di Alessia Manzi
“Sembra una notte, una lunga notte, l’attacco feroce del capitalismo alla nostra società. La crisi morde e prova a disgregare e isolare i piccoli gruppi, provando a far credere come il problema sia il singolo. Davanti a queste difficoltà vogliamo ripartire dal sociale e dal tessuto sociale in cui siamo immersi”. Il convegno “Mutualismo, Pratiche, Conflitto, Autogestione”, che si è svolto a Roma il 7 e 8 aprile, si apre con questa premessa. A parlare è Gaia, attivista di Scup (Sport e Cultura Popolare); lo spazio sociale che ospita l’iniziativa e ha collaborato all’organizzazione dell’evento insieme a FuoriMercato, Edizioni Alegre, Rivista Gli Asini, Communia.
Siamo nel Municipio VII, a pochi passi da Piazza San Giovanni in Laterano e dal quartiere Pigneto. In questo week end riscaldato dal primo sole primaverile, almeno trecento persone provenienti da ogni parte di Italia si sono incontrate per condividere le esperienze mutualistiche cominciate durante questi dieci anni di crisi. Un decennio duro, costellato da governi tecnici e precarietà, diktat e disoccupazione, che non è bastato a fermare la voglia di contrastare i duri tagli inflitti al welfare dalle politiche neoliberiste. Così realtà contadine, spazi sociali, sportelli di mutuo soccorso, reti per l’economia solidale ed esperimenti di inclusione fra migranti e non, nati dal basso, hanno partecipato alla due giorni di discussioni, tavoli di lavoro e plenaria sul tema del mutualismo. Un momento di incontro e confronto molto importante, dove chi da tempo porta avanti il “far da sé” ha deciso di respirare “questa boccata di ossigeno”- come le giornate verranno ripetutamente definite – e accogliere la sfida: creare una concreta alternativa al sistema capitalista e, collettivamente, scrivere un manifesto del mutualismo e per l’autogestione.
Uno strumento per ricostruire
Parlare di mutualismo può apparire anacronistico. Eppure, non è affatto così. C’è “una cassetta degli attrezzi nel movimento operaio dell’800”: il mutualismo conflittuale. “Questo, uscendo dalla concezione borghese e abbandonando le radici migliorative – spiega Salvatore Cannavò (Edizioni Alegre) – e legandosi alla resistenza sposando la solidarietà di classe”. Tornare al mutualismo non significa riprendere un ciclo storico ormai concluso. “Vuol dire ripartire dal nostro agire quotidiano – continua ancora Cannavò – senza dimenticare di non doverci sostituire allo Stato: rischieremmo di consegnarci mani e piedi all’assistenzialismo”. Durante il 1800, si sviluppa il concetto di “solidarietà”; un’ideologia definita da Stefano Rodotà come “una nuova rappresentazione del sociale e del politico, che rimodula le forme di intervento pubbliche nel settore sociale”. Fu un tassello necessario allo sviluppo del mutualismo conflittuale. Il movimento dei fasci siciliani “nato su tre presupposti: solidarietà, ricostruzione e crisi – ricorda la professoressa Manuela Patti – le leghe, le case del popolo, le camere del lavoro vengono annoverati fra i principali esempi di mutuo soccorso realizzati in quel periodo. Esperienze, poi, costrette a subire una battuta di arresto per via della Grande Guerra, del Fascismo e della prima Repubblica. Epoche in cui qualunque forma di associazionismo subisce una forte repressione ma il mutualismo, definito dallo storico Carlo De Maria (Rivista Clionet) “come l’anima profonda della democrazia”, trova un rinnovato impulso a partire dal ’68, dal Concilio Vaticano II e dagli anni ’70. Le lotte femministe e per la conquista dei diritti civili, i gruppi di solidarietà internazionale (attuali Ong) appartengono a quei momenti storici che videro gli individui unirsi per raggiungere scopi specifici. Con la crisi dei partiti politici italiani degli anni ’80, altre aggregazioni imboccheranno nuove strade e cammineranno secondo diverse modalità di impegno collettivo e politico. “Oggi la pratica dell’autonomia è uno strumento che ci può essere utile. Autonomia per associarsi, cooperare, sperimentare e migliorarsi pur facendo i conti e talvolta scontrandosi con le strettoie del presente”, conclude De Maria.
Davanti alle complicazioni del nostro quotidiano, il mutualismo si pone una domanda: come possono, le pratiche mutualistiche attivate nei vari progetti, trasformare la società? Un interrogativo, questo, capace di porre sul tavolo una serie di questioni altrettanto rilevanti all’interno delle realtà autogestite. Alcune interessano la ricomposizione di quello che alcuni chiamano un movimento di classe – la classe esiste ma è disgregata -, il lavoro, il conflitto sociale, i rapporti di genere e quelli fra nativi e migranti. Il mutualismo è trasversale e la sua “genealogia femminista” lo dimostra. Ricordando le lotte per l’emancipazione femminile avvenuta nel corso dei secoli, Marie Moise (ricercatrice) aggiunge: “Le subalterne hanno risposto a questo sistema di sfruttamento, che qui è compreso non solo a partire da un’asimmetrica divisione sociale del lavoro, ma anche sessuale e razziale”. Per comprendere quanto ancora sia attuale tale assunto, basta guardare al recente movimento Non Una Di Meno. Al grido “siamo marea”, migliaia di donne hanno riempito le piazze di tutto il mondo contro le violenze e le discriminazioni di genere, molto spesso intrecciate al razzismo e alla mancanza di politiche sociali e lavorative eque. E, in effetti, le battaglie contro lo sfruttamento lavorativo e la rivendicazione di una società più giusta ed equa possibile, non lasciano nessuna intersezione fuori dallo schema dell’agire mutualistico.
