Molti hanno scoperto QAnon – teoria del complotto e al tempo stesso rete di estrema destra – lo scorso gennaio, con l’irruzione al Campidoglio di Washington, ma la sua storia è molto lunga. Cosa ha permesso a QAnon di nascere e ingrandirsi? Quali bisogni ha intercettato? Il nuovo libro di Wu Ming 1 La Q di Qomplotto. QAnon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema (Edizioni Alegre) è il frutto di almeno tre anni di ricerca e raccoglie numerose storie e analisi. Non manca anche una critica dell’emergenza pandemica. Qui una citazione estratta dall’Ouverture: “2020, anno di pandemia e narrazioni tossiche, e di circoli viziosi tra la prima e le seconde… Amici che con grande convinzione sostenevano Black Lives Matter e andavano alle marce, gente preoccupata per il cambiamento climatico, persino una collega infermiera che durante un picco di contagi da Covid lavorava con me in terapia intensiva… All’improvviso, tutti si sono messi a condividere le stronzate di QAnon, soprattutto roba su pedofilia, adrenocromo e cerchie di pedofili satanisti. A quanto ne so, sono persone che si dicono ancora liberal, progressiste, di sinistra, e davvero non capisco come possano essersi fatte risucchiare così rapidamente. Parlo di gente sui venticinque anni, che prima appoggiava Bernie Sanders e adesso ripubblica i rigurgiti di QAnon. Che diavolo sta succedendo?…”
Tratta da unsplash.com
La pandemia era stata provvidenziale, o forse era parte del piano. Di certo, grazie a essa si erano salvati mole children a migliaia. Donald Trump, l’eroe di quella storia, aveva approfittato dei lockdown per dare l’assalto alle D.u.m.b. L’operazione più grossa, denominata «Q‑force», si era svolta ad aprile al Central Park di New York.

Il Mount Sinai Hospital aveva allestito nel parco alcune tende per il pre‑triage dei pazienti. Quella era la versione ufficiale. In realtà era un avamposto militare. Nascosto dalle tende l’esercito – o, secondo altre versioni, forze speciali della marina – era sceso lungo un tunnel, aveva raggiunto una D.u.m.b. e l’aveva espugnata, liberando migliaia di bambini – qualcuno diceva trentacinquemila – subito portati su navi‑ospedale segrete. Alcuni soffrivano di gravi deformità, per non aver mai visto la luce del sole.
Infine gli eroici soldati avevano fatto saltare la base, facendola crollare sui satanisti rimasti dentro.
Central Park. Fin dal nome uno dei luoghi più importanti e iconici di una delle più popolose città del mondo. Un ospedale da campo visibile da centinaia di finestre sulla 5th Avenue. Tende da cui era sgorgato un fiume di bambini, scortati da militari e caricati su decine di veicoli. Un’operazione durata ore, con grande dispiego di uomini e mezzi, e culminata in una grande esplosione sotterranea.
Eppure, nessuno aveva visto né udito nulla.
Non importava: in tutto il mondo si era celebrato il successo della missione. Anche in Italia, sui siti non succubi alle menzogne del mainstream. Aveva rilanciato la notizia Alessandro Meluzzi, psichiatra e personaggio televisivo, ex parlamentare di Forza Italia, arcivescovo della «Chiesa cristiana ortodossa italiana acefala», grande sostenitore di Donald Trump e Vladimir Putin.
Fino ai primi d’aprile del 2020 Jessica Prim – trentasettenne di Peoria, Illinois, danzatrice e stripper col nome d’arte “Nikita Steele” – non aveva mai sentito parlare di basi sotterranee, satanisti pedofili, bambini schiavi, adrenocromo, nulla del genere. Scoprire quella realtà le aveva spalancato gli occhi e dato una nuova ragione di vita. Si era messa d’impegno a fare ricerche, condividendo video e altri materiali, dedicandosi sempre più alla causa: denunciare l’orrore, il traffico di bambini da parte della Cabal, la società segreta che controllava gli Stati Uniti e mezzo mondo.
