Era arrivata in Messico da El Salvador per sottrarre le sue due figlie adolescenti e se stessa agli abusi e alle violenze del convivente. Per questo le era stato riconosciuto lo status di rifugiata. Negli ultimi giorni di marzo, entrata in un negozio per comprare acqua, aveva perso la calma e mostrato visibilmente la sua esasperazione. Senza aggredire nessuno né procurare alcun danno né alle persone né alle cose. All’uscita è stata fermata da 4 agenti della polizia messicana, tre uomini e una donna. È stata proprio la donna a provocarle la frattura vertebrale schiacciandole il collo con il ginocchio mentre era immobilizzata terra. Una scena terrificante e fin troppo simile a quella che ha condotto alla morte George Floyd negli Stati Uniti. Sappiamo solo che Victoria continuava a muovere le gambe, poi ha perso i sensi, ma gli agenti incuranti del suo stato l’hanno lasciata a lungo per terra senza prestarle alcun soccorso né chiamare un’ambulanza. È avvenuto per la tonalità non abbastanza rosea della sua carnagione? Perché si trattava di una donna? Di una migrante? Di una donna, straniera, povera e pure rimpiscatole? Certo, probabilmente non sarebbe accaduto a un signore vestito diversamente, ma di certo è accaduto e accade molto altre volte, in Nordamerica e altrove. L’esecuzione di Victoria da parte di rappresentanti dello Stato messicano, perché di questo si tratta, è stata filmata da un passante. Per questo la stiamo raccontando

Il 27 marzo la polizia di Tulum, città caraibica nello stato messicano del Quintana Roo, ha assassinato Victoria Salazar, una donna salvadoregna che dal 2018 era stata accolta in Messico con lo status di rifugiata. Come quasi tutte le migranti e rifugiate del paese, lavorava nei servizi, in un albergo. Era madre di due adolescenti.
Victoria è stata messa a terra da quattro agenti di polizia e, secondo il rapporto dell’autopsia, la morte è stata causata da una frattura nella parte superiore della colonna vertebrale, tra la prima e della seconda vertebra.
Noi che facciamo parte delle organizzazioni che sostengono ogni giorno le donne migranti e le loro famiglie, siamo inorriditi nel vedere come coloro che sono incaricati di proteggere la società, abbiano potuto uccidere una donna con questa brutalità.
Senza conoscere i dettagli, ci chiediamo quanto le vulnerabilità della signora Victoria abbiano influito sul perché la polizia, in quel momento, non abbia rispettato i protocolli per l’uso della forza e non abbia chiamato un’ambulanza quando oramai lei non rispondeva più.
È accaduto perché era una donna? Perché era straniera? Per il colore della pelle? Per la sua età? O perché sembrava povera?

