L’errore più grande che possiamo fare non è pensare “a me non può accadere quello che è accaduto a Mario Paciolla” oppure “non può accadere a mio figlio, a mio fratello, al mio amico”, perché è già accaduto anche se in forme diverse o non è accaduto solo per caso. Per rendere il mondo un posto migliore, scrive Ascanio Celestini, dovremmo imparare a immedesimarci, a ritrovarci nella storia di Mario, di Federico A., di Giulio R., di Stefano C. e nel dolore di chi li ha conosciuti
L’errore più grande che possiamo fare non è pensare “a me non può accadere quello che è accaduto a Mario Paciolla” oppure “non può accadere a mio figlio, a mio fratello, al mio amico… quello che è accaduto a Mario Paciolla”. Questo è un grande errore che commettiamo per ignoranza, per difesa o semplicemente perché, momentaneamente e per caso, ce lo possiamo permettere. Cioè possiamo permetterci di fare gli spettatori e commentare in maniera spregiudicata o semplicemente voltare le spalle. Questo è un grave errore che prima o poi ci troviamo a pagare.
Perché quello che è accaduto a Mario Paciolla non solo può accadere anche a mio fratello, a mio figlio… può accadere a me… Quello che è accaduto a Mario Paciolla è già accaduto a mio fratello, a mio figlio è già successo anche a me. Perché mia sorella non è stata uccisa in Colombia, ma è stata derubata, truffata, ha rischiato di essere abbandonata nel momento in cui aveva bisogno di essere aiutata, poi qualcosa che poteva andare decisamente storto… s’è casualmente messo per dritto. Ma solo per caso.
Mio figlio non è stato preso a manganellate come Federico Aldrovandi solo perché è passato un attimo prima o un attimo dopo davanti a un poliziotto, perché è tornato a casa mezz’ora prima o due ore più tardi, perché è andato in motorino invece che in autobus… o il contrario.
Mio padre forse non è stato torturato in Egitto come Giulio Regeni, ma forse nell’ospedale in cui è morto ha incontrato un infermiere che s’è voltato dall’altra parte, medici che non l’hanno curato, che si sono preoccupati di seguire la procedura che li ha protetti invece di correre un rischio. Il rischio di sbagliare… ma salvare a mio padre.
E per dirla tutta io mi devo immedesimare anche nel carnefice di Mario Paciolla. Perché anche i carnefici hanno figli, padri e fratelli. Dunque: mia sorella, mio figlio o mio padre potrebbero essere stati ieri o diventare domani il carabiniere che spara a Davide Bifolco, il politico che parlando di Stefano Cucchi dice «La droga ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente» cioè … è la droga che l’ha ridotto così.
Io stesso potrei essere quello che semplicemente si volta dall’altra parte, che cambia strada quando una ragazza viene stuprata, che al bar dice dei migranti morti nel Mediterraneo che se la sono cercata e di quelli che si salvano: che vengono in Italia a fare la pacchia.
Insomma noi dovremmo naturalmente immedesimarci, ritrovarci nella storia di Mario, nel dolore di chi l’ha conosciuto, della sua famiglia. E l’impegno di quelli che fanno il mio lavoro, che raccontano storie, consiste in questo: oltre gli slogan e gli hastag dobbiamo spiegare perché Mario siamo tutti noi. E quando chiediamo verità e giustizia solo per caso ci troviamo a chiederla per Mario Paciolla, ma a scavare un po’, a fare un po’ di ordine stiamo chiedendo Verità e giustizia anche per tutti noi. Anche per tutti quelli che non la chiedono, che non si immedesimano, che non lo sanno, ma ne hanno bisogno. Hanno bisogno di conoscere la verità.Hanno bisogno di ottenere giustizia.
Libero Ponticelli dice
Credo fermamente nel valore profondo della testimonianza, indispensabile per ottenere giustizia e per evitare che simili nefandezze accadano ancora.