di Patrizio Gonnella*
Come sarà classificata la povera bimba morta, pare uccisa dalla propria mamma, nel carcere romano di Rebibbia? Di certo non verrà conteggiata tra i detenuti morti nel 2018. Lei non era una detenuta. Era prigioniera, suo malgrado. Era innocente. Come innocenti sono tutti i bambini del mondo. Di tutto questo sarebbe importante discutere. Di come non riusciamo a liberarci del carcere al punto che non si riesce a trovare una soluzione neanche per qualche decina di bambini innocenti. Ogni altra interpretazione è fuorviante ed apre a strumentalizzazioni.
Dovunque, in galera o no, una madre ammazza un proprio figlio bisogna restare in silenzio. Un rispettoso silenzio. Solo così onoreremo quella vita spezzata. Un silenzio che non ammette sociologismi o speculazioni. Sarebbe bello se di fronte a un qualsiasi fatto di cronaca imparassimo a tacere o quanto meno cercassimo di trarne conseguenze opposte a quelle che finora ci hanno portato nelle braccia dei pan-populisti. Non so quale mai potrà essere il commento dei nostri twittatori professionisti saputa la notizia. Ancora più triste è immaginarsi di quali sarebbero state le reazioni social se quella mamma non fosse stata tedesca ma di un qualsiasi paese africano o se fosse stata una donna rom.
https://comune-info.net/2018/05/le-sbarre-del-populisti-e-lossessione-della-sicurezza/
Rebibbia è un carcere gestito con professionalità da tante brave persone. Si respira un’aria di umanità. Ce ne fossero in giro di persone e luoghi di questo tipo. L’ultima volta (fine maggio 2018) ci sono andato con una trentina di studenti dell’Università Roma Tre impegnati in un corso universitario. E il corso si è chiuso con una conferenza, rivolta alle detenute, della nipote di Ghandi. Si parlava di non-violenza.
Dunque, se proprio si decide che su questa vicenda di cronaca si vuole rompere il silenzio lo si faccia per spiegare come il carcere sia un’invenzione della modernità per superare la tragedia dei supplizi e delle pene corporali. Un’invenzione alla quale oggi i cultori della pena certa si affidano in modo totemico.
https://comune-info.net/2014/06/prigioni/
Prima di twittare, commentare, legiferare, contro-legiferare bisogna avere visto. Era questo il titolo di uno straordinario numero della rivista Il Ponte di Piero Calamandrei del 1948. Loro, gli uomini della resistenza incarcerati dai fascisti (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Vittorio Foa), il carcere lo avevano visto e sapevano raccontarlo nonché svelarne le drammatiche ambiguità.
Tra queste ambiguità c’è quella di bimbi piccoli costretti a stare in carcere con le proprie mamme detenute. Non si è riusciti a mandarli tutti fuori. Non è facile. Ma è dovere di tutti continuare a provarci, con determinazione e senza urlare.
*Giurista, presidente dell’Associazione Antigone
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