di Valentina Guastini*
Ho letto l’articolo di Susanna Tamaro dedicato alla scuola (Educare, non solo istruire. Contro il buonismo di stato). L’ho letto d’un fiato talvolta annuendo in accordo e a tratti provando un leggero fastidio. Quel fastidio quasi familiare, non so se mi spiego, quello per il quale puoi dire tutto il giorno che tuo figlio è uno con poca logica, ma se lo dice qualcun altro ti trasformi in un attimo in un essere verde e muscoloso.
Fastidio, ecco sì, ho provato fastidio. Poi ho iniziato a vedere questo post pubblicato su molti social, persino da colleghe che spesso hanno manifestato pensieri scolastici simili ai miei. Per un attimo ho pensato di aver confuso quella sensazione provata alla lettura. Se non fosse che il coordinatore della Rete di Cooperazione Educativa, di cui faccio parte mi scrive per confrontarsi su questo articolo. Giuro, mi sono sentita meno sola in un attimo.
La stessa sera trovo fra le mie mail, quella di una cara amica, una dirigente scolastica in pensione che è stata parte del Movimento di Cooperazione Educativa per moltissimi anni. Nella mail mi si informava dell’articolo, allegandomi link con questo commento “mi spiace farti fare del nervoso, ma bisogna sapere cosa circola”. Ho ripreso in mano quei fogli che, forse per la strana sensazione di doverli rivedere, avevo già stampato. Allora sono andata a caccia di “pulci da schiacciare”, che a ben analizzare, in questo articolo sono quasi infestanti. E con rammarico capisco anche il perché di così tante condivisioni: il modo migliore per seminare disinformazione è quello di inserire elementi di verità in un articolo farcito di scarsa conoscenza della realtà scolastica, approssimazioni, confusioni.
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Analizziamo in ordine quello che dice Susanna Tamaro, la quale parte con un’analisi rispetto ai dati della situazione scolastica italiana di ineccepibile verità: siamo in fondo alle graduatorie dell’Ocse.
Parla della Buona Scuola come riforma definita da molti “ determinante” per toglierci dalla “degradata fossilizzazione” e già mi fermo perché parla di scuola e di riforme senza aver sentito il parere degli insegnanti. Sfido a chiedere un parere a dieci insegnanti presi a caso, otto o nove su dieci manifesterebbero contrarietà a questa riforma. Come del resto accade da almeno due anni, ma forse sono molti di più, gli insegnanti non vengono mai ascoltati, si fa solo finta. Come stupirsene quando abbiamo avuto come ministri dell’istruzione tutti meno che insegnanti? L’ultima, che mi astengo dal valutare ancor prima dei suoi operati, ne viene da un passato come sindacalista del tessile… sbaglio o il tessile è stato uno dei primi settori a sparire dalla nostra economia per trasferirsi all’estero? (Sono consapevole che l’argomento andrebbe comunque affrontato con più ampia analisi).
Poi certo, è vero quando Tamaro afferma che ci si impegna per riempire le scuole di lavagne interattive (impegnarsi a farlo poi non vuol dire che questo avvenga realmente) e poi abbiamo i bambini divisi in altre classi perché mancano gli insegnanti o i soffitti cadono sulle teste dei nostri ragazzi.
Si amareggia, Tamaro, per la sostituzione di capisaldi dell’istruzione: pensierini, grammatica, ciliegie da sommare e torte da frazionare, riassunti e testi a memoria insieme all’abolizione della maestra unica. Principi fondanti e rassicuranti per lei: che donna fortunata! Secondo lei, in questa società mutevole, dell’incertezza e della frammentarietà, come è definita dalle stesse Indicazioni Nazionali per l’insegnamento, la possibilità di educare generazioni con senso civico, empatico e con curiosità verso un apprendimento motivante è data dal testo studiato a memoria.
Cioè come insegnante dovrei affrontare le problematiche della complessità dei cambiamenti sociali, tecnologici e antropologici mantenendo un quadro invariato al vecchio “leggere, scrivere e fare di conto”? Perché è facile non scendere nel dettaglio delle varie leggi e riforme anche sommariamente, questa vaghezza sa di discorsi da bar, fermo restando che le responsabilità politiche ci sono.
