Perché sono qua, anche stavolta? Non mi riferisco ai cosiddetti massimi sistemi, ovvero l’essere in vita oggi, in questo tempo e in questo luogo.
Semplicemente qui, su questa pagina nel mio caso, così come nelle altre virtuali che ho appena visitato, consultato e assorbito mio malgrado. Siamo qui come semplici spettatori inerti senza alcuna chance di mutare tale condizione? Se è così, ditelo subito, vi prego, giacché il tempo che abbiamo davanti non è così tanto come sembra. Di sicuro il mio non mi pare più infinito come in passato e, forse, non è detto che sia un male.
Siamo qui perché possiamo fare qualcosa per cambiare noi stessi e di conseguenza ciò che ci circonda, per quanto in misura appena percettibile? In tal caso, che il cielo o chi altri in sua vece ce ne convinca al più presto, perché oltre al nostro tempo è a rischio quello di un’enorme quantità di esistenze più fragili di noi e anche più necessarie al futuro del pianeta.
Siamo, infine, qui perché siamo in grado o meno di fare entrambe le cose e ciò dipende solo dal famigerato libero arbitrio di cui alcuni, giammai la maggior parte, sono stati omaggiati dal destino? Be’, allora… non dico tutto, ma molto è ancora possibile, no?
Ecco, senti queste tre storie, quindi, perché le ho appena lette.
C’è ora una madre negli Usa che è stata arrestata e deportata in Messico mentre era ancora nel letto dell’ospedale con in braccio ben due gemelli appena nati assieme agli altri due fratellini maggiori perché a differenza dei neonati non hanno visto la luce nella Terra delle opportunità negate, come l’ha chiamata tempo addietro un mio amico storyteller americano.
C’è adesso, mica nel secolo scorso brutto e cattivo, nel Regno Unito o Disunito a seconda da dove ci arrivi, una coppia del Pakistan che rischia di essere altrettanto cacciata dal Paese in cui stanno insieme da ben quattordici anni. Niente di particolare, ormai, tranne per il fatto che l’uomo è fuggito dalla sua nazione d’origine per evitare un matrimonio combinato. La fidanzata in patria, altrettanto costretta, si è suicidata e ora, di fronte alla minaccia della separazione, anche la sua nuova compagna minaccia di togliersi la vita.
E c’è anche il famigerato barcone a chiudere il cerchio, che non manca mai in tema di anime condannate dal nostro tempo per un sacrosanto diritto trasformato impunemente in un reato, ovvero quello di camminare liberamente sulla Terra.
In questo istante ci sono cento persone, cento esseri umani, uno, due, tre fino a quanto appena scritto nostri simili, malgrado quel che ci raccontano incessantemente, alla deriva in mezzo al mare. Al contempo, vi sono ben tre navi mercantili nei pressi che il benedetto uccello del mare, l’aereo della Sea Watch, sta invano cercando di convincere a intervenire per trarre in salvo quelle vite. E sì, è “invano” la parola sbagliata, indovinato.
Nel mentre, noialtri che leggiamo e osserviamo, siamo qui. Perché? Sarà che il Natale si avvicina, o forse è piuttosto la fine dell’anno, ma voglio sperare che le ragioni per la maggioranza, o anche solo una coraggiosa e indomita minoranza, di chi assiste a tutto ciò sia sufficiente anche solo a provare a cambiare il finale di queste storie. O, perlomeno, di quelle che verranno…
Pubblicato su Storie e Notizie, qui con il consenso dell’autore.
Alessandro Ghebreigziabiher (scrittore, narratore e attore teatrale, il suo ultimo libro è Specchi delle nostre brame) ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura.
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