La conclusione del 2021 ha confermato l’enorme preoccupazione per il riscaldamento del pianeta con temperature record in diverse zone del mondo e nei mari. Un miliardo e 800 milioni di persone, poco meno di un essere umano su quattro, hanno vissuto nello scorso anno il giorno più caldo della loro vita, ma la tendenza preannuncia nuove crescite. Nel Mediterraneo le rilevazioni del dicembre scorso evidenziano strati più caldi anche a 800 metri di profondità. Non potevano purtroppo mancare, nella consueta rassegna di Alberto Castagnola, tornado, cicloni e altri eventi estremi, ma si parla anche molto seriamente dei danni che produce l’inquinamento, delle emissioni generate dalle consegne a domicilio dei prodotti elettronici e non, delle epidemie di influenza aviaria (18 milioni di animali morti in Veneto e Lombardia) e dei primi casi di peste suina. Di particolare interesse, infine, qualche numero sul litio, la materia prima essenziale per le batterie delle auto elettriche, ma anche per impianti solari e a reti energetiche. Nell’ultimo anno il suo prezzo è aumentato del 437 per cento. Le riserve nel mondo sono così ripartite: 50,6% Cile, 24% Canada, 16,5 % Australia, Argentina 10%, Cina 5,9%, USA 3,5%, altri paesi 11%. La purificazione della sostanza e la produzione di batterie è però concentrata in Cina, dove esistono 93 grandi fabbriche, mentre gli Stati Uniti ne hanno solo 4
Andamenti globali
Il 2021 è stato il quinto anno più caldo da quando sono iniziate le rilevazioni, con una temperatura media globale che ha superato di 1,1-1,2 gradi il livello dell’epoca preindustriale. Il dato è particolarmente preoccupante per la presenza della Niña, il fenomeno metereologico che in genere causa un raffreddamento delle temperature; quindi ci si dovrebbe chiedere quali livelli sarebbero stati raggiunti in sua assenza. Non dobbiamo dimenticare che tutti gli ultimi sette anni sono stati i più caldi mai registrati.
Inoltre per la prima volta si parla di un aumento di 1,2 gradi, quindi sempre più vicino al livello massimo raggiungibile di 1,5 gradi centigradi indicato dall’IPCC e dai suoi tanti scienziati. Le emissioni di Co2 nell’atmosfera hanno ormai raggiunto le 414,3 parti per milione, segno ulteriore che nessuna reale azione per ridurre i gas serra è stata finora intrapresa.
Sempre nello stesso anno in alcune località sono state segnalate temperature estremamente elevate. Ad esempio, in Alaska, Stati Uniti, sull’isola di Kodiak, una temperatura di 19,4 gradi è stata registrata nel mese di dicembre, la più alta di sempre in questo mese. Una temperatura record di 50,7 gradi è stata raggiunta nella località costiera di Onslow, nell’ovest dell’Australia; un livello simile era stato registato solo nel 1960 nella località di Oodnadatta.
Nello stesso paese, la temperatura più alta è stata registrata il 18 gennaio a Windorath, dove il termometro è salito fino a 45,4 gradi centigradi. Dall’inizio di gennaio l’Argentina sta vivendo un’ondata di caldo eccezionale, con temperature minime di 26 gradi centigradi e massime che hanno raggiunto i 46 gradi. Manca l’acqua nella regione intorno alla capitale Buenos Aires e si verificano inerruzioni della corrente elettrica che durano anche undici ore. L’11 gennaio almeno 700 mila abitanti della città sono rimasti senza acqua e senza luce.
Anche i mari hanno registrato nel 2021 un nuovo record, l’aumento delle temperature per il sesto anno consecutivo, fenomeno mai prima verificatosi. L’articolo de Il manifesto (13 gennaio 2022, pag. 7) cita gli studi di 23 ricercatori appartenenti a 14 istituzioni, ai quali hanno partecipato anche due italiani dell’Enea e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, sottolineando che la variazione del contenuto termico degli oceani nel corso dell’anno è equivalente a quella che si otterrebbe facendo esplodere sette bombe atomiche ogni secondo durante tutto l’anno.
