Ti sorprendono tra un tiggì, una video ricetta e un tutorial per il make up. C’è lo studente che «arrotonda» e la mamma immigrata, la ventisettenne neodirettrice e l’addetto al Mc_spaccio. Al grido di «tutti i mesi ci pagano puntuali» e «la maggior parte dei nostri contratti sono a tempo indeterminato», sorridono in camera contenti di essere definiti crew, come in una spa o in un importante film di Hollywood, e non sguatteri, lavapiatti o camerieri. Sono i patinati protagonisti della campagna pubblicitaria martellante con cui la McDonald’s Development Italy Inc. ha annunciato alla cittadinanza, neanche fosse candidata leader alle prossime elezioni, che nell’arco del prossimo triennio assumerà altri 3.000 dipendenti per la prevista apertura di molti nuovi punti di ristorazione.
Quelli di noi affezionati al buon cibo locale e bio trasaliscono, prefigurandosi l’invasione di panini alieni in ogni recondito anfratto metropolitano. Altri si stupiscono di non vedersi imbonire l’ultimo omni-panino, con tanto di imbottitura Dop o di nonna testimonial, come nelle ultime tornate promozionali. E c’è anche chi, legittimamente, spera di rientrare nella campagna acquisti o di veder assumere qualche congiunto, considerando che il bollettino di guerra di Bankitalia ci ha appena avvisato che nel 2013 l’Italia continuerà ad arretrare, con un Pil retrocesso al -1% e il 12% di disoccupati, che salgono a uno su tre quando parliamo di giovani. La spesa delle famiglie cala (-1%), perché il loro reddito disponibile reale si è ridotto del 4,3% rispetto a un anno fa, e fa scendere la propensione al risparmio all’8,6%. Eppure al panino globale l’italiano non rinuncia, tanto che il gruppo, orgoglioso, annuncia la sua crescita in controtendenza. Decanta, come se questo costituisse particolare virtuosismo imprenditoriale, che i lavoratori sono puntualmente retribuiti, che le assunzioni avvengono nel rispetto della legge e che ai 16.000 dipendenti viene regolarmente applicato il Contratto Collettivo Nazionale del Turismo.
Del Turismo, badate bene, e non del settore ristorazione o alimentare. Non stiamo subito a pensare male, ripassando a mente e su internet i livelli retributivi e le tutele lavorative e sanitarie su cui possono contare quei lavoratori (e di conseguenza i loro clienti) che hanno a che fare con un diritto e un piacere fondamentali cioè quello di mangiare bene e sicuro. Come la «crew» di un villaggio turistico, in effetti, i lavoratori del Mc_Mangiare sono arruolati per introdurci in un coma glicemico collettivo che si anima di sorpresine griffate, colori, odori, ciccia e brufoli, all inclusive. A richiamarci alla realtà ci pensa la Filcams Cgil Nazionale, che tira via la parrucca al rassicurante Mc_clown e ci ricorda in un particolareggiato comunicato che siamo in presenza di una di quelle multinazionali del comparto della ristorazione commerciale/veloce, se non l’unica, ad essersi sistematicamente sottratta al confronto in ordine alla condivisione di un contratto integrativo aziendale. Ad oggi, sottolinea il sindacato, le relazioni con l’azienda, a livello nazionale, sono pressoché inesistenti né elementi di conforto pervengono dal livello territoriale, che continua storicamente a risentire, salvo isolate eccezioni, di forti criticità.
A telecamere spente, poi, emerge che il tema della qualità occupazionale in McDonald’s, non altrettanto pubblicizzato, è da anni uno degli assi portanti delle rivendicazioni sindacali: l’80% dei lavoratori, non certo per scelta, ha un contratto a tempo parziale di poche ore settimanali, con il sistematico obbligo di prestare servizio in orario notturno e domenicale/festivo. Quelli menzionati, continuano dalla Filcams, sono i tratti distintivi di un rapporto di lavoro di cui peraltro McDonald’s omette di specificare l’alto indice di precarietà, le inevitabili implicazioni di carattere reddituale e l’impossibilità di avere il tempo necessario per la cura dei propri affetti e della propria salute psicofisica. «Del resto uno degli indici più efficaci per comprendere quali siano gli standard McDonald’s in tema di qualità occupazionale – ricordano dal sindacato – può essere considerata senz’altro la procedura di licenziamento collettivo, avviata dall’azienda non più di qualche mese fa a Milano, che ha coinvolto un centinaio di dipendenti esclusivamente tra quelli con maggior anzianità aziendale e con orario settimanale di maggior consistenza (30/40 ore settimanali), i cui effetti nefasti sono stati arginati solo grazie all’azione dei lavoratori e del sindacato».
A questo punto della digestione del comunicato sindacale, il telecomando vola dall’altra parte del salotto – succede spesso purtroppo – la televisione giace di nuovo senza vita in un angolo buio della casa, e la povera redattrice che ogni tanto ci prova ad accenderla in cerca di conforto catodico e di qualche buona notizia, torna con sollievo ai suoi libri e si barrica felice dentro al nostro Comune-info. Unica tecno-deriva, la lettura di qualche e-book. Si ritrova, infatti, irriducibilmente d’accordo con la Filcams: la retorica, il sensazionalismo, l’utilizzo strumentale e la mercificazione di uno dei principi fondamentali dell’ordinamento repubblicano, il primo articolo della nostra carta costituzionale, quando si discute di diritti e di lavoro (ma soprattutto di lavoratori), non sono solo fuori luogo, ma anche di nessuna utilità. «Si discuta di piano industriale e di investimenti; di aperture previste e di prospettive occupazionali – conclude la struttura sindacale – si avvii finalmente quel confronto in tema di qualità occupazionale, attraverso l’alveo naturale rappresentato dalla contrattazione di secondo livello». Giù la maschera e su la sostanza: e se dovesse succedere saremmo ben lieti di raccontarlo anche qui.
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