte di guerra le ostilità debbano continuare erigendo muri e separazioni innaturali, il solo pensare questo, è un delitto nei confronti del domani di ogni essere umano. Anche quando riconosciamo, come in questi giorni, chi è l’aggredito e chi è l’aggressore e indipendentemente da premesse che richiamano responsabilità non solo russe ma, oserei dire, planetarie, anche quando chiediamo il cessate il fuoco e il ritorno a casa degli invasori, anche quando chiediamo, sempre troppo pochi, il ritiro di Israele dai territori palestinesi, anche quando tuoniamo, ancora più pochi, contro le atrocità dell’esercito turco nei confronti della popolazione curda, in queste come in altre circostanze dobbiamo mettere in luce, valorizzare, direi esaltare ogni episodio di fraternizzazione che ha rotto l’orizzonte di guerra e ogni incontro che a partire da sentimenti profondamente e universalmente umani, come il dolore e la paura, avvicini le persone più di quanto ogni potere esistente possa separarle.
Mirco Pieralisi, insegnante
Massimo Greco dice
Questa non è altro che la vecchia propaganda Anti-Russa di fattura USA .
Tutte le proteste pacifiste negli USA e in tutti paesi Europei vengono sempre represse !
Perfino le pacifiche proteste No-Vax e No-Green Pass hanno scatenato in Italia le Ire violente Poliziesche della Propaganda USA .