Inoltre gli oceani assorbono poco meno di un terzo delle emissioni di anidride carbonica prodotte dalle attività umana, ma il riscaldamento riduce l’efficienza di questo processo e una quantità maggiore di Co2 va nell’atmosfera. Invece nel 2021, come nei sei anni precedenti, il mare ha assorbito il 90% dell’aumento netto della temperatura causato dai gas serra nel loro complesso.
In altri termini, nel caso dell’anno appena concluso, 1,8 miliardi di persone, quindi poco meno di un essere umano su quattro, hanno vissuto il giorno più caldo della loro vita. E questo numero sembra destinato ad aumentare sempre più rapidamente.
Aumenta invece il volume delle acque, con ripercussioni drammatiche per gli atolli del Pacifico e gli Stati insulari come le Maldive, ma con effetti di erosione anche sulle altre zone costiere. Inoltre acque dei mari sempre più calde creano le condizioni per tempeste e uragani sempre più violenti e frequenti, con zone di caldo esasperato sempre più estese. Ovviamente temperature crscenti incidono anche sulle catene alimentari marine e sulle alghe.
Nel Mediterraneo le rilevazioni effettuate nel dicembre scorso evidenziano strati più caldi anche ad ottocento metri di profondità, mentre tra gli effetti di questo maggior caldo vi sono anche eventi meteo estremi come le ondate di calore, il caldo elevatissimo in Sicilia, la pioggia in Liguria e i “medicane” cioè gli uragani che hanno colpito il Mediterraneo a partire dalla scorsa estate.
Le emissioni di gas serra causate dalle consegne a domicilio di prodotti elettronici e prodotti alimentari sono molto aumentate negli ultimi anni, ma costituiscono una componente della crisi climatica finora trascurata. Uno studio della SOMO, il centro di studi sulle multinazionali, pubblicato nel dicembre scorso, ha analizzato le sei principali imprese transnazionali che gestiscono la quasi totalità del comparto ((Amazon, Deutsche Post DHL, FedEx, Flipkart, UPS e Walmart) e fornisce una serie di dati impressionanti su questo importante fattore di inquinamento.
La ricerca è stata concentrata sul cosiddetto “ultimo miglio”, cioè il percorso delle merci dall’ultimo magazzino dell’azienda produttrice o distributrice e l’abitazione del consumatore, che rappresenta circa un terzo dei consumi di carburanti e quindi delle emissioni. I suoi volumi si sono triplicati tra il 2014 e il 2019 e sono molto aumentati durante la pandemia nei paesi industriali.
Le multinazionali del settore enunciano continuamente le loro buone intenzioni di migliorare la situazione per i periodi successivi, ma in genere realizzano solo operazioni di “compensazione” e quasi sempre non tengono conto dei gas serra prodotti oltre alla anidride carbonica. Nel caso di Amazon, le emissioni globali nel 2020 sono state pari a 60 milioni di tonnellate Co2 equivalenti, circa un settimo delle emissioni dell’Italia nel 2019. L’articolo qui utilizzato (Extra Terrestre del 6 gennaio 2022, pag. 2) fornisce anche molte altre indicazioni relative alle previsioni di sostituzioni dei mezzi di trasporto utilizzati dalle sei imprese con veicoli elettrici nel prossimo decennio e sulle ipotesi di modificare le modalità di consegna delle merci all’utilizzatore finale, sostituendole con depositi per ogni area dove il consumatore dovrebbe andare a ritirarle, ma si tratta ancora di intenzioni non ancora sperimentate.
Sempre in materia di emissioni climalteranti, il dato più recente, comunicato dalla agenzia federale statunitenze Noaa, riguardante il metano, indica un aumento della sua concentrazione nell’atmosfera a oltre 1900 parti per miliardo nel settembre 1921. Questo valore è il più alto dei quaranta anni di rilevazioni.
Infine, alcuni dati sui danni causati dallo smog nelle zone industriali e urbane. Negli ultimi venti anni le concentrazioni di polveri sottili e diossido di azoto si sono ridotte in alcure aree, ma costituiscono ancora una grave fattore di rischio per gli abitanti. Nelle aree metropolitane l’86% della popolazione è esposta a livelli annui di particolato fine PM 2,5 superiori alle soglie fissate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel 2019 ciò ha causato 1,8 miioni di decessi nel mondo, mentre il diossido di azoto è responsabile del 16% dei casi di asma in età infantile, dato in riduzione rispetto al 2000, ma ancora inaccettabile.