Non lo sappiamo, ma intuiamo che, al di là dei fattori della discriminazione, è la certezza dell’impunità il fattore principale che ha permesso agli agenti di continuare a tenerle il ginocchio sul collo. È invece il fatto che qualcuno abbia filmato l’episodio e che le organizzazioni femministe si siano immediatamente mobilitate in rete è ciò che ci dà la possibilità di cercare giustizia per Victoria.
Questa è la ripugnante ma importante differenza tra il caso di Victoria e gli altri femminicidi, omicidi e atti violenti contro la popolazione migrante da parte delle autorità che si sono verificati negli ultimi anni. Sono stati tenuti nascosti, non hanno prodotto la stessa reazione da parte dello Stato, né le stesse indagini, né la stessa copertura mediatica, né le stesse richieste da parte della società di quest’ultimo caso.
Eppure, come società, dimostriamo di non essere all’altezza. Le immagini di agenti di polizia che uccidono Victoria con un uso eccessivo della forza, come si è visto in diversi video, ricordano quello che è successo nel maggio 2020 negli Stati Uniti con George Floyd.
Tuttavia, a differenza di quell’evento, questo assassinio non ha occupato le prime pagine di tutti i giornali nazionali, non ci sono state marce tumultuose contro l’uso eccessivo della forza da parte della polizia, contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione di genere, profondamente radicati in Messico.
Alcuni media si sono limitati a titolare “donna migrante muore”. Victoria non è morta, è stata uccisa. Il modo in cui i fatti vengono descritti e la reazione della società sono importanti per cominciare a invertire la piaga dell’impunità, ma anche il sistema di giustizia penale deve cambiare in modo che non sia solo la società che, attraverso i video dei cellulari, raccoglie le prove e fa le indagini.
Il caso di Victoria non è isolato né un’eccezione, è emblematico dell’uso eccessivo della forza, usato troppo spesso da parte della polizia, e di ciò che i migranti e i rifugiati e le loro famiglie sperimentano continuamente. Nel dicembre 2018, una donna è stata uccisa da agenti di polizia che hanno sparato da un veicolo sulla strada La Venta – Agua Dulce, a Veracruz. Nel marzo 2020 è circolato un video in cui i poliziotti di Tijuana asfissiano un uomo, e pochi giorni fa, il 30 marzo 2021, il Ministero della Difesa Nazionale ha ammesso che un militare ha ucciso per sbaglio un migrante guatemalteco in Chiapas.
Le organizzazioni della società civile messicana e le organizzazioni internazionali hanno documentato, per decenni, la violenza subita dalle donne migranti, soprattutto durante la loro detenzione da parte dell’Istituto Nazionale delle Migrazioni (INM) e il transito attraverso il paese. Hanno denunciato l’aumento della violenza da parte della polizia, dell’esercito e, recentemente, della Guardia Nazionale durante lo svolgimento del lavoro di contenimento della migrazione.
Il 27 ottobre 2020, la Commissione Nazionale dei Diritti Umani ha emesso la Raccomandazione 50/2020 per le aggressioni contro i migranti nei comuni di Suchiate e Frontera Hidalgo, Chiapas, da parte di elementi dell’INM e della Guardia Nazionale.
Attualmente, la Corte Suprema di Giustizia della Nazione sta esaminando l’incostituzionalità della partecipazione della Guardia Nazionale nel controllo dell’immigrazione.
Le immagini e i video ci hanno permesso di conoscere il caso di Victoria ma quante donne migranti o rifugiate sono state uccise dall’uso eccessivo della forza da parte della polizia o dei militari o della Guardia Nazionale o degli agenti dell’Istituto Nazionale delle Migrazioni? È probabile che non lo sapremo, dato che non esiste un registro nazionale che ci permetta di conoscere i tipi e le modalità di violenza a cui sono sottoposti. Tra il 2014 e il 2016, del numero totale di crimini commessi contro la popolazione migrante, il 99% dei casi è rimasto impunito.

Oggi, a pochi giorni dall’omicidio di Victoria, ci sono ancora molte incognite da risolvere, ma soprattutto è necessario che il governo federale e locale garantiscano un’indagine rapida e trasparente come femminicidio, per uso eccessivo della forza. Serve un processo che garantisca la riparazione dei danni e l’adozione di provvedimenti che garantiscano l’impossibilità che simili eventi possano ripetersi.
Misure, che dovrebbero includere riforme strutturali del sistema di pubblica sicurezza dello stato di Quintana Roo, oltre che la formazione professionale nell’uso della forza. Così come servono misure che garantiscano alla polizia salari e condizioni di lavoro decenti, che il suo lavoro sia rispettato e che abbia la massima certezza che la violazione dei protocolli avrà delle conseguenze.
La giustizia penale non potrà certo restituirci Victoria, ma la sua vita continuerà attraverso le due figlie adolescenti rimaste orfane. Dove troveranno sicurezza ora, se non possono vivere in El Salvador, ma nemmeno il loro paese di rifugio può proteggerle? È una questione profonda da risolvere per ottenere elementi di giustizia.

Nell’udienza che ha avuto luogo il 3 aprile, tuttavia, si sono almeno ottenute le misure precauzionali ordinate da un giudice di controllo del distretto di Tulum che ha deciso di portare i quattro poliziotti al processo per il reato di femminicidio contro Victoria Salazar.
Nel frattempo, il suo corpo sarà rimpatriato con un volo privato, accompagnato dalla famiglia e dalle figlie che andranno a El Salvador per dire addio alla loro madre. Il prossimo passo, però, dovrebbe essere quello proteggere le ragazze in modo che non siano costrette a vivere la stessa insicurezza della madre.
#Justice for Victory continuerà ad essere lo slogan, per lei, per le figlie e per tutte le donne migranti e rifugiate che vengono uccise in questo paese.
Fonte originale: Desinformemonos. Titolo: Habitar un país que no reconoce la violencia sistémica contra las mujeres… migrantes y refugiadas
Traduzione per Comune-info: Marco Bettinelli
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