Come altrove nel mondo l’estrattivismo e lo sfruttamento indiscriminato di combustibili fossili va di pari passo con la repressione di ogni forma di resistenza. Accade in Messico, in Nigeria, in Amazzonia, e anche nel cosiddetto Nord del mondo. In Canada, ad esempio, dove da settimane si assiste a una mobilitazione senza precedenti in tutto il paese a sostegno della First Nation Wet’Su’Weten scesa a difesa del proprio territorio ancestrale minacciato dalla costruzione di un gasdotto nella Columbia Britannica
C’è una lotta in corso della quale poco o nulla si sa da questa parte dell’Oceano, una lotta per il diritto all’autodeterminazione che va avanti da mesi ormai tra la First Nation Wet’Su’Weten, della Columbia Britannica ed il governo del premier canadese Justin Trudeau. In gioco l’integrità delle terre di questa First Nation, ed il diritto alla proprietà ancestrale alla quale non hanno mai rinunciato. Terre sacre ed antiche ora minacciate dalla costruzione di un gasdotto, il Coastal GasLink lungo 670 kilometri per un valore di 6,6 miliardi di dollari. Da dicembre quando la Corte Suprema della Columbia Britannica ha autorizzato i lavori di costruzione la protesta è cresciuta in maniera esponenziale.
Non solo sul sito, dove l’intervento violento della polizia, le Giubbe Rosse ora non più a cavallo con uniformi rosse, ma forze paramilitari armate in assetto da combattimento, ha portato all’arresto di 20 persone. Non si sono fatti scrupoli neanche ad andare contro le donne anziane della comunità. Le mobilitazioni si sono allargate a macchia d’olio in tutto il Canada. Blocchi stradali, cortei, sit-in, davanti al parlamento di Vancouver, il porto della città paralizzato da giorni, ed i Mohawk della cosa Est ora sul piede di guerra per solidarizzare con i loro fratelli e sorelle della Columbia Britannica.
Come quando a Montreal da Kahnawake presero il Mercier Bridge e paralizzarono per settimane il traffico della città in solidarietà con i loo fratelli Kanesatake, sul piede di guerra per proteggere le loro terre sacre dall’espansione di un campo da golf. Un conflitto che fece il giro del mondo, con le immagini dei carri armati dell’esercito canadese che fronteggiavano guerrieri mohawk armati.
Da tempo fin dal primo giorno dell’insediamento di Trudeau si era capito che il conflitto con le First Nations non si sarebbe sopito, anzi. I progetti di gasdotti e oleodotti che dovrebbero attraversare come una ragnatale tutto il paese devono far i conti con una capacità di mobilitazione rafforzata da parte delle First Nations, del movimento Idle No More e della solidarietà di associazioni ambientaliste, studenti, lavoratori.
La risposta del governo è la forza indiscriminata e gli arresti arbitrari, contro una mobilitazione il cui significato ormai va ben oltre al caso specifico, e riguarda le relazioni tra governo e First Nations in tutto il paese, ed un persistente rapporto coloniale che affonda le radici nel periodo nel quale gli agenti della Corona si presentavano nelle terre indigene in Columbia Britannica, per distruggere ogni forma di vita collettiva, accusando quelle comunità di essere parassite e nullafacenti. “
I nostri popoli e la nostra Madre Terra non possono più permettersi di essere ostaggi economici della corsa all’industrializzazione delle nostre terre ancestrali. E’ tempo di insorgere e riprenderci il nostro ruolo di custodi e guardiani della terra” nelle parole di Eriel Deranger, delle First Nations Athabasca Chipewyan.
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