La guerra in Ucraina non sembra avere vie d’uscita. Intanto, malgrado le astrazioni, le rigidità burocratiche e le contraddizioni normative finalmente in alcuni territori le case e la vita di ogni giorno di diversi nuclei familiari, supportati da reti comunitarie, si aprono a donne e bambini in fuga. Accade anche nella periferia romana

Le cassette di uva fragola sul pianerottolo emanano un profumo molto accattivante, inviterebbero a bussare a quella porta, se non fosse che quella porta è già ampiamente aperta, fisicamente e metaforicamente. La casa di Paola è una delle prime tre abitazioni nelle quali dai pochi giorni è stata attivata l’esperienza dell’“accoglienza diffusa” di donne e bambini fuggiti dalla guerra in Ucraina presso nuclei familiari romani.
Quando in marzo la Caritas di Roma lanciò l’appello la risposta fu generosamente significativa: un centinaio di famiglie offrirono subito le stanze delle proprie case e la disponibilità ad accogliere nei propri spazi e nei propri tempi di vita familiare chi ne necessitava.
Le lentezze, le astrazioni, le rigidità burocratiche – ben richiamate nell’articolo Cosa è andato storto nell’accoglienza degli ucraini – unite alla complessità del sistema da mettere in piedi hanno rallentato e ridotto in modo significativo i numeri, ma da qualche settimana finalmente si è avviata una prima esperienza “pilota” grazie a tre famiglie del quartiere di Casal de Pazzi (Roma est).
Una famiglia per una famiglia con una rete della comunità che condivide e supporta: dal parroco della parrocchia di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi – che ha gettato l’amo e tira le fila -, ai volontari e alle volontarie della Caritas locale passando per i vicini di casa. “Nei prossimi giorni – racconta Paola – vorrei proporre ad Ilona di incontrare gli amici del palazzo, così da potere avere anche dei riferimenti qualunque cosa potesse servire. Ho aspettato un po’ perché prima si ambientasse qui da me, ma penso possa essere importante per lei e anche per noi. Che poi – aggiunge con legittimo e soddisfatto vanto – nella nostra scala siamo tutti amici, gli altri ci invidiano molto”.
Ivona è arrivata a Roma in cerca di una doppia speranza: quella di lasciare Odessa e la guerra, per ritrovarla al più presto libera da questa tragedia, e quella ancora più importante di seguire le cure del piccolo Misha, che da due anni a questa parte sono la sua assoluta priorità.
In pochi giorni queste due donne hanno costruito una relazione di reciproca attenzione e disponibilità, felici di esserci l’una per l’altra. Una storia che è solo agli inizi.
Ringraziamo il parroco don Paolo Matarrese e tutta la comunità di Santa Maria Maddalena de Pazzi.