Hanno ragione Frei Betto, Noam Chomsky, Naomi Klein, Chico Buarque e molti, moltissimi altri: Jair Bolsonaro è una minaccia per il mondo, non solo per la sempre fragile democrazia brasiliana. Il suo tragico quanto probabile successo, nel ballottaggio elettorale di domani, domenica 28 ottobre, non rappresenterebbe solo il trionfo degli interessi più scandalosi delle élite nazionali ma l’affermazione del Brasile come stato-guida continentale della guerra mondiale contro i poveri, contro tutti quelli che stanno in basso. Eppure, non possiamo non domandarci perché la maggioranza dei brasiliani che vota sia tanto attratta da un personaggio così impresentabile e perché sia così grande la differenza tra i suoi consensi maschili e quelli delle donne del Brasile. Sono interrogativi che, dall’affermazione di Trump a quella di Salvini, percorrono ogni giorno l’intero pianeta. Per quel che riguarda il gigante del Sudamerica, il paese delle disuguaglianze per antonomasia, Raúl Zibechi prova a cercare alcune risposte da un punto di vista originale e di grande interesse. L’incubo che sta vivendo il Brasile ci riguarda eccome, per molte e diverse ragioni. Una delle quali è che la nostra cultura politica non cessa di alimentare il mito del capo, dell’uomo forte, del cosiddetto “maschio alfa”, per poi magari inorridire solo quando quell’uomo è un fascista più o meno dichiarato
di Raúl Zibechi
Le elezioni brasiliane mostrano un’enorme differenza di comportamenti tra uomini e donne, una differenza tanto ampia e profonda come poche volte si registra nelle nostre società. Secondo la prima indagine di Datafolha dopo il voto del 14 ottobre, esiste un “pareggio tecnico” nelle preferenze femminili: il 42 per cento appoggia Jair Bolsonaro e il 39 Fernando Haddad, malgrado il primo abbia complessivamente quasi 20 punti di vantaggio. Le preferenze maschili esprimono invece il 57 per cento per il candidato dell’estrema destra e solo il 33 per Haddad. Bolsonaro è un personaggio “machista”, militarista e razzista, che mai ha nascosto le sue opinioni e se ne vanta. Quel che dobbiamo spiegarci, allora, sono le ragioni per le quali la maggioranza della popolazione brasiliana si sente attratta da lui.
La prima ragione è la profonda crisi, tanto economica quanto sociale, accompagnata da un aumento rilevante della violenza. Nel 2017 si sono contate quasi 64 mila morti violente, una cifra che aumenta in modo esponenziale: all’inizio del periodo neoliberista, nel 1990, erano 14 mila, e nel 2002, quando Lula vinse le elezioni, le persone morte ogni anno erano 49 mila. La violenza non cessa di crescere e si è portata via mezzo milione di persone nell’ultimo decennio. Un aspetto centrale della crisi è la dissoluzione dei legami sociali e comunitari. Molto prima che Bolsonaro acquisisse la centralità che ha, le grandi città si erano trasformate in spazi di violenza dilagante. La principale differenza dal 2013 è che adesso la violenza è radicata anche nei quartieri della classe media, mentre storicamente era concentrata nelle favelas e nelle periferie urbane, dove la società più disuguale del mondo puntava le sue armi contro la popolazione nera.
La seconda ragione è il clima di insicurezza imperante. Per curioso che sembri, nei quartieri popolari le cose sono cambiate poco. Di notte a Rio de Janeiro, nella Maré, la favela più grande del Brasile, la gente continua a fare la sua vita nelle strade affollate come sempre. Nei quartieri “nobili” (così chiamano in Brasile la città formale ) le strade sono deserte e i pochi passanti deambulano come fantasmi affrettando il passo. L’insicurezza è cosa della classe media, perché i più poveri non hanno mai vissuto altra realtà che la paura della Polizia Militare e dei suoi alleati: i politici conservatori, i trafficanti e, più di recente, le chiese pentecostali ed evangeliche che perseguitano selvaggiamente le religioni afro.
