La dissoluzione della forma politica del capitalismo, dello Stato-nazione democratico, è in corso ovunque. Negli ultimi decenni, nell’ora della trans-nazionalizzazione, le grandi imprese hanno trovato in questa forma politica un ostacolo, piuttosto che un alleato o uno strumento. Esse vi ricorrono solo quando hanno bisogno delle forze di sicurezza per l’esercizio del controllo, dell’espropriazione, dell’occupazione o della distruzione in cui sono impegnati. Questo sta dando loro un’accumulazione e una concentrazione senza precedenti. Una parte molto significativa di coloro che sono andati a votare in Messico, nei primi giorni di giugno lo ha fatto senza impegno nei confronti di partiti o candidati. Non credono più nelle loro promesse o nelle loro azioni. Ma non osano abbandonare il meccanismo perché, così facendo, pensano che si produrrebbe in loro un senso di irresponsabilità o vuoto. Pochissimi osano pensare alla realtà sociale e politica senza il riferimento dello Stato. Non riusciamo proprio a immaginarlo un mondo in cui possiamo effettivamente governarci da soli, senza che qualcuno lo faccia per noi, e presumibilmente in nostro nome. Questo è il vero problema: costruire un’alternativa vera, al di là dello Stato. Nel mondo se ne sa pochissimo – e non è un caso – ma molti gruppi e popoli hanno iniziato a farlo. Secondo Gustavi Esteva, è la sola speranza per porre fine all’orrore attuale e iniziare il complicato compito della rigenerazione

Un tipo speciale di elezioni in cui perdono tutti i protagonisti è stato inaugurato nei primi giorni di giugno in Messico. Nessuna delle forze politiche concorrenti ha ottenuto ciò che voleva. Come aveva anticipato Juan Villoro, le elezioni più grandi della nostra storia, a causa del numero di liste concorrenti, sono state le più ridicole. Non è accaduto solo a causa di candidati spesso impresentabili. È stato anche a causa dello stile delle campagne, del loro linguaggio, delle loro insulsaggini. È impossibile, ancora oggi, definire chiaramente la posizione politica e ideologica dei contendenti, tranne in alcuni casi in cui la definizione è agghiacciante.
La crisi di rappresentanza anticipata da Luis Hernández Navarro nel giugno 2015 (La Jornada,9/6/15) si è pienamente concretizzata sei anni dopo. Non sapremo per molto tempo cosa è successo il 6 giugno. Non possiamo nemmeno sapere esattamente chi è uscito vincitore. Non è a causa del conteggio delle schede elettorali già fatto dall’Istituto Elettorale Nazionale né a causa delle innumerevoli dispute procedurali, con accuse reciproche di trucchi e violenza; produrranno solo piccoli cambiamenti. Non lo sapremo perché i risultati di queste votazioni avranno poco a che fare con gli sviluppi nei prossimi anni.
Vengono proclamate vittorie. Come d’abitudine, ci sono sorrisi e festeggiamenti. Ma non è più la solita cosa. Ad eccezione di alcune persone che sembrano aver vinto una lotteria politica e stanno ancora cercando di capire cosa hanno in mano, sorprese dal loro destino, nessuno può dire chiaramente quale sia l’esito di queste elezioni.
A livello municipale i risultati hanno un certo significato. La gente sa che non tutto può essere risolto con cochupos (termine colloquiale messicano che si usa per designare un accordo disonesto, implicito o tacito, ndt), o padrinaggi, specialmente nelle grandi città. Crede di poter influenzare in qualche modo le cose che la riguardano attraverso l’azione del partito o l’esercizio del voto. Alcuni cambiamenti significativi ma incerti si sono verificati a questo livello quando le forze locali sono state riaggiustate. Le nuove autorità possono prendere posizione e creare spazi per azioni dal basso che sarebbero interessanti, ma possono anche perdersi nel vuoto dei livelli superiori e impiccarsi ad alti e bassi imprevedibili.
Dal 1928, quando fu inventata la prima incarnazione del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), e fino alla fine del secolo, il paese è stato governato da un dispositivo autoritario centrato sul presidente della Repubblica. Dal 2000, il PRI è diventato una coalizione instabile di mafie locali, che ha mantenuto un certo controllo nella maggior parte degli Stati e in molti municipi, e ha mantenuto relazioni tese e ambigue con gli intrusi che hanno governato dal 2000 al 2012, le cui instabilità e disavventure hanno contribuito a smantellare il dispositivo, senza abbandonare l’esercizio autoritario. Le mafie locali legate al PRI sembravano essersi riaggregate nel 2012, quando la coalizione riconquistò la presidenza. Si pensava che avrebbero potuto ricostruire il dispositivo, ma questo si è rivelato impossibile. Indipendentemente dalle incredibili inettitudini di chi lo capeggiava, era evidente che il dispositivo stesso non poteva più essere utilizzato come prima. A poco a poco, coloro che dal 2018 cercano di utilizzarlo per il proprio progetto ne stanno diventando consapevoli.
Questo crollo dell’apparato governativo non si verifica solo in Messico. La dissoluzione della forma politica del capitalismo, dello Stato-nazione democratico, è in corso ovunque. Negli ultimi decenni, nell’ora della trans-nazionalizzazione, le grandi imprese hanno trovato in questa forma politica un ostacolo, piuttosto che un alleato o uno strumento. Esse vi ricorrono solo quando hanno bisogno delle forze di sicurezza per l’esercizio del controllo, dell’espropriazione, dell’occupazione o della distruzione in cui sono impegnati. Questo sta dando loro un’accumulazione e una concentrazione senza precedenti.
Una parte molto significativa di coloro che sono andati a votare lo ha fatto senza impegno nei confronti di partiti o candidati. Non credono più nelle loro promesse o nelle loro azioni. Ma non osano abbandonare il meccanismo perché, così facendo, pensano che si produrrebbe in loro un senso di irresponsabilità o vuoto. Pochissimi osano pensare alla realtà sociale e politica senza il riferimento dello Stato.

È un fatto molto generale nel mondo. La gente non può immaginare come sarebbe la vita di tutti i giorni se non ci fosse qualcuno responsabile del governo, una persona o un partito per formulare le regole generali e dare istruzioni. È paradossale che ciò accada anche al popolo messicano, così incline alla disobbedienza, così incline a resistere agli ordini dall’alto.
Anche se può sembrare assurdo, è essenziale inserire nell’analisi la questione patriarcale, le migliaia di anni di pensiero in cui si è pensato che la nostra convivenza richieda forme di comando, dominio e controllo. Non riusciamo proprio a immaginare un mondo in cui possiamo effettivamente governarci da soli, senza che qualcuno lo faccia per noi, e presumibilmente in nostro nome. Questo è il vero problema: costruire un’alternativa vera, al di là dello Stato, così come però molti gruppi e popoli hanno già iniziato a fare. È la sola speranza per porre fine all’orrore attuale e iniziare il complicato compito della rigenerazione.
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