La moltiplicazione degli eventi estremi
La potenza dei tornado è sempre più spesso evocata tra le notizie del giorno, poichè questi eventi atmosferici devastanti stanno crescendo di numero e di intensità. Due intere pagine del Corriere della Sera (26 gennaio 2022, 20 e 21) forniscono descrizioni e dati, suggerendo in primo luogo le definizioni dei principali tipi di eventi. Un tornado è una colonna d’aria stretta e rotante, che parte da un temporale e arriva al suolo, in pratica una tromba d’aria di dimensioni molto più grandi, che si forma quando c’è un mix di temperatura, umidità e vento e si incontrano due fronti di aria, una fredda e una calda, ma il meccanismo che li origina non è ancora molto chiaro, a parte il fatto che il vento deve essere molto forte e avere una notevole velocità.
Un ciclone, invece, è una tempesta in rapida rotazione che ha origine sugli oceani tropicali dai quale trae l’energia per svilupparsi. Nella parte centrale, l’occhio, c’è normalmente la calma e non vi sono nubi. Il suo diametro è in media tra i 200 e i 500 chilometri, ma può raggiungere anche i 1000. Porta venti violenti, piogge torrenziali e onde alte. Infine, cos’è un nubifragio. Ha un tasso di caduta di pioggia superiore ai trenta millimetri all’ora, una velocità di caduta al suolo di otto metri al secondo, può arrivare ad avere un tasso di caduta anche di un centinaio di millimetri all’ora ed è chiamato pure “bomba d’acqua”. Negli Stati Uniti si possono formare dei tornado in ogni stagione dell’anno, e in media sono circa 1200 all’anno, ma raggiungono la massima frequenza nella cosiddetta Tornado Alley e negli ultimi 30 anni sono decisamente aumentati.
Nel 2021, tra il 10 e l’11 dicembre, una serie di quattro tornado ha attraversato il Kentucky e sei stati del Midwest e del sud est degli Stati Uniti, devastando completamente la cittadina di Mayfield, e l’area a nord ovest di Nashville, nel Tennessee, causando 80 morti. Pochi giorni dopo, un tifone con venti a 195 chilometri ora ha devastato le Filippine, causando 300 morti, centinaia di migliaia di feriti e sfollati e distruggendo 480 mila case. In Italia si verificano 40-50 trombe d’aria ogni anno. A Rossiglione, nel Ponente Ligure, il 3-4 ottobre 2021, sono caduti in 12 ore 740 millimetri di pioggia e oltre 830 nelle 24 ore.
In Indonesia, Stato che comprende 17 mila isole e ha una estensione di 5 milioni di chilometri quadrati, di cui solo 2 milioni sono terre emerse, la capitale Giacarta sarà sommersa dalle acque per un quarto della sua superficie entro il 2050. Ma l’acqua già oggi è un problema, perchè durante l’inverno, la stagione più piovosa, si moltiplicano gli allagamenti di interi quartieri, attanagliati dalla morsa del mare e delle alluvioni. Si aggiunge poi un fenomeno di erosione lento ma inarrestabile, che insieme rendono molto difficile la vita per i 30 milioni di abitanti della città metropolitana. Negli ultimi giorni di gennaio è stata quindi approvata una legge che prevede lo spostamento della capitale nel Borneo occidentale, che disterà da quella attuale circa duemila chilometri in linea d’aria. La spesa attualmente prevista è di oltre 32 miliardi dollari, e i lavori, secondo una stima molto ottimistica, dovrebbero terminare nel 2024.
All’inizio del mese, Denver e Boulder, nel Colorado, sono state duramente colpite da una serie di incendi che hanno distrutto oltre mille case nei sobborghi di città sepolte da tempo da oltre un metro e mezzo di neve e da una temperatura molto bassa. Sono anche andati in fumo oltre 648 ettari di vegetazione.