Sono le paure della classe media a fare le notizie, le sue paranoie conquistano i titoli e i suoi quartieri si riempiono di guardie private, quando possono pagarle. Con la crisi, un settore molto ampio delle classi medie teme inoltre di perdere il lavoro e lo status economico e sociale. A questo proposito, Bolsonaro promette di farla finita con l’insicurezza, si offre di essere il gran protettore, premendo il grilletto contro i piccoli delinquenti e promettendo la castrazione chimica per gli stupratori. Tutto sembra talmente facile da risultare poco credibile.
La terza ragione è che il maschio alfa, nelle sue varianti dure o blande, è lo stereotipo noto, tanto a destra come a sinistra. Salvo il piccolo settore di universitari che hanno avuto successo, il resto della popolazione continua a credere nel polso fermo e nell’uomo forte, dalla famiglia al quartiere, fino alle istituzioni statali. Non è un caso che le forze armate godano di una così buona reputazione e che tutta la campagna di Bolsonaro abbia ruotato attorno a militari che non rifiutano né la tortura né le soluzioni repressive.
La quarta ragione è in relazione con il campo dell’emancipazione. I partiti e i movimenti, perfino noi maschi che ci diciamo antipatriarcali, non abbiamo creato altri modelli maschili, differenti da quelli che ci offre il sistema. La nostra sinistra seguita a scommettere sui caudilllos, cosa che poteva essere spiegabile, ma solo fino a un certo punto, fino alla rivoluzione mondiale del 1968.
Abbiamo parlato di leninismo, peronismo e castrismo. E adesso proseguiamo sullo stesso cammino: chavismo, lulismo e tutti gli altri “ismi” immaginabili, legati sempre a un caudillo, cosa che, naturalmente, rimanda al patriarcato. Siamo tanto grotteschi che perfino quando un movimento copre i volti dei suoi portavoce e li chiama subcomandanti perché si comprenda che obbediscono alle comunità, gli analisti continuano a credere che siano Galeano e Moisés quelli che comandano.
La nostra cultura politica non smette di produrre “maschi alfa”. Vladimir Putin e Xi Jinping provocano sospiri di amor rivoluzionario tra parecchi intellettuali, che però inorridiscono quando il maschio è di segno contrario alle loro ideologie.
Tutto questo non significa, naturalmente, confondere la figura del maschio alfa con il “guerriero” o “la guerriera” necessari a difenderci. Il maschio alfa si comanda da solo e fa quel che il testosterone gli indica. Il guerriero obbedisce al suo popolo.
Questo articolo è uscito in Messico su La Jornada
Traduzione per Comune-info: Marco Calabria
L’adesione di Raúl Zibechi a “Un mondo nuovo comincia da qui“, la campagna 2017-18 di Comune
Comune-info è una delle fibre dell’arazzo-mondo-nuovo
La sorte degli oppressi del mondo – sotto la tremenda tormenta che ci scuote – si giocherà interno alla capacità di creare, inventare, mondi nuovi. Ovvio che resistere è importante. Non è quello che noi, la gente comune, stiamo facendo da quando esiste l’umanità? Per los de abajo, quelli che stanno sotto, vivere è resistere ed è resistendo che abbiamo imparato a camminare.
Adesso, però, ci manca qualcosa in più. Qualcosa che sia la condizione perché la vita sia bella da vivere, perché non sia mera ripetizione – eterna, infinita – ; perché l’arte del vivere sia capace di neutralizzare le routine, le terribili e letali routine necessarie perché il capitale continui ad andare avanti con il suo processo di accumulazione. Una di quelle routine è quella che angosciava Pasolini negli ultimi anni della sua vita: il consumo, la cultura del consumismo, che non distingue tra sinistre e destre, né tra borghesi e proletari. Quel consumismo che trasforma noi che stiamo sotto in fotocopie di quelli che stanno sopra.