Jessica pensava spesso al video Frazzledrip. Avrebbe voluto vederlo ma non si trovava da nessuna parte, solo qualche fotogramma sfocato. In ogni caso esisteva, tutti lo sapevano.
Il 27 aprile Trump in persona l’aveva designata per una missione. La missione.
Quel pomeriggio Jessica stava seguendo lo streaming di una conferenza stampa e Trump si era rivolto direttamente a lei, l’aveva indicata col dito e le aveva detto: «Please, go ahead». Lei aveva annuito. Era stato un momento biblico: Mosè sente la voce di Dio nel roveto ardente. La chioma del presidente, in effetti, poteva sembrare in fiamme.
Due giorni dopo, mercoledì 29 aprile, Jessica aveva scritto su Facebook:
Hillary Clinton e la sua assistente, Joe Biden e Tony Podesta devono essere fatti fuori in nome di Babilonia! Non posso essere liberata se loro restano in giro. Svegliatemi!!!!!
Poi era salita sulla sua Toyota Tundra ed era partita per New York. Il telefono fissato al cruscotto, aveva trasmesso il proprio viaggio in diretta su Facebook e annunciato il suo intento: «Far fuori Joe Biden». Era convinta di poterlo trovare a New York.
Poche ore dopo una pattuglia aveva fermato la Toyota su un vialetto di servizio dell’Hudson River Park, nei pressi del molo 86 dov’era all’ancora la nave‑museo Uss Intrepid. Jessica era in stato confusionale. Nel video dell’arresto faceva tenerezza: scossa da brividi, magra, le ciocche bionde che spuntavano da un berretto nero. «Ho tanta paura!», gridava tra i singhiozzi. Un agente le diceva di calmarsi e spegnere l’auto. «I’m so scared!», ripeteva lei.
Jessica aveva confuso l’Intrepid con la nave‑ospedale Comfort. Quella dove l’esercito aveva portato i bambini‑talpa di Central Park. Anche lei voleva essere ricoverata. «I need help!», aveva urlato agli agenti, in lacrime. «I think I have… I think I’m the coronavirus!». Penso di essere il coronavirus. Chissà cosa intendeva dire. Il tutto sempre in diretta su Facebook.
La polizia aveva trovato sulla Toyota diciotto pugnali. «Avete sentito di quei bambini?», aveva chiesto Jessica agli agenti, mentre la ammanettavano.
Nel luglio 2020 la Wayfair, azienda di mobili con sede a Boston, era stata scoperta con le mani nel sacco. Guardando il catalogo on line ad alcuni era parso strano che certi armadi avessero nomi di persona. Nomi inusuali per giunta: Aanya, Anabel, Samiya. Inoltre gli articoli sembravano davvero troppo costosi, dai diecimila dollari in su. Doveva esserci sotto qualcosa. Forse quegli annunci… erano inserzioni per vendere bambini!
L’intelligenza collettiva si era messa al lavoro.
Grazie alle ricerche erano spuntate notizie di minori scomparsi che avevano proprio quei nomi. Dunque era vero, non si trattava di armadi: la cifra indicata era il prezzo del minore in vendita. Ad esempio l’armadio Samiyah, che costava dodicimila dollari, era in realtà Samiyah Mumin, adolescente scomparsa in Ohio nel maggio 2019.
Solo che Samiyah non era scomparsa. Si era allontanata da casa per soli quattro giorni. Inferocita, la ragazza aveva pubblicato un video in cui ridicolizzava le scoperte degli improvvisati detective. Ma chi poteva escludere che anche l’invettiva fosse parte del piano? Forse, in caso di sospetti, la Wayfair aveva pronte false testimonianze estorte ai minori prigionieri.
