La palestra popolare, il doposcuola (foto), l’ambulatorio sociale, la casa di quartiere, la costituenda comunità energetica, il comitato Quarticciolo ribelle, il laboratorio di quartiere gestito con l’Università La Sapienza… Scrive Carlo Cellamare: “Non c’è intervento esterno e dall’alto a carattere securitario che potrà mai risolvere i problemi. Al contrario servirebbero politiche capaci di sostenere e sviluppare gli anticorpi sociali che i territori esprimono e che spesso sono già presenti nei quartieri…”

La replica del «modello Caivano» portata avanti dal governo non funzionerà per il rilancio dei quartieri in difficoltà, mentre trascura tutti gli interventi che in molte periferie italiane potrebbero essere efficaci. Questo perché si interviene in contesti che non si conoscono a sufficienza e ci si lascia condizionare e depistare da allarmi mediatici e luoghi comuni che fanno facilmente presa sull’opinione pubblica. Si agisce cioè sulla paura collettiva, che cresce in un Paese in difficoltà soprattutto nelle periferie marginalizzate, dove la qualità della vita è minore. E così si fa peggio.
Nei quartieri dove le difficoltà sono maggiori, le realtà locali che operano per la riqualificazione e il rilancio devono superare non solo le deficienze strutturali ma anche i luoghi comuni e la stigmatizzazione.
LEGGI ANCHE:
Non c’è intervento esterno e dall’alto a carattere securitario che potrà mai risolvere i problemi. Al contrario servirebbero politiche capaci di sostenere e sviluppare gli anticorpi sociali che i territori esprimono e che spesso sono già presenti nei quartieri. Non ci si nasconde che in alcuni di questi contesti sono presenti criminalità organizzata e spaccio, ma vanno combattuti a partire dal sostegno alle realtà locali impegnate (spesso da lunghissimo tempo) nel fronteggiarle e nel praticare un modello di vita e di sviluppo alternativo. E poi bisogna investire massicciamente e continuativamente in politiche strutturali che diano prospettive di futuro a chi abita in quei quartieri: politiche abitative che assicurino una casa per tutti (a Roma più di 18mila famiglie sono in lista di attesa per un alloggio pubblico) e qualità delle abitazioni adeguate; politiche a sostegno del lavoro e dell’occupazione; politiche educative e di collaborazione tra le scuole e il territorio, come tante esperienze di patti educativi e di comunità educanti ci dimostrano; difesa del commercio locale, che oltre ad essere un’attività produttiva sostiene la rete di socialità; sviluppo di un adeguato sistema di servizi e di trasporti che diano uguali opportunità a tutti i quartieri.
Ma fondamentale è soprattutto sostenere le realtà locali impegnate sul fronte della riqualificazione e del rilancio dei quartieri, che rappresentano già oggi gli anticorpi sociali che vivono all’interno di questi luoghi. Perché l’obiettivo deve essere sostenere l’autonomia e non creare prospettive di dipendenza.
Alcuni dei quartieri individuati dal governo per replicare il «modello Caivano» sono impegnati già oggi in percorsi interessanti e costruttivi. Il Quarticciolo a Roma rappresenta un modello positivo, per due motivi principali. In primo luogo, sono presenti realtà sociali attive, che vivono nel quartiere e che svolgono quelle attività che ne permettono la vivibilità a fronte della carenze delle politiche pubbliche (soprattutto in campo abitativo): la palestra popolare, il doposcuola popolare che lavora anche all’interno di una rete collaborativa con le scuole e le altre istituzioni culturali come la biblioteca (che però si minaccia di chiudere), l’ambulatorio sociale, la casa di quartiere, le nuove attività produttive e il recupero di spazi abbandonati, la costituenda comunità energetica, il comitato Quarticciolo ribelle animatore di queste attività e delle iniziative sociali e culturali, nonché delle reti mutualistiche e di solidarietà che sostengono il quartiere (ad esempio, nel rapporto con gli anziani). In secondo luogo, perché si sono sviluppate nel tempo forme collaborative con le istituzioni, in particolare con il locale Municipio e il Comune di Roma, che a sua volta ha sostenuto lo sviluppo di un laboratorio di quartiere, gestito dall’Università La Sapienza. Forme di collaborazione che hanno permesso di pensare e costruire progetti importanti, dalla riqualificazione delle aree verdi, al sostegno di politiche per l’occupazione, alla riattivazione di servizi sportivi. Sono queste le modalità di lavoro che bisognerebbe sostenere.
Pubblicato sul manifesto del 21 gennaio 2025
Carlo Cellamare, docente di Urbanistica nella Facoltà di Ingegneria civile dell’Università La Sapienza di Roma e direttore della rivista «Tracce Urbane», ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
Lascia un commento