C’è un piccolo movimento territoriale che da alcuni anni ha imparato a mettersi in viaggio. Per immaginare e vivere i territori fuori dalle logiche dei bandi e dalle ossessioni dell’economia turistica. Per legare le piazze dei paesi dell’Appennino come luoghi in cerca di relazioni sociali ed educative. Per lasciare spazio al protagonismo delle donne. Insomma, per cercare orizzonti di senso con cui creare un presente e un futuro diversi. È il viaggio del Festival culturale dei borghi rurali della Laga
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Il 23 aprile, presso la Società Geografica Italiana, abbiamo presentato la terza edizione del Festival Culturale dei Borghi e dei Sentieri della Laga. Abbiamo imparato negli anni attraverso le pratiche e l’esperienza diretta che ogni processo formativo inclusivo, di apprendimento umano, di partecipazione e di organizzazione sociale, senza distinzione di età o di provenienza, si muove partendo dal nostro sentire sensibile, da un coinvolgimento diretto e personale che paradossalmente ci trascende ma ci coinvolge in prima persona e nel trascendere ci orienta alla ricerca di un noi comunitario, creando una solidità sociale e una capacità dei territori e delle persone di pensarsi insieme come “piazze educative” aperte a tutt* , in cui poter essere e poter esprimersi, condividendo non solo finalità e obiettivi comuni ma il proprio destino.
Il terzo festival culturale dei borghi e dei sentieri della Laga è la “piazza educativa” dei saperi, delle storie, delle tradizioni, delle culture che hanno dato forma e sostanza a quei territori, da ieri ad oggi. È l’aria che si respira, un’ aria limpida che scivola giù dalle aspre montagne e ti penetra dentro, rendendo limpidi i propri pensieri e il proprio modo di esistere.
Molti sono ormai i progetti nazionali senza interruzione di continuità presenti su tutto il territorio nazionale. Le comunità della Laga lo stanno dimostrando con le tre edizioni di un Festival iniziato tre anni fa. E lo dimostra soprattutto quel protagonismo delle donne che per secoli ha cercato e trovato sempre altre vie d’uscita attraverso le condivise solitudini, altre possibilità di essere e ritrovarsi insieme, sottomesse, negate e subordinate dalle forme di costume riconosciute e legittimate socialmente dalla cultura dominante maschilista. La solitudine ha rappresentato lo spazio, il tempo e il luogo del femminile, ma quella solitudine che rappresentava l’unica possibilità di esistere, non è mai stata neutrale, né priva di contenuti, di poetica, di coscienza e di arte. Tutt’altro, si è nutrita di sé stessa, della capacità di percepire e percepirsi, si è aperta, dinamizzata e trasformata negli anni senza mai tradirsi e senza mai tradire la sua fecondità culturale e intuitiva. così come stanno rivelando con la loro perseveranza, le loro competenze, le donne di ogni età dei paesi della Laga. Il tempo che viviamo sembra aver bisogno proprio di questo: immaginare, dare forma e coniugare un mondo in controtendenza, declinato al femminile per riuscire a destrutturare una società nella quale i modelli di maschilità sono ancora dominanti.
All’incontro per la presentazione del terzo festival culturale dei borghi della Laga, gli interventi che si sono succeduti erano tutti presentati e argomentati da donne, ad eccezione di un paio. Dalla Direzione Generale Educazione, ricerca e Istituti Culturali del Mic, con gli interventi delle tre funzionarie, alla rappresentante della rete territoriale della Laga, alle due brave ricercatrici della Società Geografica Italiana, alla moderatrice interlocutoria, al mio intervento in rappresentanza di Arce, abbiamo aperto una ricerca di senso modulata su diverse traiettorie convergenti, dentro una storia apparentemente silenziosa e non visibile ma potente e antica nel tempo: quella delle donne quando si mettono insieme. E se la storia è corrispondenza, loro, le donne dei paesi della Laga stanno facendo un pezzo di storia presente e futura. Abbiamo invertito in quel giorno il fenomeno del “mansplaining”. Quando lo pratichiamo emerge una nuova dimensione culturale come quella fortemente espressa dalla volontà e dalla loro autodeterminazione, allontanandosi e liberandosi dalle restrizioni e dalle dipendenze multiple quotidiane. Libere anche dalle forme di un’ipermodernità radicalizzata e plasmante attraverso modelli arcaici che sembrano fuori tempo ma che continuano a persistere, purtroppo, ancora oggi.
La disponibilità a cooperare insieme con obiettivi condivisi, acquista un ulteriore valore: quello di una libertà espressiva esercitata collettivamente ma che restituisce a ognuna nuove forme identitarie libere e trasformative, oltre che contaminanti.
La libertà di essere richiede dei contesti per la formazione individuale e per quella sociale. Il Festival Culturale dei Borghi e dei Sentieri della Laga, già dallo scorso anno era propiziatore di nuove conoscenze, risorse, possibilità, occasioni, sinergie ed estensioni ma quest’anno sta dimostrando una forte mobilitazione sempre più autonoma, quasi non cercata ma diffusa e contagiosa. Hanno aderito n 18 Comuni, 4 Regioni, 5 Provincie, il Parco del Gran Sasso e della Laga con il patrocinio, insieme a quello del ministero della Cultura e della Società Geografica Italiana, oltre che di Federtrek. Il messaggio in atto è la possibilità di dare forma a un “modello di movimento territoriale in viaggio”, dove il viaggio è inteso come un andare verso l’essenziale, con le provviste che ci portiamo dietro e dentro, come singoli e come comunità, senza smettere mai di fare e disfare il nostro bagaglio interiore (Andrea Marcolongo Alla fonte delle parole) soprattutto fuori dalle logiche dei bandi e di una gerarchia asimmetrica e di potere. I cittadini stessi si autoinvestono della necessità di agire dentro un sistema relazionale e comunicativo orizzontale, invertendo così i tradizionali rapporti sbilanciati. Il palcoscenico sono tutt* loro e i retroscena sono le storiche identità di quei paesi che in una dimensione creativa costituiranno il variegato festival della Laga, già iniziato ad aprile e che si concluderà a dicembre 2024, senza attori principali e senza personaggi noti.