Quanto al prezzo alto, un portavoce dell’azienda aveva spiegato all’agenzia Reuters che quelli erano armadi da stoccaggio, articoli di grandi dimensioni progettati per aziende, più costosi dei comuni mobili domestici. Ma era difficile accontentarsi di una simile spiegazione, non si poteva chiudere gli occhi davanti a un traffico tanto schifoso.
Alle nove di mattina del 12 agosto 2020 – un altro maledetto mercoledì – Cecilia Fulbright, trent’anni, era salita sulla sua Pontiac Fiero rossa e si era messa in strada, decisa a fermare il traffico di bambini nella sua città, Waco, Texas. Era reduce da tre giorni e tre notti di ricerche on line sulla Cabal e i suoi crimini, e aveva bevuto per darsi coraggio.
Alle 9:20 aveva avvistato un furgone di consegne per la ristorazione. Al volante c’era una donna, e sul sedile del passeggero sedeva una bambina. La situazione era chiara come il sole. Cecilia si era lanciata all’inseguimento. Aveva più volte cercato di speronare il furgone ma la satanista era riuscita a fuggire con la sua vittima.
Venti minuti dopo, sulla 19th Street, Cecilia aveva visto una Dodge Caravan guidata da una giovane donna. L’intuito non mentiva: anche quella era una pedofila. Doveva agire subito.
Cecilia era riuscita a speronare e urtare la Dodge più volte, senza riuscire a mandarla fuori strada, finché l’inseguita non si era infilata nel parcheggio di un supermercato H‑E‑B. Nel correrle dietro Cecilia aveva perso il controllo della Pontiac ed era finita contro un pilone di cemento. La polizia l’aveva trovata ancora seduta nell’auto, scossa dal pianto e dai singhiozzi.
Nella foto segnaletica aveva la faccia pesta e un cerotto sul naso. Sogghignava, ma incerta.
Il 2020, anno di pandemia e narrazioni tossiche, e di circoli viziosi tra la prima e le seconde. Il 19 febbraio, giorno della strage di Hanau, il Covid‑19 si era appena palesato in Occidente. In Germania i casi noti si contavano sulle dita di una mano. Le altre storie, invece, si erano svolte negli Stati Uniti colpiti in pieno, con l’amministrazione Trump che negava il problema, diversi stati e città in lockdown, gente che perdeva il lavoro e non poteva curarsi, proteste anti‑lockdown, proteste pro‑lockdown, violenze poliziesche che colpivano una cittadinanza esasperata e scatenavano rivolte urbane.
Gran parte degli americani era confinata in casa, o comunque senza lavoro, senza un posto dove andare: cinema, teatri, circoli, bar, negozi, tutto chiuso. La vita quotidiana si era ritirata, come in un’improvvisa bassa marea, lasciando un vuoto che andava occupato in qualche modo. E così la gente viveva, si sfogava e cercava consolazione sui social network. Navigando incontravano certe storie, si convincevano che erano vere, si caricavano la molla a vicenda, e a un certo punto le molle scattavano.
E nei resoconti ricorreva un nome: QAnon.
Amici che con grande convinzione sostenevano Black Lives Matter e andavano alle marce, gente preoccupata per il cambiamento climatico, persino una collega infermiera che durante un picco di contagi da Covid lavorava con me in terapia intensiva… All’improvviso, tutti si sono messi a condividere le stronzate di QAnon, soprattutto roba su pedofilia, adrenocromo e cerchie di pedofili satanisti. A quanto ne so, sono persone che si dicono ancora liberal, progressiste, di sinistra, e davvero non capisco come possano essersi fatte risucchiare così rapidamente. Parlo di gente sui venticinque anni, che prima appoggiava Bernie Sanders e adesso ripubblica i rigurgiti di QAnon. Che diavolo sta succedendo?
