Ricordate l’occupazione da parte di oltre duecento migranti dell’ex convento abbandonato di Santa Chiara, nel centro di Bari, poi sgomberato per “le condizioni di sicurezza igienico-sanitarie”? (leggi La maschera del razzismo istituzionale e Siamo migranti del quartiere… Libertà). Quello che molti pensavano impossibile è accaduto: il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione per gli occupanti che avevano recuperato l’ex convento (un po’ come accaduto un paio di anni fa con l’occupazione del Cinema Palazzo a Roma). Ma dove sono ora quei migranti? Da un anno sono in una tendopoli-ghetto allestita dal Comune nel quartiere Libertà. Scrivono quelli del collettivo Rivoltiamo la Precarietà di Bari (tra i promotori dell’etichetta dei pomodori SfruttaZero*): “Oggi basterebbero meno di cinque minuti ai Nas, alla Asl ed a qualsiasi ente preposto per dichiarare abusiva e inagibile per le condizioni di sicurezza igienico-sanitarie e di rispetto della dignità della persone quello spazio…”.
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di Rivoltiamo la Precarietà
Non accade tutti i giorni che un magistrato chieda l’archiviazione del fascicolo per occupazione abusiva nei confronti di quasi 200 migranti. È successo a Bari dove per il Pm della Procura i migranti che hanno occupato l’ex convento di Santa Chiara nel centro della città da febbraio a novembre 2014 non hanno danneggiato la struttura ed erano in stato di necessità.
Si tratta di uno schiaffo da parte di un potere dello Stato: quello giudiziario, nei confronti di un altro: quello esecutivo. È un’ulteriore prova, tutta nell’ambito dello Stato di diritto, del fallimento totale delle politiche di accoglienza dei governi della città negli ultimi anni. Prima con il sindaco Emiliano, poi con Decaro. Dall’ottobre del 2013 (quando i migranti iniziarono a denunciare la necessità di poter vivere e dormire sotto un tetto) fino ad oggi, dato che quasi duecento persone continuano a stazionare in condizioni disumane nella tendopoli-ghetto dell’ex Set nel quartiere Libertà.
Per chi ha sostenuto e continua a sostenere le rivendicazioni dei migranti, non serviva la dichiarazione pubblica di un magistrato per essere convinti della legittimità dell’occupazione e del recupero a scopo abitativo di una struttura abbandonata. Si tratta di persone che, dopo essere uscite dal Cara di Bari-Palese, per mesi sono state costrette a dormire per strada, senza vedersi garantita la seconda accoglienza. Il tutto a causa della negligenza e del ‘razzismo istituzionale’ targato Comune e Prefettura.
La richiesta di archiviazione è arrivata per la presunta occupazione abusiva dell’immobile di Santa Chiara, per i quali nei mesi scorsi la Procura aveva delegato accertamenti ai Carabinieri del Nas ed altri organi competenti per stabilire le condizioni di sicurezza igienico-sanitarie. Su questi aspetti insieme ai migranti abbiamo sempre evidenziato pubblicamente il recupero dell’ex convento, i progressivi lavori di messa in sicurezza e di ripristino delle condizioni igienico-sanitarie. Lo abbiamo fatto in diverse maniere: dalle iniziative di solidarietà alle assemblee aperte, da foto e video alle lettere propositive verso le Istituzioni.
Oggi, invece a quasi un anno dalla permanenza nell’aberrante tendopoli basterebbero meno di cinque minuti ai Nas, alla Asl ed a qualsiasi ente preposto per dichiarare abusiva ed inagibile per le condizioni di sicurezza igienico-sanitarie e di rispetto della dignità della persone uno spazio allestito dal Comune di Bari ed inaugurato dal Sindaco Decaro in persona, qual è l’ex Set.
Anche questa storia, non ancora terminata, è un ulteriore emblema di come stia regredendo col passare del tempo l’idea di accoglienza e civiltà delle democratiche istituzioni nazionali e sovrannazionali europee. Infatti le richieste dei migranti dell’ex-Set di utilizzare i fondi disponibili, ben 1,6 milioni di euro, per il recupero di un immobile pubblico rimangono inascoltate, poiché il Comune ha deciso senza indugi, e col silenzio di molte Istituzioni sociali, che la soluzione dovrà essere l’ennesimo allestimento di un ghetto/container. Vorremmo tanto sperarlo, ma pensiamo che neppure le motivazioni della richiesta di archiviazione da parte di un Pm saranno sufficienti a far cambiare rotta a questi miopi ed inetti amministratori. D’altronde i rapporti di forza si cambiano a partire dai percorsi di autodeterminazione e di lotta dei soggetti sociali.
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* La salsa di pomodoro per non essere complici [Paolo Cacciari]
Lo scorso anno hanno prodotto 700 litri di passata di pomodoro bio Netzanet (che in tigrino significa libertà) etichettata SfruttaZero. Quest’anno saranno molti di più grazie al proseguo della campagna SfruttaZero che attraverso un crowdfunding ha finanziato i costi iniziali dell’intera filiera produttiva: materie prime per la coltivazione, attrezzature per la fase di trasformazione, conservazione e distribuzione. Ad iniziare è stata l’associazione Solidaria di Bari, ma ora sono già in tre: Fuori dal ghetto di Venosa (Basilicata) e Diritti a Sud di Nardò (Salento). Si occupano dei diritti dei migranti, dei rifugiati, degli esuli. Ma accoglienza non è solo lottare per avere un ricovero decente. Come ci ricordano le quattro morti di quest’estate sotto il sole bollente della Puglia (ma altre ve ne sono state altrove: 14 secondo un’inchiesta di Panorama, e non tutte di persone straniere) i migranti sono un ottimo affare per chi sfrutta il lavoro del bracciantato agricolo. L’opinione pubblica si indigna, scopre il caporalato e il lavoro schiavo, ma poi il consumatore si dimentica tutto quando al supermercato compra una scatola di pomodori a meno di un euro. “Oro rosso” per i grandi produttori e la distribuzione organizzata che stabilisce il prezzo al produttore. L’esperienza di SfruttaZero ci dice che un’alternativa non è poi così difficile da organizzare. Le tre associazioni hanno costituito dei gruppi di lavoro autogestito; hanno trovato dei terreni poco e mal utilizzati in concessione gratuita; si sono fatti aiutare da contadini esperti, alcuni dei quali legati alla rete di Genuino Clandestino; hanno trovato semi e piantine bio; hanno coltivato, irrigato, raccolto, trasformato, imbottigliato e ora consegnano la salsa in tutta Italia ai Gas, alle mense popolari, alle botteghe solidali ed anche alle famiglie ad un prezzo che varia dai tre e i quattro euro al litro. Quanto basta per pagare un salario dignitoso a tutti coloro che hanno lavorato e per accantonare il 15% degli incassi in un fondo di mutua solidarietà per sostenere vertenze e mobilitazioni a sostegno dei migranti. Gianni, di Solidaria, ci dice: “La nostra idea è di realizzare progetti di tipo cooperativo e mutualistico che vedono direttamente protagonisti migranti, contadini, giovani precari e disoccupati che vogliono avviare o continuare un’attività lavorativa attraverso la produzione di prodotti locali”. Difficile non vedere in questo tipo di iniziative una forma efficace di mobilitazione e colleganza sostanziale, praticabile dal basso tra cittadinanza consapevole e migranti, che va oltre la mera solidarietà e mette in pratica una economia altra, l’unica potenzialmente capace di contrastare la sfera d’azione dell’economia di mercato criminale.
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