L’epidemia di influenza aviaria più grave degli ultimi venti anni ha colpito duramente il distretto di avicoltura nel nord dell’Italia, in Veneto e in Lombardia orientale. Gli animali morti (polli e tacchini, in gran parte) hanno superato i 18 milioni e i focolai sono almeno 308. E’ una patologia stagionale, legata alle migrazioni di uccelli selvatici provenienti dalla Russia e dal Kazakistan e diretti al Mediterraneo. Non sta colpendo solo l’Italia ma anche altri paesi europei, soprattutto Germania, Olanda e Inghilterra. Sempre in Italia, tra il Piemonte e la Liguria, sono stati registrati i primi casi di peste suina, con almeno 21 vittime, mentre il virus non attacca gli esseri umani. Le aree colpite sono state dichiarate “zone infette”, nelle quali vengono esercitati stretti controlli. E’ infatti necessario che il virus non entri in contatto con gli allevamenti intensivi di maiali in Lombardia e in Emilia-Romagna. Quando nel 2018 in Cina, primo produttore mondiale di carne suina, è esplosa l’epidemia sono morti o sono stati abbattuti oltre tre milioni di capi.
Cominciano a diventare operative le iniziative industriali dirette a catturare e rendere liquida l’anidride carbonica prodotta dai cementifici o dagli impianti siderurgici, per poi caricarla su navi cisterna, deporla sui fondali marini davanti alla Norvegia e poi sigillarla. La prima impresa nata con questo obiettivo è la Northern Lights, nata nel 2021 dall’alleanza tra i gruppi energetici Equinor, Shell e TotalEnergies. Nel 2024, secondo i piani, dovrebbe entrare in funzione un primo deposito a Ljosoyna, nell’ovest del paese scandinavo. In un articolo tedesco si sottolinea che per 50 anni la Norvegia ha sfruttato il petrolio e il gas del suo sottosuolo, causando gravi danni al sistema climatico.
Ora vuole sfruttare un altro tipo di risorsa naturale del suo territorio, i fondali dove immagazzinare l’anidride carbonica, cioè un prodotto di scarto delle fonti di energia fossile. Si da quindi per scontato che le energie fossili continueranno ad essere sfruttate, ma si cerca anche di fare profitti sulle emissioni di gas serra, poichè tali imprese saranno ampiamente sovvenzionate da fondi pubblici. E’ da notare che secondo la Equinor, nei fondali norvegesi c’è posto per circa ottanta miliardi di tonnellate di Co2, pari a cento volte le emissioni registrate dalla Germania nel 2021. Si pensa ovviamente anche alla possibilità di vendere brevetti ed esperienze accumulate in questi primi progetti ad altre imprese dello stesso tipo di cui si parla a da tempo anche in altri paes, tra cui l’Italia, dove l’ENI pubblicizza da tempo un intervento davanti a Ravenna. Sempre in Italia ma seguendo una tecnologia diversa, basata sul riciclo dell’anidride carbonica per estrarne l’idrogeno, è stato stipulato un patto tra Saipem, Tenaris e Siad per realizzare un impianto a Dalmine, vicino a Bergamo.
Le chiamano le “bombe fossili” gli sversamenti in mare di grandi quantita di petrolio, che inquinano le acque in modo difficilmente riparabile e distruggono ogni forma di vita marina. Nel Mar Rosso è stata da tempo abbandonata una petroliera, la FSO Safer, al largo dello Yemen, vicino al porto di Hodeida, incagliata a sei chilometri dalla costa. Ha a bordo circa 1,1 milioni di barili di petrolio, 140 mila tonnellate, e non è difficile immaginare le conseguenze di danni a una nave vecchia di oltre cinquanta anni. Lo sversamento in mare di petrolio si è invece già verificato alla fine di gennaio davanti alle coste del Perù, contaminando almeno venti spiagge e due riserve naturali. L’incidente si è verificato il 15 gennaio mentre il petrolio veniva passato dalla petroliera italiana Mare Doricum alla raffineria La Pampilla della multinazionale spagnola Repsol, e si sono dispersi in mare almeno seimila barili di petrrolio, causando danni rilevantissimi che richiederanno forse anni per essere cancellati.
Continuano a emergere i danni causati all’ambiente da attività economiche
Esistono diversi tentativi di ricoprire i ghiacciai con teli sintetici per impedire lo scioglimento, effettuati in genere vicino a zone di interesse turistico. I risultati non sono incoraggianti, sia perchè al massimo si produce un parziale rallentamento degli effetti climatici, che per l’alto costo dei teli e l’inquinamento da plastica del manto nevoso.