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Ci piacerà anche pensare a delle composizioni immaginarie e reali dei loro autoritratti per riuscire non solo a dare un volto ad ogni donna o uomo che parteciperà come protagonista e artefice del festival, ma per delineare ciò che ognun* è, con la sua storia, attraverso le sue parole e le sue mani, artigiane della propria vita e della vita altrui. Ci piacerà sapere che anche se non saremo in grado di attuare una rivoluzione, saremo capaci di non subire passivamente un processo che espelle e butta fuori, confinandola ai margini, ogni persona con la sua vita reale. Ci piacerà sperimentare per ogni giornata di festival quella piazza educativa per tutt* dove ogni passo, ogni suono di fisarmonica, ogni canto, ogni parola viva, ogni ballo o rituale evocativo, aprirà una nuova pagina di storia, scritta non sulla carta o dentro un libro, ma dentro le piazze di ogni paese, nelle strade che uniscono ogni casa del paese, lungo la linea di un cerchio che non si chiude mai.
Penso sempre che ogni epoca sia e rappresenti, un passaggio, un transito e mai una stabilità, un ponte tra ciò che non è più e ciò che non è ancora, rendendo i cambiamenti sempre più complessi e inafferrabili e al contempo veloci e lenti nel loro evolversi e nei loro processi di coesione e solidità, ma anche di fragilità e disintegrazione.
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Quando scrivo mi accade spesso di srotolare il passato ma non per retorica o nostalgia o per dire “ai mei tempi”, quanto piuttosto perché credo che ciò che vale per ogni età delle persone vale anche per i luoghi, per i territori, per le collettività. Senza la rilevanza temporale e il suo procedere, la storicità delle identità può sprofondare nell’anonimato, personale o collettivo o territoriale. È questo un grande rischio oppure una grande opportunità. Sono i luoghi a rivelare qualcosa di noi, cosi come siamo noi a rivelare qualcosa dei luoghi, rendendoli nella loro dimensione pubblica, luoghi della democrazia esercitata.
Se questo ci viene tolto, il passaggio dall’anonimato identitario dei luoghi a quello delle persone e fino alle forme di un consumo predatorio, di sfruttamento, di turistificio industriale, può rappresentare un passaggio pericoloso, tra l’altro facile e rapido da mettere in atto da parte di un’economia di potere a profitti illimitati. Il rischio sempre in agguato della perdita di memoria identitaria che ignora il divenire storico, culturale, sociale, ci negherebbe la possibilità individuale e di comunità di immaginare una possibile stabilità di vita personale e collettiva fondata sul semplice ma sembrerebbe oggi disconosciuto principio del diritto a vivere bene, dall’età dell’infanzia fino a quella della vecchiaia.
Anche quando sono in escursione e cammino su un sentiero, accade che inconsapevolmente o volutamente mi fermo per volgere lo sguardo dietro di me, per osservare ciò che ho lasciato alle spalle, per cercare di orientarmi, per il timore di perdermi e per coniugare ciò che ho davanti a me come meta di arrivo con ciò che ho lasciato come punto di partenza. Credo che questo rappresenti simbolicamente il senso della vita di tutt*.
Non siamo mai allineati, sincronizzati con il tempo, dall’infanzia fino alla vecchiaia e credo che il nostro agire collettivo, nel collocarci uniti nel presente ci proietti anche nel futuro come se il ritrovare un punto fermo, stabile nella comunità sociale, rappresentasse un presupposto fondante per riuscire ad avere visione di un futuro da poter consegnare alle nuove generazioni. Questo ci apre a molte considerazioni per riuscire a rendere i luoghi non più nella prospettiva economica/ turistica ma con delle prospettive di vita progettuale per le giovani generazioni. Il recente film Un mondo a parte con il suo richiamo alla Restanza di Vito Teti, ce lo racconta con semplicità, ironia e un pizzico di poesia, così come ce lo rivela tutta quella parte d’Italia che pur con ragioni e realtà diverse, sta attraversando ciò che le genti della Laga e il film rendono visibile.
Chiudo con un richiamo alle ultime camminate che mi hanno portato ad un piccolo paese del reatino, anche questo in spopolamento. Ma qui, in un piccolo locale che ci ha accolti con sensibilità insieme a un gruppo di donne ucraine per un percorso di inclusione, condotto da Antonio Citti per Sentiero Verde, ho visto affisso a una parete un quadro che riportava le parole di Cesare Pavese:
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti» (La luna e i falò).
Giunto alla sua terza edizione, il Festival Culturale dei Borghi rurali della Laga coinvolgerà quattro Regioni dell’Italia Centrale, Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, e cinque province: Ascoli Piceno, L’Aquila, Perugia, Rieti e Teramo. Diciotto i comuni promotori insieme all’Associazione FederTrek Escursionismo e Ambiente e al Coordinamento Territoriale delle Comunità della Laga. L’evento è patrocinato dal Ministero della Cultura, dalla Società Geografica Italiana e dall’Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga
https://borghiesentieridellalaga.org
Grazie, mi piacerebbe dare una mano!
Fantastica iniziativa…che sia un inizio e il suggerimento per una strada da per percorrere anche per altre realtà