Le multinazionali del petrolio sanno bene che il pianeta sta andando incontro a un disastro, ma sanno anche che uscire dall’economia dei fossili non è un fatto tecnico. Comporta un “cambio di paradigma”, il passaggio da un’economia in cui il potere è concentrato e centralizzato grazie al controllo degli idrocarburi (e del capitale necessario a sfruttarli) a un sistema di poteri diffusi, reso possibile dall’autonomia energetica di comunità e territori alimentati dalle fonti rinnovabili. Un decentramento che finirebbe per investire l’agricoltura, la mobilità, le costruzioni, l’assetto del territorio. Per un cambiamento di questo tipo “non possiamo limitarci a fare pressioni sulle autorità – scrive Guido Viale – Non possiamo delegare ai governi… È tempo di agire…”

Change the system not the climate: questo slogan diffuso in tutto il mondo basta a spiegare perché le destre, i conservatori, le persone contente della loro condizione sono quasi tutti negazionisti climatici. Temono un cambiamento del sistema che potrebbe far perdere il loro potere o minacciare il loro grande o piccolo benessere. Non è solo ignoranza del fatto che la crisi climatica, andando avanti, distruggerà il benessere di tutti. Naomi Klein lo ha spiegato molto bene nel suo libro Una rivoluzione ci salverà: i boss dell’industria petrolifera e affini sanno da tempo, meglio di molti di noi, che il pianeta sta andando incontro a un disastro; ma sanno anche che uscire dall’economia dei fossili non può essere un semplice fatto tecnico. Comporta un “cambio di paradigma”, il passaggio da un’economia in cui il potere è concentrato e centralizzato grazie al controllo degli idrocarburi (e del capitale necessario a sfruttarli) a un sistema di poteri diffusi, reso possibile dall’autonomia energetica di comunità e territori alimentati dalle fonti rinnovabili. Un decentramento che finirebbe per investire tutti gli altri settori portanti dell’economia: agricoltura, alimentazione, mobilità, costruzioni, gestione delle risorse, assetto del territorio: la conversione ecologica.
Per questo la lotta (o l’impegno) per il clima ha dei nemici (o degli avversari) spietati, e per molto tempo ancora si dovrà sviluppare in termini di “noi” contro “loro”. Sicuramente, mano a mano che le cose si aggraveranno (e si stanno già aggravando a una velocità spaventosa) la “zona grigia” dell’indifferenza (o dell’ignoranza) si assottiglierà; ma passerà dalla nostra parte solo se sapremo prospettare, con i fatti e non a parole, un avvenire più sereno e prospero di quello fondato sulla difesa a oltranza di finti privilegi fondati sul business as usual, che oggi ha la sua manifestazione più vistosa nelle misure – vedi Trump e Salvini, entrambi negazionisti a oltranza – per tenere lontani i migranti dal “nostro” presunto benessere. Per questo la lotta per il clima deve riuscire a legarsi in forme condivise, e non con sovrapposizioni meccaniche, a tutti i principali temi che oggi sono oggetto di mobilitazioni democratiche e partecipate, a partire da quelle per la difesa di un territorio e della comunità che lo abita, o per la salvaguardia delle condizioni di vita sia di chi lavora che di chi un lavoro non lo ha.
Dobbiamo adoperarci per dividere e scompaginare le fila degli avversari, ma per molto tempo non potremo contare su una loro resa all’evidenza dei fatti e sulla loro collaborazione. E qui veniamo al punto più delicato. Greta ha più volte affermato che i nostri nemici più pericolosi non sono i negazionisti ma quelli che a parole condividono i nostri timori e i nostri obiettivi e poi con i fatti li negano. Per questo la lotta per il clima è molto più difficile di quanto potrebbe sembrare: professarsi tout court negazionisti è sempre più difficile (persino Trump e il suo staff danno segni di cedimento), ma prima di abbandonare privilegi e posizioni di potere legati agli attuali assetti economici e sociali ci sono molte carte false da giocare. Spesso si sente dire nel movimento Fridays for future che certi temi non vanno affrontati perché sono “divisivi”, allontano potenziali adepti invece di includerli.