Rapido passaggio per i non addetti: i programmi Ermini del 1955 nel riordinare la scuola elementare ponevano “a fondamento e coronamento dell’istruzione elementare in ogni suo grado” l’insegnamento della dottrina cristiana “secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”. E forse sarà una mia impressione, una sensazione che affiora ma, quando la signora Tamaro, parla di “fondamenti”, mi torna alla mente questa parte della nostra storia delle riforme e i programmi Ermini del ’55, a mio avviso molto confessionali e riduttivi, che ci raccontano di un “fanciullo tutto intuizione, fantasia e sentimento” a cui dovevano essere insegnati, appunto, i fondamenti: religione, leggere, scrivere e fare di conto. Intravedendo questa predilezione educativa della scrittrice, aggiungendoci la sua preferenza per la maestra unica della riforma Gelmini e il fatto che ha scritto articoli per Famiglia Cristiana, sembrerebbe proprio che secondo il suo parere bisognerebbe ritornare ai Programmi Ermini. Che i tempi siano cambiati è evidente; si possono, forse, trovare somiglianze in quel che scriveva il maestro Alchini nella metà dell’800 : “… ancora componimento per esami, perché il primo riuscì male in causa del freddo eccessivo. Non è possibile tenere la penna in mano. I ragazzi piangono dal freddo…” oppure che “… oggi pochi gli assenti ma il freddo e la mancanza di legna non mi permisero di fare le mie lezioni regolari perciò […] feci ginnastica, canto, calcolo orale…”.
Diamo pure colpa al sistema politico che in effetti di responsabilità ne ha davvero tante, su questo siamo indubbiamente d’accordo… ma prendiamo le distanze dalla sua definizione di “scuola sommamente democratica che ha smesso di pretendere dai suoi studenti, deriva del ribasso”.
A mio avviso la democrazia resta sempre un valore, sia da insegnare sia come modo di essere e pensare. Non posso credere che Tamaro attribuisca ad una scuola democratica accezioni negative. Purtroppo, se proprio vogliamo essere concordi con lei sul fatto che la scuola è alla deriva, allora, tra le cause, dovremmo annoverare il fatto che troppo spesso è falsamente democratica.
E non dimentichiamoci comunque dei tantissimi validi insegnanti che fanno eccellente scuola tutti i giorni non attraverso ciliegie, torte, pensierini e riassunti; questi insegnanti rendono evidente come la sua analisi sia, di fatto, faziosa, becera, disinformata e fatta di mezze verità.
Afferma che chi se lo può permettere, manda i figli nelle scuole private. Questo è un dato di fatto ma, in paesi ai vertici della graduatoria dell’Ocse, come la Finlandia, le scuole private praticamente non esistono perché quelle pubbliche devono essere tutte di buon livello (consigliamo la visione del documentario di Moore sulla scuola finlandese). Inoltre conosco moltissime persone che scelgono le scuole private montessoriane, steineriane o a progetto “Senza zaino”, o “ nel bosco”… quindi scuole senza pensierini, riassunti e testi a memoria.
Perché quello che serve ai nostri bambini oggi per affrontare il domani non sono le ciliegie da sommare. Non credo nemmeno che i bambini di cui parla Tamaro un giorno “rimpiangeranno di non avere avuto insegnanti capaci di prepararli” o che “non gli abbiano fornito il sostegno dei fondamenti”, perché è il suo concetto di fondamenti e di educazione.
