Con immenso dolore vi annunciamo che nessun bambino nascerà quest’anno a Betlemme per Natale. Intanto nessuna famiglia non censita o araba può spostarsi da Nazareth a Betlemme, perché tra questa città e Gerusalemme c’è un muro alto otto metri che non si può varcare senza un’attesa di ore attraversando check point presidiati da coloni agguerriti e dall’esercito. A Betlemme poi, in mancanza di albergo, non si può andare a partorire in una grotta, perché c’è il rischio che essa sia allagata da pompe capaci di trasportare migliaia di metri cubi d’acqua dal mare, come si minaccia di fare nei tunnel di Gaza per uccidere quanti vi sono riparati, liberi o ostaggi che siano. È anche un tempo non adatto per partorire, perché non si sa che futuro potrebbero avere i bambini messi alla luce, già ai primi vagiti, perché potrebbero d’improvviso spegnersi le incubatrici o dopo, perché potrebbero finire in mezzo a una strage degli innocenti, come succede a Gaza dove secondo l’organizzazione internazionale “Save the children” sono stati tolti alla vita già più di 3.257 bambini, un numero superiore a quello dei bambini uccisi in conflitti armati a livello globale in più di venti Paesi nel corso di un intero anno; e questo rischio correrebbero anche in Israele, dove ne sono periti 29, e in Cisgiordania dove di bambini ne sono morti 33. Né si può cercare di portarli in salvo fuggendo in Egitto, perché non si può passare al valico di Rafah e l’Egitto non li vuole. E anche per gli altri bambini non si sa che futuro avranno se gli adulti maschi si uccidono a vicenda in guerre insensate, che è il primo e vero crimine del patriarcato.
In questa situazione tutte le Chiese cristiane di Gerusalemme hanno deciso che quest’anno non si celebrerà il Natale a Betlemme, sono cancellate le liturgie, fermati i pellegrinaggi, perché non ce ne sono le condizioni, c’è poco da celebrare.
Eppure i bambini “sono sacri” ha scritto Liliana Segre in una lettera alla comunità ebraica romana riunitasi a piazza del Popolo per reagire a un antisemitismo di ritorno che va di pari passo con il perdurare del genocidio di Gaza. Ha scritto la senatrice Segre:
“L’eterno ritorno della guerra mi fa sentire prigioniera di una trappola mentale senza uscita, spettatrice impotente, in pena per Israele ma anche per tutti i palestinesi innocenti, entrambi intrappolati nella catena delle violenze e dei rancori. E non ho soluzioni. E non ho più parole. Ho solo pensieri tristi. Provo angoscia per gli ostaggi e per le loro famiglie. Provo pietà per tutti i bambini, che sono sacri senza distinzione di nazionalità o di fede, che soffrono e muoiono. Che pagano perché altri non hanno saputo trovare le vie della pace”.
In effetti a pagare sono tutti, dentro e fuori la Palestina, Gaza e Israele. Anche i coloni, che se per mettersi fuori della guerra volessero andare negli Stati Uniti non potrebbero farlo perché gli Usa hanno deciso di non dare loro i visti per quello che stanno facendo ai palestinesi insieme con l’esercito.
Il ritorno dell’antisemitismo si può sconfiggere se risulta ben chiaro che l’“inferno” (per dirla con l’ONU) che ha preso possesso dei palestinesi e di Gaza (con il rischio di espandersi in modo incontrollato nell’area mediterranea e nel mondo) non è imputabile né al popolo ebraico come tale, né alla fede di Israele, né al messianismo del ritorno alla terra. perché, anche a una lettura fondamentalista delle Scritture, un simile esito non è compatibile con la Torah e con i Profeti. Se per la propria sicurezza futura il prezzo fosse lo sterminio degli altri sulla terra, nessun Dio potrebbe invocarsi nei cieli. Responsabile invece è solo lo Stato come istituzione, moloch o leviatano che sia, come il mostro preso ad esempio dalla Bibbia. Si rivela così la forza profetica del giudizio che Primo Levi nel 1984 esprimeva in una intervista a Gad Lerner (oggi ripubblicata dal “Fatto”) in cui si diceva convinto che
“il ruolo d’Israele come centro unificatore dell’ebraismo” dovesse rovesciarsi, tornare fuori d’Israele, “tornare fra noi Ebrei della Diaspora che abbiamo il compito di ricordare ai nostri amici israeliani che essere ebrei vuol dire un’altra cosa. Custodire gelosamente il filone ebraico della tolleranza”.
Se i mostri si sfidano fino a minacciare Beirut e il Libano meridionale di fare la fine di Gaza e di Khan Yunis, nessuno può essere complice e confondersi con essi.
È questo il cambiamento profondo che si richiede allo Stato d’Israele e al suo rapporto con gli altri Ebrei e con i popoli, e anche alla nostra concezione belluina dello Stato, se si vuole che l’antisemitismo sia cancellato in radice, e che il mondo possa trovare la pace.
Antonio dice
Vorrei che si potesse pensare alla pace, alla fine della ferocia. Stanno succedendo cose che pensavamo ormai non possibili, morte, sofferenza, crimini “di stato”. Più si è potenti, più si possono perpetrare impuniti, quasi orrendamente e ipocritamente giustificati…
La speranza è poca, sempre più flebile. Il baratro è qui, spalancato.
La speranza è poca.
PAOLA BIANCA CAVALLARI dice
amareggiata e affranta so solo dire con Liliana Segre “E non ho soluzioni.”
Giampiero Monaca dice
Quest’ anno il Natale salta,sotto i bombardamenti israeliani.
Erode continua , perfezionandola ,l a sua azione.
E non vuol essere una frase ad effetto.
La tradizione ci tramanda di un Yehoshua yuppie, seguito da quattro gatti figlio di umile falegname, preferito per la croce ad un brigante qualsiasi .
Manco per sogno .
Se Yehoshua Ben Yussuf poté diventare Rabbi , vuol dire che ha studiato, se si è permesso di andare a lezione dagli Esseni (i simbolici 40 giorni nel deserto) vuol dire che la bottega del padre non era poi quella di un poveraccio certamente anche un padre con una cultura e un temperamento molto accogliente ed avveduto al punto di non pretendere di comprendere fino in fondo chi avesse messo incinta sua moglie ( sulla figura poi di educatrice di Misiam , consiglio a tutti il film “io sono con te”)
Un Rabbi dunque, che avendo capito che l’ unica strada verso la liberazione della Palestina dall’occupazione romana e dalla tirannia teocratica dei Sommi Sacerdoti era quella del dialogo nonviolento ,iniziò la sua opera politica di conversione e convincimento attraverso esperienze di vita comunitaria e solidale . ” Una Palestina libera senza violenza è l’ unica possibilità di stabilità” fare guerra alla guerra è sempre guerra.
Contemporaneamente c’era Hamas , pardon,il movimento capeggiato da Brabba e altri come lui, che perseguivano la liberazione della Palestina in modo armato , illudendosi di far fuori i romani ri accoccolandosi poi sotto le tuniche dei Sommi Sacerdoti.
Ecco quel che succedeva.
Inevitabilmente han fatto fuori chi avrebbe risolto in modo pulito e radicale il problema dell’ abuso Del potere. Un po’ come è successo a Vittorio Arrigoni, instancabile autore di denunce degli occupanti ma inviso ai macellai di entrambe le fazioni .
Nessun bambinello a Betlemme quest’ anno.
La strage degli innocenti è partita in anticipo