Qualcuno la definirebbe una proposta che non si può rifiutare, peccato che non siamo a Corleone… I mandanti dei due messi comunali che il 28 giugno hanno consegnato una (nuova) missiva all’Associazione che gestisce da 24 anni un vecchio casale di fine ‘800, il Podere Rosa, lavorano al Dipartimento Patrimonio dell’Amministrazione della capitale. Il tempo concesso per levarsi dai piedi “bonariamente”, cioè pagando solo 200 mila euro, è ragionevole: 30 giorni. Potrebbero bastare, malgrado il clima torrido, per smantellare il bancone e le scaffalature del BioSocialBar e forse anche le sedie del cinema all’aperto. Non lo schermo di 50 metri quadri. L’Assessore Mazzillo dovrà poi spiegare ai cittadini dei quartieri vicini, San Basilio, San Cleto e Montesacro Alto – ma anche alle decine di migliaia di persone di altri quartieri e altre città di questo e altri continenti, che in un quarto di secolo hanno partecipato alle migliaia di iniziative che il Casale ha promosso – dove andare a ricostruire una magnifica storia politica e culturale (qui riassunta in modo assai sommario) che le istituzioni “preposte” non hanno lo spessore, né le capacità, né l’immaginazione per poter, seppur vagamente, intuire

.
del Casale del Podere Rosa
“Pagate 200 mila euro e potrete andarvene ‘bonariamente’ entro 30 giorni”. Questi sono i numeri notificati il 28 giugno dal Dipartimento Patrimonio con una “nuova” lettera raccomandata (partita il 1 marzo e cosegnata a noi da ben due messi comunali il 28 giugno!)! Link_1
Questa è la drammatica situazione in cui il susseguirsi di amministrazioni avverse all’uso sociale del patrimonio di Roma capitale e avvezze alla valorizzazione/svendita dei beni comuni ci lasciano in eredità. E l’attuale amministrazione sembra seguire questa linea tracciata dai poteri forti di Roma, nel campo urbanistico, dei servizi, degli appalti….
Sulla questione del patrimonio pubblico in concessione ad uso sociale – quale è il Podere Rosa gestito dall’omonima associazione – stiamo assistendo ad un balletto ridicolo da dodici mesi. Un balletto vessatorio contro i titolari delle concessioni: un atto emanato contraddice un altro, un ufficio fa una cosa e un altro ufficio ne fa un’altra in contraddizione, si dice A volendo dire B e viceversa. Controlli e minacce di multe salate sulle autorizzazioni per poi dire: “Ci siamo sbagliati, avete ragione voi … Siete in regola su questa e quest’altra cosa. Stressare le realtà sociali e screditare il lavoro faticoso di chi sul territorio ci sta e ci sta da tanti tanti anni.

Fanno paura, forse, le realtà che rendono servizi alla città almeno 335 giorni l’anno, che hanno un progetto di intervento sociale e culturale nel territorio, che negli anni si trasformano cercando di essere sempre vicine alle esigenze del territorio, che inventano progetti utili, creano collaborazioni, e…non si sono trasformate in luoghi commerciali, dove insomma nessuno si è arricchito!
Anzi, abbiamo dato molto di più, e non parliamo solo del lavoro sociale e culturale di questi anni, ma anche economicamente. Per esempio: il Casale Podere Rosa, all’epoca un quasi rudere, è stato pagato dal Comune ai proprietari 15.000 euro. Noi ne abbiamo spesi negli anni quasi 200.000 di migliorie e ristrutturazione e abbiamo pagato 60.000 euro di affitto (4 volte il costo d’acquisto). Si potrebbe configurare una quasi “speculazione” da parte del Comune di Roma nei nostri confronti… visto anche che oggi lo stesso ente ce ne chiederebbe altri 200mila!
Come diciamo all’Assessore Mazzillo nella lettera inviata in risposta il 30 giugno Link_2: “(…) Intendiamo inoltre manifestare la nostra seria preoccupazione per un comportamento dell’Amministrazione che ci appare incoerente e vessatorio. L’intenzione di procedere alla riacquisizione frettolosa dell’immobile prima dell’approvazione del Regolamento delle concessioni di immobili ad uso sociale, comporterebbe la sospensione di un “apporto significativo ad attività e servizi di valenza pubblica di supporto alle finalità dell’Ente e/o di sussidiarietà di servizi (…)”.
.
Link_1: RAR_patrimonio_5789_2017_03_01
Link_2: cpr_l_dip_063017
Non è detto che un bio bar sia più ” social ” di uno snack. Il suffisso bio nasconde una chiara logica capitalistica, volta a selezionare, subdolamente, la facoltosa clientela.