“Educare richiede un principio di autorità” scrive l’autrice di Va’ dove ti porta il cuore. Non me ne voglia Coleman, a cui forse Susanna Tamaro si è ispirata ma, quando penso a bambini di sei anni, mi riesce difficile credere che l’autorità non la subiscano passivamente, perché il diritto ad esercitarla è concesso dai genitori, non dai bambini stessi. E allora preferisco coinvolgerli, perché sono i bambini di sei anni i protagonisti del processo educativo. Quindi, dal mio punto di vista, per il mio modo di pensare ed intendere l’insegnamento, il concetto di autorità che lei utilizza ben due volte, dovrebbe lasciare posto a quello di autorevolezza. L’insegnante autoritario ha per definizione sempre ragione e non può mai ammettere di aver sbagliato, in quanto l’ammissione dell’errore viene vissuta come una perdita di autorità (definizione tratta da treccani.it). Io desidero fortemente essere un’insegnante autorevole e lascio volentieri a lei e alla cerchia dei suoi seguaci, quella forma di autorità.
Credo fortemente nella relazione educativa, dove i protagonisti sono in continuo dialogo, rivedono, analizzano i problemi a più livelli.
Ma ormai gli insegnanti sono alla mercé del giudizio di tutti perché in questo mondo di tuttologi, ciascuno s’intende di tutto e nelle famiglie comuni ormai si pranza con pane e didattica (ma quale poi?). È anche grazie a giudizi come quello di Tamaro che si concorre a svalutare anche quello che c’è di buono e se io praticassi il suo metro di giudizio con i miei alunni allora sì che vedrei una scuola davvero alla deriva. È questa tuttologia dilagante, praticata anche da persone note come lei, che ha permesso di insinuare il dubbio e svalutare anche quello che c’è di buono. Il giudizio approssimato, una fascina mista da accendere a proprio vezzo, atta a screditare e denigrare, insinua il sospetto. Quando gli alunni e i genitori sospettano che l’insegnante non sappia bene la propria materia, quando ritengono che i suoi criteri di valutazione siano oscuri oppure applicati in modo arbitrario, è allora assai probabile che la sua autorità sia fortemente compromessa.
Quindi, cara Tamaro, la prego non parli di autorità mancante quando è lei la prima a minarla e non auspichi nemmeno un necessario ricambio perché mi ricorda una dirigente che ha messo le sue insegnanti ultra cinquantenni come elemento penalizzante nel rapporto di autovaluzione scolastica. L’insegnamento è passione, voglia di aggiornarsi, di stare con i bambini, è credere nell’errore e nel cambiamento come motore di motivazione all’imparare. A qualsiasi età. Il rapporto tra motivazione e regole va certamente rivisto con molta attenzione, ma mai a discapito della motivazione, come invece avviene all’ordine del giorno.
Nell’insegnamento è la persona che fa la differenza, non l’età. Risulta straordinario che, a richiedere un ricambio generazionale sia proprio lei che ha affidato ad una nonna i saggi consigli in Và dove ti porta il cuore….
Quasi infondo al suo articolo dice: «“Il vietato vietare”, con la rapidità osmotica dei principi peggiori, ormai è penetrato ovunque, distruggendo in modo sistematico tutto ciò che, per secoli, ha costituito il collante della società umana». Ebbene cosa intende per il non meglio precisato “collante della società umana”? Io leggo vaghezza, vuoto retorico o… al massimo i “fondamenti e coronamenti della religione cattolica”. Questo intendeva per collante della società umana? Una nostalgia del bel tempo antico, della bella calligrafia, della marcia sul posto, delle poesie a memoria e preghiera al mattino? Magari anche dell’autoritaria bacchetta.
Così ho iniziato a leggere qualche commento scritto per lo più da insegnanti sotto al suo articolo ed ecco, fra tanti, cosa si scopre:
1) «l’articolo non esprime un’opinione, mescola confusamente concetti, fatti e responsabilità, l’autrice non sa nulla della scuola, non una parola sulla riforma Gelmini, di cui, anzi avrà apprezzato sicuramente l’esaltazione della maestra unica» Vincenzo Rinaldi
2) «mi piacerebbe rimettere un po’ d’ordine in questa sequela di dati senza indicatori di direzione. Mi piacerebbe parlare di paradigmi da rimettere in discussione… ma ho pochissime finestre mentre corro sempre affannata per mettere tasselli per una scuola diversa da questa, ma anche da quella che vagheggia Tamaro» Sonia Colucelli
3) «non so che conoscenza abbia lei della scuola… il lavoro faticoso e spesso non riconosciuto degli insegnanti dà i suoi frutti educativi. La verità è che fa più notizia sentenziare sugli argomenti “di moda».
