Il tema dello spazio in tutte le sue dimensioni, complessità e articolazioni in una diretta on line di 24 ore, con una partecipazione straordinaria, libera e appassionata (soprattutto donne e giovani) e una risonanza che ha coinvolto 12 mila persone in una discussione ampia e ricchissima. Tra gli argomenti che si sono imposti anche quelli non certo quelli auto-referenziali o paludati, facciamo qualche esempio, tanto per capirci: la cura e l’attenzione per le relazioni di prossimità, l’attivazione di processi partecipativi che non coinvolgano solo gli stakeholders ma le comunità sussistenti, la capacità di lavorare in collettivo, il rapporto imprescindibile con gli abitanti non umani e la necessità riorientare questo rapporto in un’ottica di co-esistenze e co-creazioni, la consapevolezza dei limiti raggiunti nello sfruttamento delle risorse naturali e dei territori, la necessaria contaminazione di altre discipline…Ma che sta accadendo nella galassia degli architetti? Il lancio della nuova piattaforma promossa dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori mostra un cambio di passo piuttosto impressionante. Se perdurasse e si approfondisse, segnalerebbe uno dei cambiamenti profondi di cui le trasformazioni urbane e territoriali hanno una necessità non più prorogabile

Con una incredibile diretta online di 24 ore, è stata lanciata la nuova piattaforma Architettiperilfuturo, voluta e organizzata dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC), iniziata alle 10 di sabato 23 e terminata alle 10 di domenica 24 maggio. L’emergenza sanitaria e il conseguente lockdown (senza dimenticare le crisi degli ecosistemi), tra le innumerevoli questioni e fratture stigmatizzate, hanno evidenziato in modo dirompente il tema dello spazio in tutte le sue dimensioni, complessità e articolazioni: da quelle domestiche a quelle pubbliche, dai non-luoghi alle piazze storiche, dalle città alle aree interne, dalle iper-densità agli sbracamenti urbanistici, da quelle relazionali a quelle conflittuali.
Come architette e architetti, in questi mesi abbiamo riflettuto, dialogato, scritto, spesso accompagnandoci con esponenti di altre discipline che hanno arricchito di molto lo sguardo sui significati (e i risignificati) dello spazio costruito, architettonico e paesaggistico. Uno sguardo che ha dovuto volgersi anche in introspezione per comprendere e riconfigurare la nostra postura, la nostra semantica ed epistemologia, le nostre prassi.
Sembrava mancare una riflessione critica ampia all’interno della nostra categoria professionale, tra le principali protagoniste delle trasformazioni urbane e territoriali, non sempre e ovunque virtuose, spesso anzi complici della degradazione socio-ambientale, spesso in ritardo sulle istanze improrogabili di sostenibilità. Ma questo primo evento di un percorso, che speriamo continui ad essere partecipativo e inclusivo, è stato per molti versi inedito e vale la pena sottolineare quelle che credo essere le “sorprese” principali, di cui si è detto stupito lo stesso presidente del CNAPPC Giuseppe Cappochin.
Innanzitutto, l’imprevedibile dato di partecipazione. 334 persone, tra professionisti, rappresentanti degli ordini provinciali e associazioni, amministratori, ricercatori, docenti… sono intervenuti live nelle varie slot che si sono succedute sulle cinque macro aree poste a tema: Sfide globali, driver progettuali; L’Italia, una rete di resilient cities; Abitare sostenibile; Rigenerazione urbana/territoriale, fra spazio pubblico e servizi di prossimità; Riattivare i processi attraverso nuovi modelli virtuosi.
Ancora più sorprendente il numero di chi ha seguito e interagito via chat alla maratona: attorno alla mezzanotte erano collegati circa 6000 iscritti agli ordini da tutta la penisola, per un totale di 12.847 utenti. Questo ci dà il polso di quanto sia alta la percezione di un cambiamento di passo a cui siamo chiamati a rispondere a tutti i livelli del nostro operare; di quanto ci sia desiderio, energia e disponibilità a sviluppare nuovi percorsi professionali e anche formativi.
La seconda sorpresa è stata la presenza dei giovani e della componente femminile. Presenza non scontata per una professione ancora molto avviluppata su categorie novecentesche esclusiviste. Sono stati loro (perlopiù esterni al circuito dei top speakers), i veri protagonisti di un’esperienza di svecchiamento di idee, esperienze e proposte alternative di ampio raggio – tra gli altri, gli amici e colleghi aquilani del collettivo LAP. Una vera boccata di ossigeno: altre attitudini, altri ‘sentire’ e pensare, che hanno dimostrato una comprensione profonda delle complesse sfide che dobbiamo affrontare e come la citizen science (in un senso traslato alla base dei professionisti) abbia sviluppato competenze, narrazioni e pratiche ben oltre l’usuale percezione degli organismi istituzionali.
La sensazione è che per il CNAPPC sia stato un rigenerante bagno di realtà, dentro a un mondo che i suoi radar solitamente non colgono e, a questo proposito, ribalterei l’auspicio del presidente che i giovani e le donne si avvicinino agli ordini, sollecitando gli ordini e gli altri organi istituzionali a moltiplicare queste occasioni innovative e creative che, come abbiamo visto in questa prima iniziativa, è possibile aprire.
Ed è soprattutto dalle voci di giovani e donne che emergono le espressioni più interessanti e rilevanti nell’approccio all’architettura e ai suoi processi. Tematiche che a molti di noi stanno particolarmente a cuore e che sono emerse con inaspettata forza: la cura e l’attenzione per le relazioni di prossimità, l’attivazione di processi partecipativi che non coinvolgano solo gli stakeholders ma le comunità sussistenti, la capacità di lavorare in collettivo, il rapporto imprescindibile con gli abitanti non umani e la necessità riorientare questo rapporto in un’ottica di co-esistenze e co-creazioni, la consapevolezza dei limiti raggiunti nello sfruttamento delle risorse naturali e dei territori, la necessaria contaminazione di altre discipline… Tutti elementi che si configurano come reali attivatori di resilienza (o di antifragilità, come dice Nassim Taleb) e che sono già prassi concreta nei modi dettati dai bisogni locali. La sociologa Marianella Sclavi, nel suo intervento, ha parlato di “architetti di strada”, non dissimili dagli “architetti attivisti” che, soprattutto all’estero, stanno esprimendo il meglio dei connotati visionari e immaginativi di cui anche l’architettura è fatta ed ha bisogno.
Un’organizzazione ambiziosa che ha dato vita a una discussione ricchissima, mai così ampia prima d’ora. Certo, è solo un inizio: andranno svolti approfondimenti su come tradurre questa esperienza nelle pratiche; andranno affrontate alcune grandi questioni come le migrazioni (interne ed esterne, dovute alla crisi climatica, alla povertà incipiente) e gli impatti che potranno generare sulle città e i nei territori; andrà prestata attenzione alle conflittualità territoriali e alla loro capacità di generare resilienza socio-ambientale. Spero si faccia tesoro di questa ricchezza, non cadendo nella tentazione di fare sintesi, bensì lasciando intatta la spontanea coralità cui abbiamo assistito, con la fiducia in un processo che possa continuare nel modo più autentico possibile, in cui ciascuno possa riconoscersi: è emersa una bella molteplicità che, nonostante gli alti numeri, riserva una ancor maggiore ‘biodiversità’ al suo interno e alla sua base.
Rebecca Rovoletto è architetta e attivista territoriale.
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