Questo è vero se in gioco ci sono etichette “ideologiche” o, peggio, partitiche: molti per esempio insistono sul carattere “anticapitalistico” che il movimento per il clima ha o dovrebbe avere. Ma se questo carattere non si concretizza in obiettivi e pratiche concrete è una pura affermazione di principio che sicuramente allontana molta gente e ne avvicina poca; altrettanto ideologico, peraltro, è aspettarsi che il sistema “si riformi da solo”, senza passare attraverso conflitti molto aspri e cambiamenti radicali: è la posizione di chi pensa – o spera – che tutto possa più o meno continuare come prima, con i pannelli solari e le pale eoliche al posto dei pozzi petroliferi e dei gasdotti e piantando qualche milione di alberi (pare che invece ce ne vogliano mille miliardi, e ancora non basterebbe a riassorbire la CO2 già emessa), ma continuando ad andare in automobile, mangiare carne tutti i giorni, andare in vacanza in aereo e fare le Olimpiadi con la neve artificiale…
Questo discorso è emerso in maniera chiara a proposito del Tav Torino-Lione: se non si può dire che è un progetto che va in direzione opposta a quella necessaria ad azzerare al più presto le emissioni climalteranti (e lo dicono autorevoli e documentati studiosi di tutte le discipline che hanno a che fare con il clima), perché questo allontanerebbe i molti (?) favorevoli a quel treno – ma lo stesso vale per i molti conflitti ambientali in corso in Italia e nel mondo – allora le nostre enunciazioni sull’emergenza climatica assumerebbero, sì, il carattere di una mera enunciazione ideologica e finirebbero per alienarci i molti che – ben prima di Fridays for future, se non altro per motivi anagrafici – sono scesi in campo per la difesa dell’ambiente e per la giustizia sociale.
Per non essere ideologici bisogna diventare operativi: non possiamo limitarci a “fare pressioni” sulle autorità (a tutti i livelli, dal quartiere alle Nazioni unite), anche se questo resta un compito inderogabile. Non possiamo delegare ai governi (a tutti i livelli, dal Comune alla Commissione europea) il compito di tradurre in programmi, progetti e interventi le nostre ansie. Dobbiamo sì “dire la verità”, ma anche “agire” e “coinvolgere” istituzioni, comitati, esperti, concittadine e concittadini per diventare tutti protagonisti del cambiamento.
Anche riguardo alla catastrofe climatica vale quanto segue:
E’ ovvio che nulla cambierà da parte della politica consolidata, ma assolutamente nulla affatto. Quindi rinunciare e dimettersi? Sembra che per Greta Thunberg e gli altri qualcosa del genere è inconcepibile e fuori discussione. Bravo! Non è sufficiente fare degli appelli, ma bisogna passare all’azione, è stato a lungo il motto. Ma volare meno, non sembra essere sufficiente. Potrebbe essere che sotto la pressione che qualcosa debba essere fatto IMMEDIATAMENTE, almeno parti del movimento per il cambiamento climatico scopriranno altre forme di azione per se stesse piuttosto che solo manifestazioni ogni venerdì? Al più tardi, quando il problema del “clima” sarà riconosciuto per quello che costituisce per ogni singolo individuo, cioè che ci fa ammalare di malattie sempre più gravi, non sarà più possibile continuare come avviene attualmente e aspettare che gli altri dopo tutto, forse un giorno, prima o poi in un incerto futuro, in qualche modo faranno qualcosa. Perché la malattia sollecita verso il cambiamento, ora, immediatamente.
Alcuni contrappongono al “climate change”, ideologicamente neutrale rispetto alla questione delle classi, il “social change” come concetto più appropriato, come p.e. Naomie Klein nel suo libro This changes eveything (Ciò cambia tutto, pubblicato in Italia con il titolo sovradimensionato: Una rivlouzione ci salverà). Scrive: “ Se i movimenti di opposizione devono fare qualcosa di più che lampeggiare e poi esaurirsi, avranno bisogno di una visione globale di ciò che dovrebbe emergere al posto del nostro sistema fallito, nonché di serie strategie politiche su come raggiungere tali obiettivi.”
Solo: come e da dove, per favore, il cambiamento sociale dovrebbe avvenire, se non come protesta dalla e nella MALATTIA?