4) «educare non significa applicare il principio di autorità, è tutt’altro: affiancare, ascoltare, credere, infondere fiducia, è un’arte che richiede tempo, interesse, responsabilità. Purtroppo molti, troppi credono ancora che educare sia impartire una serie di regole» Luciana Pulcini
5) «ma Susanna Tamaro, la quale sostiene che coloro che se lo possono permettere frequentano le scuole private, lasciando intendere che sarebbero di qualità superiore alla statale , ha idea di che cosa siano le scuole private in Italia, in particolare le secondarie di secondo grado, e di quanti diplomifici a caro prezzo abbiamo? E visto che si ripete che la scuola di oggi non è più quella di una volta mi sorge una domanda: ma la classe dirigente di questo paese, che mostra “evidenti qualità morali ed intellettuali “, quale scuola ha frequentato?» Osvaldo Ponzetta
6) «questo articolo contiene fatti, opinioni e rappresentazioni di secondo ordine poste sullo stesso piano argomentativo e questo no, non va bene. Conto di trovare il tempo per entrare nel merito, sperando che lo facciano anche molti altri» Rafaela Mulato.
Ecco, oggi sono influenzata e io ho trovato il tempo. Spero che lo facciano anche altri.
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* Maestra, fa parte della Rete di Cooperazione educativa. Ha aderito alla campagna Facciamo Comune insieme
Cara Valentina, stiamo parlando di Tamaro… Una revanchista stile Salvini, sciocca almeno quanto pericolosa. Diffido di tutti quelli che usano il termine buonista. Tra questi, guarda caso, possiamo annoverare: i fascisti (sia quelli del nuovo millennio che del vecchio), i razzisti (e xenofobi vari, dotati di miseri strumenti cognitivi) e i qualunquisti (bofonchiatori e haters frustrati che, privi di una qualunque progettualità, aderiscono di volta in volta agli urlatori del momento). Tutta questa marmaglia è un fastidio che ci è toccato in eredità dalla nostra rivoluzione mancata, che ora dobbiamo combattere, in quanto pericolo concreto di deriva autoritaria. Occorre quindi mettere un argine alla demenzialità, come hai fatto tu con questo articolo. Ti ringrazio. Bisogna far capire a chi ci chiama “buonisti”, che siamo in realtà “cattivisti” e che ha le ore contate!
Davide Lamanna, non difenderò senz’altro la Tamaro ma, a leggere il tuo intervento (tra l’altro non ti presenti, per sapere quali carte tu abbia per parlare, a meno che la tua non sia una presa di posizione ideologica) viene un senso di fastidio, quel fastidio che scaturisce dall’ascolto di chi offende e critica, sparando parole al vento, senza sostenerle con un minimo di ragionamento, etichettando e senza portare contributo alcuno. È la maniera infantile di chi, o non ha argomenti o parte in quarta per partito preso. E, ripeto, non sto qui difendendo la Tamaro.
Hai ragione Guido, mi sono lasciato travolgere dal forte fastidio che mi provocano certe posizioni. Le argomentazioni che cerci le trovi già nell’ottimo articolo di Valentina, io mi sono limitato a scuotere in alto le mani in segno di consenso o, al più, a fare il parallelo con approcci assimilabili e ugualmente odiosi. Sempre che mi sia concesso di poterlo fare, senza esibire “carte” o presentazioni… Se poi tu vorrai dare un contributo lo leggerò volentieri, anche se non ti presenti… 🙂
Plaudo alla tua onestà intellettuale e alla capacità di fare autocritica.
Penso che scriverò qualcosa, per quello che possa valere.
Che un intellettuale metta il naso e sia critico su faccende che riguardano la nostra società non solo fa parte del suo ruolo, ma è anche importante e necessario ai fini di una riflessione e un dibattito che possano crearsi e servire da sprone, fornire idee e contribuire al miglioramento di una struttura e della società stessa.
