C’era una volta la conta. Quella peggiore, che conta poco o nulla tranne per chi quei numeri ce li ha trascritti sull’anima, così come i mostri del secolo scorso facevano sulla pelle delle loro vittime prescelte. La differenza è che oggi i cattivi della trama forse siamo un po’ tutti, ma anche i buoni. Dipende da come ci svegliamo. E, soprattutto, da come vogliamo concludere la giornata, alla stregua della storia stessa.
Almeno 89 viaggiatori per la vita sono morti stavolta dopo che la loro imbarcazione è naufragata al largo della Mauritania. Secondo Caminando Fronteras (collettivo spagnolo di difesa dei diritti delle persone e delle comunità migranti, ndr), nei primi cinque mesi di quest’anno ne sono scomparsi tra i flutti più di 5.000 mentre cercavano di raggiungere la Spagna via mare, ovvero l’equivalente di 33 al giorno, guarda caso l’ultima età di quel simbolo della fede di molti nel nostro Paese, sia professata con sincerità che solo vantata, anche da coloro che di queste tragedie ne sono in parte direttamente responsabili.
Perché va ricordato che la pericolosa rotta dell’Oceano Atlantico sta guadagnando popolarità proprio a causa della maggiore vigilanza da parte delle autorità marittime europee nel Mediterraneo.
E allora si conta. Si conta la morte. Contiamo le cifre, giammai le esistenze dissolte in esse. Numeriamo le anime, come detto, e lo facciamo con distacco e indifferenza perché ci illudiamo che in tale eterea forma non possano più invadere più di tanto la nostra coscienza.
Ciò malgrado, in un contesto e momento come questo non posso resistere alla tentazione di farmi corpo con quelle ombre prima che l’oblio istituzionale, che vige da queste parti, le cancelli del tutto.
Forse sarà la conseguenza delle origini e del sangue che non mentono, o così dicono. O magari perché i numeri li ho mollati all’università per inseguire la parte umana del mio orizzonte. E in quei sfortunati panni, ma altrettanto pervasi da fervente speranza, come quelli che un tempo guidarono mio padre da un mondo all’altro, io penso a un giorno che prima o poi arriverà. Quando conteremo i passi dalla casa alla scuola e ritorno. E quando si farà la conta degli istanti più lieti con l’invidiata sicurezza che magari, nei giorni a venire, ce ne saranno altri. Quando i risultati delle somme e delle sottrazioni saranno roba da studiare a scuola, o al massimo per aver controllo delle spese a fine mese. E quando non saremo più marchiati con delle cifre, o men che meno con degli aggettivi o categorie a uso e consumo delle narrazioni governative, ma saremo riconosciuti, più che enumerati, per il nostro vero nome.
So e voglio credere che verrà il giorno in cui tutto ciò diventerà realtà. Quando, anche noi, inizieremo a contare la vita.
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