Sui nessi tra il capitalismo e la malattia prodotta da esso, ma soprattutto sulla resistenza contro di esso vedi la teoria e prassi del COLLETTIVO SOCIALISTA DI PAZIENTI e del FRONTE DI PAZIENTI – SPK/PF(H), che si esprimono p.e. nelle seguenti 11 tesi sulla malattia:
1. La malattia è condizione e risultato dei rapporti di produzione capitalisti.*
*Siamo ben coscienti che la malattia è più vecchia del Capitalismo (“La miseria è più vecchia del Capitalismo” – W. Reich). La malattia è il risultato del dominio – della violenza degli uomini contro gli uomini – questo dominio nasce dalla proprietà privata.
W.Reich ha mostrato, sulla base delle ricerche svolte da Malinowski, come la società matriarcale sta transitando a quella patriarcale, transizione che si fonda sulla proprietà privata (W. Reich, L’Irruzione della morale sessuale). In questo suo testo egli mostra in modo particolareggiato come si sviluppano dei meccanismi soppressivi imposti alle pulsioni (Triebeinschraenkung) in conseguenza della nascita della proprietà privata; e come nascono a seguito – “detto in maniera moderna” – le nevrosi, perversioni e altri sintomi corporali. Nell’epistemologia, l’approccio Reichiano è di importanza enorme perché confuta chiaramente e precisamente ogni “teoria genetico-ereditaria” delle nevrosi e delle psicosi, mentre mostra il legame tra queste e i rapporti di proprietà. La trasformazione della malattia (Aufhebung der Krankheit) coincide con l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione (vedasi Marx, la teoria dell’alienazione). Non a caso la malattia è stata da noi definita come vita frantumata in sé.
2. Come condizione dei rapporti di produzione capitalisti la malattia è la forza produttiva per il Capitale.
3. Come risultato dei rapporti di produzione capitalisti la malattia è, nella sua forma di sviluppo della protesta della vita contro il Capitale, la forza produttiva rivoluzionaria per gli uomini.
4. La malattia è l’unica forma in cui la “vita” è possibile nel Capitalismo.
5. Malattia è Capitale sono identici: l’estensione e l’intensità della malattia aumentano nella misura in cui si accumula Capitale morto – un’accumulazione che va di pari passo con la distruzione del lavoro umano, la cosiddetta distruzione di Capitale.
6. I rapporti di produzione capitalisti implicano la trasformazione del lavoro vivente in materia morta (merci, Capitale). La malattia è l’espressione di questo processo che si sta dilagando progressivamente.
7. Come disoccupazione velata e sotto la forma dei contributi sociali la malattia è il tampone di crisi per eccellenza nel Iatro-Capitalismo.
8. La malattia nella sua forma non sviluppata, cioè l’inibizione, è il carcere interiore di ogni singolo (Einzelner). *
*Secondo noi, in questo sistema ogni singolo (Einzelner) è un singolo isolato (Vereinzelter). Però, oggidì, l’in-dividuo non esiste ancora veramente. Creare le condizioni di vita affinché gli individui possano esistere realmente è in effetti uno dei compiti rivoluzionari.
9. Se la malattia viene sottratta alla sua amministrazione, suo sfruttamento e suo internamento nelle istituzioni dell’apparato sanitario, e se la malattia si manifesta sotto forma di resistenza collettiva dei pazienti, allora lo Stato ritiene che debba intervenire per sostituire il carcere interiore dei pazienti con delle “vere e proprie” carceri esterni.
10. L’apparato sanitario sa maneggiare la malattia solamente a condizione che il paziente non abbia alcun diritto.
11. La salute è una chimera biologistico-nazista che ha la funzione di dissimulare, nella mente di tutti gli ingannatori e di tutti gli ingannati di questa terra (in den Koepfen der Verdummer und Verdummten dieser Erde) il fatto che la malattia è condizionata socialmente, nonché di dissimulare la funzione sociale della malattia.
Fonte: SPK – Fare della malattia un’arma. Un testo d’agitazione del Collettivo Socialista di Pazienti con un Prologo di Jean-Paul Sartre e una Introduzione del fondatore dell’SPK, il paziente del Fronte Wolfgang Huber
Per l’intero libro vedi http://www.spkpfh.de/KKW_ital_Indice.htm
Ottimo articolo, caro Viale. Se mi dai un recapito personale ti mando tutto quello che stai, giustamente, indicando come soluzioni “necessarie” e secondo me anche sufficienti. Puoi già trovare qualcosa in http://www.worldlabnetwork.ru. Un cordiale saluto! Dino