«Una mia carissima amica, una volta mi disse di provare paura ogni volta che incrociava la strada con poliziotti o carabinieri. “Perché devi aver paura? Non hai mai fatto nulla di male”, le avevo chiesto. La mia amica, avendo perso prematuramente il padre, era maturata subito. In quel momento preciso della nostra storia comune si trovava dieci chilometri avanti a me e aspettava pazientemente il mio arrivo alla meta. “Ho paura perché quando li vedo mi sento in colpa… Penso che sia una cosa che ci portiamo dentro, nel sangue voglio dire…». Questi stralci fanno parte di un libro prezioso. L’autrice, Giovanna Mulas, ha una scrittura elegante, ricercata, ma prima di tutto orientata: i temi dei diritti e la violenza contro le donne sono da sempre al centro della sua attività di scrittrice, saggista, drammaturga. In questo testo, si parla di abitudini a piegarsi ai poteri di qualsiasi tipo, di territori e servizi pubblici in mano alla criminalità organizzata, di persone che sfruttano il lavoro di altre persone, di cittadini lasciati soli dalle istituzioni ma anche dalle comunità locali… Nel leggerlo sarò forte la risonanza con quanto accade in tanti territori diversi…
“(…) Ogliastra come serra, allevamento di manodopera per la criminalità organizzata? Devastazione delle risorse pubbliche, negazione del merito a vantaggio dei raccomandati: Homo Corruptus, con prezzo pagato da tutti i cittadini. Le tangenti nascono da un imprenditore che paga, dal suo politico che decide quindi dal funzionario pubblico esecutore, che concretizza l’atto illecito. Con impresari che, oggi, lasciano il posto alla criminalità organizzata che predilige le mazzette ai fucili calibro 12 caricati a pallettoni.
Dietro la responsabilità di assunzione di un assessorato all’edilizia pubblica o ai servizi sociali Quali e Quanti interessi economici si muovono, a maggior ragione in un micro contesto affondato nell’analfabetismo strutturale quale è Lanusei, non in grado di comprendere la reale portata della corruzione radicata? Certo è che oggi un assessore ha più occasioni di rubare rispetto a un sottosegretario del governo centrale.
I giorni scorsi tornavo con la memoria alla mia adolescenza. Una mia carissima amica del tempo, Alessandra S., originaria di Oniferi, una volta mi disse di provare paura ogni volta che incrociava la strada con poliziotti, o carabinieri. “Perché devi aver paura? Non hai mai fatto nulla di male”, le avevo chiesto. La mia amica, avendo perso prematuramente il padre, era maturata subito. In quel momento preciso della nostra storia comune si trovava dieci chilometri avanti a me e aspettava pazientemente il mio arrivo alla meta. “Ho paura perché quando li vedo mi sento in colpa… Penso che sia una cosa che ci portiamo dentro, nel sangue voglio dire”.
Quelle parole racchiudevano tutta la Sardegna, soprattutto l’amata Barbagia: infrattata, timorosa di qualsiasi invasione. Alla difensiva. Una forza espressa attraverso l’adattamento al cambiamento che ad oggi resta la più grande fragilità della stessa isola. Temere è erigere muri e confini; adattarsi è piegarsi anche quando non devi, comunque fin quando passa il fiume in piena, è scoprirsi e scoprire le proprie debolezze. Autentico paradosso: apertura attraverso la chiusura, piegarsi per non morire. La cagionevolezza su cui storicamente fa leva la criminalità organizzata: l’uso e abuso di ‘braccia forti’ e soltanto nostre, instancabili. Ma non basta morire come muli, sfiancati dal lavoro cieco, per farti uomo e per comprendere il meschino sfruttamento che si nasconde dietro intere, illecite giornate di lavoro. Su un mulo che crepa per aver girato ininterrottamente la ruota accontentandosi di una mollica c’è un ‘uomo’ che guarda e si attovaglia in municipio, che magari hai votato illuso da promesse di giri e giri e giri di ruota. Homo corruptus, che probabilmente sorride guardandoti di sottecchi cedere eppoi crepare. In fondo ha mantenuto la sua promessa. (…)”
*Da Sardegna di Mafia: Lanusei
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