di Flore Murard-Yovanovitch*
Balla come foglia, piume, pioggia. La sua danza nasce da un ritmo interno, unico. All’alba dei suoi 93 anni, María Fux cerca, inventa, balla ancora e insegna. Nel suo affollatissimo studio di Buenos Aires, centinaia di persone alla ricerca di un movimento autentico, si scoprono, riscoprono, curano. In Dancing with Maria, Ivan Gergolet si è addentrato nei seminari della famosa coreografa argentina, per filmare l’artista, la tenace ricercatrice, la vitale centenaria. Senza fissarla in un ritratto biografico, l’insegue di spalla mentre accenna un suono, un movimento, dispensa incoraggiamenti, insegnamenti che trasformano. Anche il regista goriziano, per riuscire nell’impresa di filmare la danza fuggitiva ha dovuto lasciare alle spalle i territori noti e provare sulla propria pelle quell’esperienza. Per catturare l’istante dove da un corpo raccolto a terra, nasce un movimento.
La cinepresa vicina sfiora corpi-fiori, ali, corolle. Dal gruppo, emergono figure, armonia. Piano e senza didattismo, il regista di Dancing with Maria presentato alla Settimana della Critica di Venezia dove ha vinto il premio Vitae Civitas e distribuito da Exitmedia, ha saputo farsi incuriosire dalla ricerca della propria donna, danza terapeuta allieva della Fux. Seguirla, addentrarsi nel cuore di una ricerca, con un quesito, svelare quello che ha potuto portare una ballerina argentina, figlia di emigrati ebrei sfuggiti all’olocausto, ad una ricerca che dura da settant’anni, coronata dall’invenzione di un metodo di riabilitazione tutto suo.
[vimeo]https://vimeo.com/116912055[/vimeo]
Al numero 289 dell’Avenida Callao, in musica o in silenzio, spesso a occhi chiusi, ballano tutti senza nessuna discriminazione, ragazzi down, persone con disabilità, ciechi e fanciulle; in quello spazio del silenzio, dove tutti sono uguali, si apre lo spazio per la diversità. Una cinquantenne affetta da poliomielite, osa accennare col suo piede torto, ad un’oscillazione. Una ragazza trisomica diventa dea della samba, un’altra farfalla. Ballerine.
Insieme a María, si va oltre le apparenze, oltre il corpo materiale per cercare un movimento invisibile. L’ex-allieva di Martha Graham, è certa che ognuno possiede un proprio ritmo, un irripetibile movimento interno; riscoprirlo, abitarlo e poterlo esprimere di fronte ad altri, senza pregiudizi, cura. Ed è quello che la muove, ogni mattina nonostante la sua grande età, ad avvicinare ognuno come se fosse un territorio sconosciuto da cui tirare fuori, aiutare a partorire il proprio unico ballo. Persino quella bambina Mapuche sorda e ritardata, ritrovata abbandonata in una grotta delle Ande, e che negli anni ha portato ad aprirsi a una vita possibile.
Niente di didattico però in quel ritratto discreto, girato lungo tre anni di andirivieni tra l’Italia e l’Argentina, con pochi mezzi (ed è forse il suo segreto) dove è tutto accennato da un efficace montaggio poetico di Natalie Cristiani e dalla bellissima colonna sonora di Luca Ciuti. Non si categorizza o rinchiude la gigantesca Fux nella propria metodologia ormai diffusa al livello mondiale. Rimane aperta la voglia di curiosare. Si intuisce però che la sua metodologia sembra scaturire da una certezza: il suono nasce da dentro, dal corpo, ed è uguale per tutti dalla nascita (lei lo chiama “ritmo”, ma forse è fantasia).
Magistrale la scena finale, di centinaia di persone di tutte le età che invadono ballando e saltando le arterie stradali di Buenos Aires, ma potrebbe essere ovunque sul pianeta, un’immensa coreografia-corolla. Immagine di un’umanità creativa che si esprime, mossa dai ritmi propri, senza vincoli e costrizioni. Viene allora l’intuizione certezza che se tutti ballassero ogni giorno, in rapporto con altri sconosciuti, ci sarebbe sicuramente più pace nel mondo.
Lascia un commento