Benvenuto dunque l’articolo della Tamaro Educare, non solo istruire. Contro il buonismo di stato (Corriere della Sera, 8 gennaio 2017) che offre tale occasione, anche se non dà contributi operativi. D’altronde la scuola non è il suo campo.
Allora vediamo cosa ha di buono l’articolo e dove risulta invece carente, se non anche criticabile.
Alcune affermazioni riportate, sono un fatto oggettivo e indiscutibile: la graduatoria Ocse che ci relega al 34° posto su 70 Paesi, gli studenti, anche universitari, che generalmente scrivono in modo sempre meno corretto, gli studenti o ex studenti che hanno un bagaglio culturale di base molto ristretto e che a momenti fa rizzare i capelli, l’aumento del numero di persone con difficoltà a comprendere un testo scritto, la crescita del numero di studenti non in grado di argomentare con sufficiente correttezza e per almeno un minuto.
Per non parlare – ma questo lo aggiungo io – del numero sempre crescente di ragazzi disgrafici e dislessici, per fermarsi alle difficoltà più comuni.
La Tamaro fa poi delle affermazioni sulle quali si può essere o non essere d’accordo: l’idea, secondo lei errata, che la “modernizzazione informatica” rappresenti la panacea per la scuola, i danni provocati dal “colpo di spugna” dato al riassunto orale e alla ripetizione di un testo a memoria, le colpe del “sistema (…) che ha abbassato il livello delle pretese”, “un sistema politico che ha sempre considerato il Ministero dell’Istruzione come un jolly da tirar fuori dal cappello nei momenti di bisogno, una botta ai sindacati, una botta ai concorsi, un po’ di fumo soffiato in faccia alle famiglie per mascherare che sotto il fumo non c’era nessun arrosto”, l’arroganza di alcuni studenti, sulla quale si interviene – quando si interviene – in modo inadeguato, gli interventi deboli sul “rifiuto di compiere qualsiasi sforzo”, “l’incapacità emotiva di reggere una minima sconfitta” e il fatto che si continua a far “crescere” i ragazzi “con il mito della facilità, del tirare a campare”.
Su tutto questo, che la Tamaro vede come la Caporetto della scuola italiana, personalmente mi trovo d’accordo. Come pure concordo sul fatto che la scuola, avendo smesso di “pretendere”, ha finito per diventare “classista”, con l’approfondire il solco tra chi ha la possibilità di acculturarsi per diverse vie e chi invece, per mancanza di risorse economiche e culturali, rimane sempre più ai margini.
Non condivido invece con la scrittrice triestina il concetto di “autorità”, laddove avrebbe dovuto usare il termine “autorevolezza” per non rischiare di tornare alla vecchia scuola dell’insegnante padrone, a meno che, nei suoi intenti, non vi fosse l’idea di coniugare “autorità” con “fermezza” e “rispetto delle regole”, cosa che purtroppo non avviene non solo nella scuola ma in ogni campo della nostra società, a partire dalla politica. E infatti, come suol dirsi, il pesce puzza sempre dalla testa. Ed è dell’aspetto socio-politico che è carente l’analisi della Tamaro, quando non considera (o lo fa en passant) che una sovrastruttura sociale non è qualcosa di avulso dalla società nella quale si trova, ma ne è strettamente legata e direttamene influenzata, peccando inoltre di superficialità e mancanza di conoscenza quando concede alla riforma renziana attributi e potenzialità che non possiede, definendola addirittura “determinante” per “intaccare la degradata fossilizzazione” nella quale versa la scuola italiana.
Altrettanto non concordo sul fatto che si debba ricorrere a contributi esterni per sopperire all’impegno economico di cui necessita la scuola italiana e mi lascia infine perplesso l’idea che l’abolizione dell’insegnante unico possa essere stata la causa di una perdita nell’ambito dello studio, delle conoscenze e delle abilità.
Tuttavia bisogna chiedersi: come mai la scuola italiana, che a parer mio poteva e potrebbe essere tra le migliori nel mondo, è arrivata a questo punto di degrado e non sembra essere capace di risalire la china?
