di Paolo Limonta*
Ogni giorno passo tantissimo tempo a osservare le mie bambine e i miei bambini. Quando lavorano, ma soprattutto quando giocano durante gli intervalli.
Perché soprattutto in questi momenti puoi osservare le dinamiche relazionali che si sviluppano nella tua comunità classe.
Ti accorgi di chi si aggrega, di chi viene escluso, di chi si isola, di chi rischia di venire isolato. E tu, maestra o maestro un po’ così, intervieni, ascolti, parli, giochi, organizzi, rifletti e fai riflettere. E, soprattutto, non lasci passare nulla, ma proprio nulla, che abbia anche il pur minimo sapore della prevaricazione, dell’umiliazione, dell’esclusione.
Le mie bambine e i miei bambini hanno otto anni e da due stanno facendo – come in tantissime altre classi di tantissime altre scuole – assieme agli adulti che li circondano, un bellissimo percorso di crescita nella loro comunità. Un percorso che serve tantissimo a loro. E che serve tantissimo anche a noi, che troppo spesso pensiamo di essere “grandi” e non lo siamo.
Perché, se una ragazzina di dodici anni decide di buttarsi dal balcone e in una lettera ai suoi compagni di classe scrive “adesso sarete contenti” anche io mi sento coinvolto (leggi la notizia). Come educatore, come genitore, come persona.
La costruzione di un senso civico di appartenenza a una comunità è un percorso lungo, faticoso, che ti costringe a interrogarti e a metterti in gioco ogni giorno. Ma, come ho già detto, se per insegnare basta sapere, per educare è necessario essere. Ogni giorno, con convinzione, senza stancarci mai…
* maestro
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