Si continua a parlare del litio, la materia prima essenziale per le batterie delle auto elettriche, ma anche per quelle collegate ad impianti solari e a reti energetiche, e nell’ultimo anno il suo prezzo è aumentato del 437%. Le riserve di litio nel mondo sono così ripartite: 50,6% Cile, 24% Canada, 16,5 % Australia, Argentina 10%, Cina 5,9%, USA 3,5%, altri paesi 11%. La purificazione della sostanza e la produzione di batterie è però concentrata in Cina, dove esistono 93 grandi fabbriche, mentre gli Stati Uniti ne hanno solo 4.
Secondo un osservatorio o meglio un contatore animato da un gruppo di demografi molto qualificati, chiamato Neodemos, il 19 gennaio dovremmo aver superato gli otto miliardi di abitanti del pianeta. Dovremo aspettare le fonti ufficiali nazionali e internazionali per avere maggiori dettagli, ma questa cifra ci ricorda il ruolo della popolazione in continuo aumento nella crisi climatica e soprattutto i rischi che minacciamo una parte crescente di questa popolazione che cerca di sopravvivere nei paesi più poveri. Ad esempio in Africa raddoppieranno gli abitanti entro il 2050.
L’ultimo rapporto Oxfam fornisce i dati più recenti sull’aumento del divario esistente tra il gruppo dei redditi più elevati e le cifre a disposizione delle fasce più povere del pianeta. Nei primi 21 mesi della pandemia il “surplus personale” di Jeff Bezos , il fondatore di Amazon, è stato di 81,5 miliardi di dollari, equivalenti “al costo globale della vaccinazione (due dosi e il booster) per l’intera popolazione mondiale, con il prezzo per dose del vaccino a mRna di Pfizer”. In due anni i dieci uomini più ricchi del pianeta hanno più che raddoppiato la loro ricchezza (da 700 a più 1500 miliardi di dollari). Nello stesso tempo, altri 163 milioni di persone sono finiti sotto la soglia di povertà.
In Cina sono state avviate massicce campagne di rimboschimentonel tentativo di limitare le emissioni di Co2, ma il paese è anche il principale importatore di materie prime come la soia e l’olio di palma, la cui produzione in paesi come il Brasile ha come conseguenza la deforestazione, quindi gli squilibri del pianeta non vengono di fatto attenuati. In generale le foreste possono rimuovere il diossido di carbonio dall’aria in misura doppia di quella che immettono nell’aria che respiriamo. Purtroppo c’è foresta e foresta: quelle degradate o spiante per usi produttivi rilasciano più Co2 di quanta ne assorbano, al contrario le foreste pluviali tropicali protette fanno registrare i migliori risultati nel mitigare i cambiamenti climatici in corso. Secondo un recente rapporto Fao tra il 2010 e il 2020 la Cina è stato il paese che più ha allargato i territori coperti di foreste: ogni anno più di 1.937.000 ettari in più. Nel resto del mondo invece la deforestazione negli ultimi 30 anni ha colpito 178 milioni di ettari. La Cina tuttavia è il principale iimportatore di semi di soia, il 60% di quelli prodotti in altri paesi, così come il 13% dell’olio di palma e il 15% della polpa di cellulosa usata per produrre carta. Il bilancio complessivo è quindi ancora negativo e lo squilibrio tende a peggiorare ogni anno di più.
Anche per la plastica la situazione internazionale non è certo in fase di miglioramento, tanto che nelle sedi internazionali si è iniziato a parlare di un trattato che impegnasse tutti i paesi a modificare la grave situazione attuale. La plastica infatti ha invaso tutti gli ecosistemi, dalla cima dell’Everest alla Fossa delle Marianne e nei prossimi anni la produzione tenderà a raddoppiare e poi a triplicare. Inoltre, solo il 10% della plastica viene riciclato.
Infine, non possiamo dimenticare la produzione di veleni di una multinazionale come la Solvay di Spinetta Marengo, una frazione di Alessandria in Piemonte. In quei territori, le prime fabbriche chimiche risalgono ai primi del novecento, ma poi è arrivata nel 2002 la Solvay Solexis è la situazione è decisamente peggiorata e soprattutto non si intravedono miglioramenti. Aumentano i prodotti chimici dannosi per uomini e natura, i tumori nella zona sono del 19% più diffusi della media.
Ettore dice
Bravo Alberto