Purtroppo noi viviamo in una società sconquassata e senza valori, dove la politica marcia e inetta e la corruzione hanno invaso ogni settore della società, dove nessuno sembra avere responsabilità di nulla e dove la cultura del furbo e dell’arrivista è elevata a modello da seguire. Pensiamo e vogliamo illuderci che i ragazzi non respirino quest’aria?
Viviamo in una società in cui è crollata – giustamente – la figura autoritaria in qualunque campo, ma ad essa non si è sostituita la figura autorevole nel suo ruolo. Per cui chiunque si sente in grado di alzare la voce e criticare, contestare qualunque decisione in modo infantile ed egoistico.
Viviamo in una società in cui la persona preparata e capace deve cedere il passo all’ignorante e all’incapace. Una società in cui il mercato e il consumismo fanno da padroni e di conseguenza ogni richiesta di qualsivoglia bambino, ragazzo o adolescente va soddisfatta.
Per quanto riguarda la scuola nello specifico, abbiamo avuto politiche inette e per certi aspetti portate avanti ad arte, che l’hanno devastata per dare spazio (come nella Sanità, d’altronde) al privato.
Così oggi ci ritroviamo con bambini, ragazzini e adolescenti per molti casi troppo infantili rispetto alla loro età, presi dal consumismo e dall’avere, refrattari all’impegno, tanto alla fine si viene promossi, accontentati e premiati ugualmente.
Ci ritroviamo con professori che sono lasciati soli e allo sbaraglio, di fronte alle richieste assurde del Ministero, alla critica e alle pretese altrettanto assurde delle famiglie; insegnanti che vengono privati della dignità e del ruolo che loro spetta; docenti che non sono in grado di unirsi in un Collegio per fronteggiare i capricci di tanti presidi, a loro volta vessati dai loro superiori.
Ci ritroviamo con presidi interessati essenzialmente a tenere alto il numero delle iscrizioni nella loro scuola, i quali arrivano addirittura a rifiutare l’aggiunta di un eventuale asterisco ad un 6 in pagella che in realtà dovrebbe essere un 4. Fornendo così allo studente e alle famiglie la falsa illusione che sia bastato aver balbettato qualche sillaba per prendere la sufficienza.
Presidi che devono gestire mega istituti, costituiti da due, tre, a volte quattro scuole, se non più istituti.
Ci ritroviamo davanti a un Ministero della P. I. che ha fatto di tutto per impoverire e svilire la scuola pubblica a vantaggio della privata. Personaggi e burocrati di dubbie capacità, che hanno emanato caterve di circolari spesso confuse, inutili e deleterie per il buon funzionamento della scuola. Un Ministero che ormai obbliga a promuovere a qualunque costo! E tutti allineati e coperti!
Infine ci ritroviamo davanti alle famiglie che la sanno più lunga dei professori e viene permesso loro di mettere il naso ovunque, difendendo i loro marmocchi a spada tratta e in qualunque situazione, senza capire che per un vantaggio immediato, stanno abdicando all’educazione e maturazione dei loro figli, col male che ne consegue.
E cosa dire delle sperimentazioni che si sono succedute negli anni, dell’esperienza e delle conoscenze di quanti nella scuola hanno lavorato con impegno e creatività, e che avrebbero potuto e potrebbero fornire alle nuove leve? Tutto perduto, buttato a mare!
G. M., insegnante di lingua inglese, da 9 anni in pensione.
Bello scambio! Solo un appunto . Quando Guido dice: “Che un intellettuale metta il naso e sia critico su faccende che riguardano la nostra società non solo fa parte del suo ruolo, ma è anche importante e necessario ai fini di una riflessione e un dibattito che possano crearsi e servire da sprone, fornire idee e contribuire al miglioramento di una struttura e della società”, vero. Ma è altrettanto vero che la visibilità che ha avuto il suo articolo non è la stessa che avranno eventuali dibattiti a seguire. Questo crea la divulgazione di pareri sì noti, ma non per questo completi e competenti. È una lotta impari, come un tutto del resto. A noi non resta che resistere.