Che fare?
Volgendo con uno sguardo al passato è facile notare quanto il mutualismo non sia qualcosa da realizzare partendo da zero. Esiste già. Stimolanti spunti vengono offerti anche dalle esperienze internazionali del Soc (Sindacato Andaluso che all’interno delle sue lotte sindacali non ha accolto solo i l’intervento dello stesso, particolarmente preziosi si sono rivelati i racconti sulle realtà di Marinaleda, Somonte, Cerro y Libertad); del Movimento dei Sem Terra e dell’Association Pour L’Autogestion in Francia. Questi esperimenti dimostrano come sia possibile percorrere un’altra strada. la cui segnaletica porta il nome di mutuo soccorso, solidarietà, cooperazione, riappropriazione e autogestione.
“Cambiare il mondo appare difficile. Forse è meglio crearne uno nuovo” esordisce Giovanni di Mondeggi Bene-Comune Fattoria senza Padroni mentre cita Emiliano Zapata e racconta la storia della tenuta fiorentina. A Mondeggi, sulle colline di Firenze, la difesa per un bene comune (un’antica villa fattoria) ha dato modo ai cittadini e alle cittadine di Bagno a Ripoli (città metropolitana di Firenze) la possibilità di dare vita a un vero laboratorio di democrazia diretta e di autogestione. Così, attorno al tema della terra come fonte di relazioni umane e di cibo, è nata una comunità diffusa.
E un altro passo in avanti per cambiare il mondo è stato fatto anche altrove lungo il nostro stivale. Non solo sui colli fiorentini. Lo vediamo nella fabbrica recuperata Ri-Maflow, attorno a cui si è creta una rete economica sociale e rurale (csa, cucine popolari, produzione culturale, gas). E ancora nel lavoro coi migranti svolto dalla Legal Clinic di Roma Tre, di cui durante il convengo Enrica Rigo (docente universitaria e responsabile del progetto) ha illustrato il lavoro. Nel lavoro bracciantile di coloro che giungono in Italia e nativi di Sfruttazero, Sos Rosarno e nei tanti progetti in cui si rivendicano paghe secondo le tariffe salariali previste e il rispetto per la dignità umana; fin troppe volte calpestata nelle campagne italiane. Il cambiamento esiste nell’impegno durante le emergenze (e non solo) delle Brigate di Solidarietà Attiva; negli sportelli legali, nelle nuove forme di sindacalismo. E in FuoriMercato, descritta da Gigi Malabarba come “una rete sostenibile che vuole essere sia ecologica, che sociale e parta dal cibo per creare nuove relazioni sociali. Una rete che sia in grado di organizzare e combinare lotte sindacali e autorganizzate in tutti i campi della nostra società”.
“Tenere la brace accesa”
Se il convegno di aprile ha permesso la conoscenza fra realtà magari fra loro sconosciute e la possibilità di ampliare i ragionamenti attorno alle idee mutualistiche, ora occorre non fermarsi. A partire dalla due giorni, organizzatori e partecipanti hanno individuato quali potrebbero essere le prossime tappe.
La prima guarda alla crescita del mutualismo a partire dai territori. Città e campagna si impegneranno a usare le proprie pratiche per allargare le reti e coordinare realtà diverse, permettendo lo sviluppo delle reti e delle relazioni sui territori. Questa direzione dovrà oltrepassare le differenze spesso identitarie; molte volte paragonabili a barriere utili soltanto a rallentare formazione di movimenti unitari. La seconda proposta, invece, riguarda la sopra citata stesura di un “Manifesto del mutualismo e dell’autogestione” con cui – prendendo spunto dal Manifesto di Genuino Clandestino e dalla Dichiarazione per Uso Civico di Mondegg i- si possa dare maggiore forza ai movimenti che lavorano per l’autodeterminazione dei territori e si oppongono ogni giorno alla grandi opere e agli scempi ambientali; e difendendo e autogestendo i beni comuni. Le prime righe di questo insieme di intenti (il manifesto),destinate a non restare solo teoriche, verranno scritte a partire dalla tre giorni di Genuino Clandestino (27- 29 Aprile, Mondeggi Bene Comune). Un altro appuntamento è previsto a Bologna, all’iniziativa “Vuoti a prendere”, organizzato dal Comitato per la difesa delle Esperienze Sociali (Casa del popolo 20 Pietre, 12 maggio). Da qui, la possibilità di presentare questo iniziale lavoro di nuovo a Mondeggi, durante i tre giorni per il festeggiamento del quarto compleanno della Fattoria senza Padroni.
Ultimo, ma non per questo meno importante obiettivo, è la continuità dei gruppi di lavoro attraverso siti web da usare come strumenti informativi e piattaforme di scambio concreto fra prodotti e servizi; incontri di formazione sui temi affrontati durante il convegno.
Un lungo lavoro per costruire legami concreti è appena iniziato. Un’utopia, adesso, è possibile.
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