Comune-info è una ribellione contro la routine del consumare informazione amorfa, quella che non è capace di distinguere tra ciò che è importante e l’info-trash. Il cervello, dicono i saggi, non pensa con l’informazione ma con le idee. Ogni volta che entro nella pagina di Comune, ne esco con qualche idea nuova, oppure con vecchie idee presentate in forma originale. Comprendere la realtà-tormenta è indispensabile per poterci orientare nella burrasca, per non perdere il nord e, pertanto, la vita. Se non viviamo, non potremo neanche creare. Sopravvivere è il primo passo creativo che possiamo dare nel mezzo del caos-tormenta-sistemico.
Comune-info non è una pagina di informazione, e nemmeno solo di idee. È qualcosa di più: fa parte del mondo nuovo, è un luogo d’incontro e di riconoscimento tra quelli di noi che soffrono questo mondo e sono decisi a fare qualcosa perché la tormenta sia, anche, un’opportunità per creare il nuovo.
Per tutte queste ragioni, penso che valga la pena di sostenere la campagna del 2017. Per poter continuare a navigare tra onde gigantesche e per poter affrontare le molte teste di quella idra che chiamiamo capitalismo. Un compito molto complesso perché l’idra è fuori e dentro di noi. Comune è, insieme, la barca e lo specchio.
Saludos y suerte
Raúl Zibechi
hans drager dice
Alcuni giorni fa ad Amburgo, in Germania, c’è stata una manifestazione contro la crescente violenza razzista contro migranti, rifugiati e minoranze, il ritorno del nazismo e l’impotenza con cui reagiscono i partiti, l’opinione pubblica, e anche (ancora) la maggioranza dei cittadini alla propagazione di questo fenomeno che oramai sta proliferando in tutto il mondo. Riporto qui di seguito un commento a un tentativo di spiegazione in un articolo comparso su un autorevole settimanale di centro sinistra che ritengo sia utile per la comprensione del fenomeno e, soprattutto, per affrontare questo ritorno del nazismo:
Ci sono, i paralleli tra lo stato in cui versano sempre più stati e la Repubblica di Weimar, e ciò riguarda innanzitutto la Sinistra. Wilhelm Reich aveva speso tutta la vita lavorando fino allo stremo (“Psicologia di massa del fascismo”, ecc.) per rendere chiaro ai suoi compagni del KPD (Partito Comunista di Gbermania) quali fossero le energie affettive mobilitate da Hitler & Co quando Hitler trasformava questioni politiche in affronti e insulti personali. Cioé che Hitler fece politica con la MALATTIA. W. Reich fu espulso dal KPD. Oggi, coma allora, la questione come si affronta la malattia è ugualmente importante per le conseguenze politiche che se ne tra. Il COLLETTIVO SOCIALISTA DI PAZIENTI (SPK) aveva tratto conseguenze politiche concrete e la sua teoria e le sue pratiche sono l’unico antidoto efficace contro il nazismo e il razzismo. Fino ad oggi, 48 anni dopo l’inizio del COLLETTIVO SOCIALISTA DI PAZIENTI (SPK), la Sinistra non ha ancora capito come l’identità tra la malattia e il Capitalismo può essere resa produttiva, ma, a differenza dei nazisti, per sconvolgimenti PROGRESSIVI profondi. Jean-Paul Sartre, però, anche lui un uomo di Sinistra, lo aveva visto chiaramente già nel 1972 quando, nel suo prologo al libro “SPK – Fare della malattia un’arma”, esortava con insistenza l’SPK a continuare il suo lavoro in tutte le circonstanze. L’SPK ha seguito la sua raccomandazione.
Vedi: http://www.spkpfh.de/KKW_ital_Indice.htm
A che cosa servono, dunque, tutti questio cortei, se non sono correlati alla questione della malattia? A tutt’ oggi, non portano da nessuna parte.