Era un messaggio apparso ad agosto nel forum QAnon‑Casualties di Reddit, luogo di informazione e mutuo appoggio per chi aveva perso familiari o amici, scivolati nella “buca del coniglio” e non ancora riemersi.
Rabbit hole, come in Alice nel paese delle meraviglie: così era chiamato l’ingresso nel mondo QAnon.
Nel 2020 il fenomeno era cresciuto a dismisura e finalmente ci si era accorti del pericolo. Anche in Europa, soprattutto in Germania. Persino in Italia, con un ritardo di due anni, era suonato l’allarme.
Con ogni probabilità partito come burla, QAnon stava giocando un ruolo importante nella campagna elettorale americana, stava mettendo in difficoltà gli amministratori delle grandi piattaforme social ed era a tutti gli effetti una rete – anzi, a cult, come sempre più spesso era definito: una setta – globale.
A QAnon si adattavano fin troppe definizioni. Io ne avevo isolate cinque. QAnon era:
1. Un gioco di realtà alternativa divenuto mostruoso;
2. un modello di business;
3. una setta che praticava forme di condizionamento mentale;
4. un movimento reazionario di massa che cercava di entrare nelle istituzioni;
5. una rete terroristica in potenza.
Ed era diventato tutto ciò in soli tre anni.
Ma nell’ottobre 2020 il nome «QAnon» sembrava sul punto di svanire. Il movimento vi stava rinunciando per aggirare la censura sui social. E perché no, se la prova generale era stata un successo?
Ad agosto e settembre Facebook e Twitter, dopo un lungo tentennare, avevano preso provvedimenti contro il dilagare di QAnon, chiudendo migliaia di profili, rimuovendo pagine e oscurando hashtag. I credenti avevano risposto diluendo il proprio messaggio e impadronendosi di un hashtag già esistente: #savethechildren. Quando l’omonima organizzazione umanitaria aveva preso le distanze l’hashtag era ormai ovunque e dava il nome a mobilitazioni dall’aria innocente, negli Stati Uniti e in altri paesi.
Accantonando il solito gergo, le sottotrame barocche e i dettagli orripilanti, la setta aveva potuto sia aggirare blocchi e divieti, sia agganciare nuovi adepti, che in capo a pochi giorni si erano messi a condividere notizie inventate sulle D.u.m.b. e l’adrenocromo.
E ogni giorno si vedevano più donne.
Su QAnon circolavano molti cliché del genere mai‑prima‑d’ora. Il più frequente riguardava proprio le donne. QAnon era la prima sottocultura «complottista» a preponderanza femminile, si diceva. Ma era falso. Nelle cerchie del cospirazionismo la tendenza a un crescente protagonismo delle donne era in corso da quarant’anni. QAnon aveva solo dato maggiore visibilità al fenomeno. Se gli osservatori non se n’erano accorti era perché avevano guardato alle cerchie sbagliate.
Ad ogni modo, la strategia del camouflage era piaciuta all’invisibile pope del “qulto”, il sedicente Q, che l’aveva ratificata. In uno dei suoi dispacci aveva scritto: «Mimetizzarsi. Lasciar cadere i riferimenti a “Q”, “QAnon”, ecc. per evitare messe al bando e chiusure di account».
Com’era cominciata quella storia?
Wu Ming 1
©Edizioni Alegre 2021
Salve, seguo da tempo l’argomento. Esiste Q ed esistono gli anon. I qanons de noaltri è fuffa. Confondono le idee, diffondono stupidaggini e sono lontani mille miglia dall’aver compreso il disegno.
Vai a disegnare coi gessetti sui marciapiedi, queste sono belle giornate di sole, staccati dallo schermo (l’unica dimensione dove “esiste Q”, nella vita reale suo papà e i suoi amici lo chiamano Ron, e non è il cantante), goditi l’aria aperta.
Ci sarà un successivo approfondimento vero?
Grazie
Il libro ha 600 pagine, prima di chiedere “approfondimenti” leggiamole…