Nel libro È capitato anche me (RedStarPress) di Cristina Formica, si trova spesso la frase “Non l’ho mai detto a nessuno”. L’autrice enumera le molestie di cui lei e alcune sue amiche e conoscenti sono state oggetto nella vita: qualunque donna si ritroverà nei racconti di Cristina, perché non ce ne è una che cose del genere non le abbia vissute. “Vengono in mente generazioni di sorelle e di madri che sono state così tanto condizionate e ferite – scrive Oria Gargano nella postfazione – da non aver potuto trasmettere forza e autorevolezze alle generazioni che si sono susseguite…”. Di certo, abbattere un muro di silenzio è un punto di partenza essenziale, è il rifiuto di un mondo sentito come profondamente ingiusto, è il sostegno al quale aggrapparsi per cominciare a lottare, in tanti modi diversi, nella vita di ogni giorno
Sono piccoli omicidi quotidiani quelli che ci racconta Cristina Formica, quelli che avvengono sempre, da sempre, che costruiscono la gabbia concettuale che imprigiona le identità sessuate femminili, che condiziona e penalizza le potenzialità di ciascuna, e perpetua lo strapotere del patriarcato, che è la matrice culturale delle violenze contro le donne che culmina nel maltrattamento, nello stupro, nel femminicidio. E tutti a chiedersi, con ipocrisia e con una forma grave di malafede, con frasi convenzionali, stupide e crudeli – Perché le donne li hanno scelti? Perché non li lasciano? Perché la ragazza è andata a ballare e si è messa la minigonna? Perché ha accettato l’ultimo appuntamento? (Come se le fosse stato chiesto un incontro con l’esplicitazione che sarebbe stato, appunto, l’”ultimo”!). E invece di interrogarsi sulla sistematicità della violenza di genere e di iniziare a cambiare la cultura condivisa che la sottende, si continua a colpevolizzare le donne, a raccontarle come inadeguate e stupide, in fin dei conti colpevoli, si continua a ritenere “normali” tutti gli stereotipi che normano i rapporti tra i maschi e le femmine fin dall’infanzia, come un dictat implacabile che ne accompagna la crescita e che, a livello globale, condiziona, in tutte le classi sociali e in tutte le fasi della vita, lo schema di autoidentificazione maschile o femminile (e guai a discostarsi da questo binarismo rigido!).
Perché è normale che, come Cristina racconta, alle elementari i maschietti considerino assai attraente guardare le mutande delle compagne di scuola, e che alle medie già abbiano imparato a ferire le ragazze nella percezione di se stesse, dissezionandole e valutandone i pezzi del corpo, che sembra di essere carcasse di mucca esposte in un mattatoio, seduti su un muretto a giudicarle quando passano in strada.
In una forma costante e crudelissima di didattica, fin da ragazzine veniamo esposte al giudizio maschile, di cui siamo inerti e sovente spaventate oggetto.
Qualcuno si è mai interrogato sui condizionamenti che bambine, ragazze, donne subiscono nella costruzione della loro identità, che deve essere confermata o s-confermata dal gradimento di uno sconfinato Maschile perentorio?
Uomini – ma anche ragazzi, anche ragazzini – che non conosci e che non ti conoscono che danno i voti al tuo aspetto, e sei terrorizzata se il voto è alto, perché ti senti una preda priva di difese, e ti senti annientata se il voto è negativo, perché ti senti negata come essere vivente senziente pensante.
Tutto al di fuori della relazione, perché parliamo di una popolazione casuale camminante per le strade divisa in due grandi categorie: quelli che hanno il potere di giudicare e quelle che debbono essere prezzate come bestie al mercato.
Quanto il catcalling incide sula costruzione del sé?
Qualcuno si chiede perché gli uomini si sentano autorizzati ad appalesare i propri gusti in fatto di apparenze femminili?
E le donne stesse, seppure provano disagio e (sovente) paura, sono condotte a ritenere questo caleidoscopio di aggressioni “normali”, e sovente non ne parlano.
“Non l’ho mai detto a nessuno” è una frase che si legge spesso in questo testo, nel quale Cristina enumera le molestie di cui è stata oggetto, abbattendo un muro di silenzio che ha connotato – e connota – la percezione di sé che le donne hanno introiettato da millenni di sottomissione, e che da ultimo, grazie al femminismo, stanno modificando radicalmente.
Qualunque donna si ritroverà nei racconti di Cristina, perché non ce ne è una che cose del genere non le abbia vissute.
E se pensiamo alla irrilevanza delle donne nella Storia tramandata e raccontata, alla fatica che ci è toccata (e ci tocca) per affermarci come soggettività potenti, ci vengono in mente generazioni di sorelle e di madri che sono state così tanto condizionate e ferite da non aver potuto trasmettere forza e autorevolezze alle generazioni che si sono susseguite – anzi, non raramente, spingendo le figlie (reali o simboliche) dentro alle loro stesse prigioni, incatenandole alle loro stesse catene, perché avevano introiettato le regole del Patriarcato e pareva loro gratificante ergersene a sentinelle.
In tutta la nostra Storia, il silenzio ci ha fatto assai male. Solo la scoperta del valore della relazione tra donne, le pratiche femministe, la sperimentazione della radicalità e la scoperta della nostra potenza ci hanno salvato – ci salvano.
Riscoprire il nostro valore e imporre la potenza della nostra visione ci ha fortificato in molte. Ma non ha impedito – non impedisce – che in tante siamo sottovalutate, oggettificate, maltrattate, picchiate, stuprate, uccise.
Ecco, questo libro, con le storie di violenze esperite nella quotidianità, da Cristina ma anche da diverse sue amiche o conoscenti, rappresenta un esercizio che ciascuna di noi può fare, ripercorrendo tutte le ferite che abbiamo ricevute, ricordandoci quanto ci hanno fatto male, valorizzando la nostra capacità di andare, comunque, avanti, e rafforzando la nostra capacità di combattere per noi stesse e per tutte.
Nel mio lavoro di accoglienza alle donne in fuga dalla violenza maschile, una magnifica tra di loro, al termine di un percorso che era stato particolarmente difficile e doloroso, mi disse: “Le ferite si sono rimarginate, ma le cicatrici ogni tanto fanno male”.
Ecco, la consapevolezza e la lotta comune sono un balsamo per le ferite, e l’unico modo possibile per cambiare i contesti che rendono possibile che le donne siano vulnerabilizzate, l’unico modo per scoprire ed agire la nostra potenza.
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SCHEDA DEL LIBRO:
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