L’im-munitas è ciò che ci esonera dall’impegno e dalla preoccupazione. L’ossessione di proteggersi da tutto e tutti non nasce con il virus, ma dal rifiuto dei rischi, dei conflitti, della messa in gioco, del pensiero. E, ovviamente, anche dello straniero. “Se le persone e le comunità si immunizzano per evitare la paura – scrive Enrico Euli – è inevitabile però che inizino a temere fortemente la libertà. E la comunità che fugge dalla libertà è quella che si fa gregge”. Ecco, una delle sfide oggi è uscire dal gregge, smettere di alimentare nella vita di ogni giorno un sistema che ci fa liberi servi
Si potrebbe chiamare “immunità del gregge”. Poco a che vedere con quella sanitaria (immunità di gregge), anche se le parole contano (ed anche le analogie). La parola latina munus può significare molte cose diverse (impegno, ufficio, obbligo, ed anche dono…) e sta dentro alcune parole importanti (munire, comunicare, comunità, immunità…). L’im-munitas è quel che ci toglie l’obbligo, ci esonera dall’impegno e dalla preoccupazione, ci evita problemi. La nostra communitas è divenuta sempre più negli anni una entità collusiva immunizzata e immunizzante, che ossessivamente cerca di proteggersi in tutti i modi dal negativo: dai pericoli e dai rischi, dai conflitti, dalla messa in gioco, dalle impurità, dalle catastrofi, dallo straniero e dal pensiero. La nostra securitas (da sine cura, sans souci, senza preoccupazione) sta in un’area semantica affine e si fonda su una pedagogia immunizzante di massa. La gran parte delle nostre energie vitali sono da tempo e ogni giorno dedicate soltanto a respingere il male che ci attornia (l’esperienza del coronavirus è soltanto l’ultima, più evidente ed estrema esperienza all’interno di questa sindrome). Se le persone e le comunità si immunizzano per evitare la paura è inevitabile però che inizino a temere fortemente la libertà (questo timore non sta solo al termine del processo, ma anche all’origine, peraltro). E la comunità che fugge dalla libertà è quella che si fa gregge. Su questi temi vi consiglio Liberi servi di Gustavo Zagrebelsky e La politica senza politica di Marco Revelli, letti in questi giorni tristi.
Ma, in attesa che arrivi il vaccino e l’immunità di gregge, l’immunità del gregge ora diventa (anche) un problema: perché la massificazione nega alle persone la capacità di gestirsi in autonomia. Perché se trasformiamo i giovani in greggi di idioti che attendono soltanto lo spritz della sera o i bagordi della notte per potersi sentire vivi, dopo averli fatti stazionare per ore davanti ai visori o sui divani, non possiamo sperare che poi, appena lasciati a razzolare, siano ragazzi responsabili (leggi anche E i giovani? di Franco Berardi Bifo, ndr). Se esoneriamo la gente dal pensare non possiamo poi sperare che pratichi il buon senso (così pare si chiami ora l’obbedienza). Significativo che molte persone si stiano rifiutando di farsi fare i prelievi per i test sierologici. Dobbiamo pur pagare un prezzo per quel che abbiamo voluto fare del “popolo”. Dà grandi vantaggi, quando sta sotto. Con qualche effetto collaterale negativo.
Ma attenzione: non per loro o per noi. Non ce ne frega niente, davvero, dei bambini, dei giovani, degli adulti, né tanto meno dei vecchi. No, non devono fare follie, ma solo per la causa. È il capitalismo che non può, non deve rifermarsi. Ha già sopportato troppo, non può essere rimesso in causa da quattro scapestrati. Ed ecco l’incazzatura di Sala di una settimana fa per i giovinastri sui Navigli. E allora ecco lo spot terroristico del Veneto contro la mo-rti-vida e la desperate happy hour. Ed ecco le minacce dell’Oms sulla terrifica seconda ondata che tornerà in autunno. Ed ecco l’invenzione degli assistenti civici, preambolo alle prossime ronde di stato. Dopo il premio, se non funziona, ritornano le punizioni (e per tutti, non per chi trasgredisce…) Siamo sempre lì: o costrizione da lunga paura o piacere da breve ribellione. Nessuno spazio per qualcosa che abbia a che vedere con l’etica o con l’educazione. Puro infantilismo statunitense, da entrambe le parti. Ci si muove solo e sempre tra duri sceriffi senza cuore e pervertiti senz’anima e senza scampo.
Da qui anche il muro contro muro tra regioni ancora contagiate e altre sedicenti covid-free. Ora il governo, dopo aver isolato zone rosse e aver imposto detenzioni di massa prolungate per milioni di persone, dividendo famiglie e fidanzati, solo ora scopre che non far partire i lombardi per le vacanze fuori regione sarebbe incostituzionale. Non si cambia il-logica dell’in-differenza: ci hanno fatto andare in panico solo perché le terapie intensive del nord non reggevano, e solo per questo hanno costretto paesi interi del sud e delle isole (che non hanno mai avuto un contagio) a stare isolati per mesi. Questo non era incostituzionale? Sì, ma era anche stupido. Ed ora è stupido farne una questione di razzismo regionale, e buttarla in politica-colitica, come fanno Fontana-Gallera e Sala: si tratta di fare differenza tra chi ha ancora contagi e chi non ce li ha, tra chi può contagiare e chi può essere contagiato, semplicemente. Ma davanti ai soldi e ai ricatti dei forti le regole sanitarie non valgono più, valevano solo all’inverso, sino a poco tempo fa. A proposito: chi poteva dubitare che la serie A avrebbe ripreso, visti i soldi che ci girano? L’ho già scritto: solo una ripresa dei contagi tra calciatori potrà salvarci.
Un ultimo accenno all’università: mentre tutto riapre, lei, povera nobile decaduta, mantiene alzato il ponte levatoio del suo castello, e sbarrati i suoi portoni ben sanificati. Solo i portali restano aperti. E così sarà ancora a lungo, certamente anche per l’anno accademico prossimo. La Dad ci impigrisce ulteriormente, è molto più comoda e immunizzata. Permette risparmi evidenti all’amministrazione. È ben vista dalla sempre più potente lobby dell’onlife, che non vede l’ora di trasformare tutte le attività scolastiche in versione e-learning. La gran parte degli studenti è dentro l’immunità del gregge da tempo e piacevolmente collude, senza proteste o reazioni rispetto a quel che le viene sottratto, pezzo dopo pezzo. Insomma, si va verso la fine definitiva dell’Università per come l’abbiamo conosciuta. Nessun rimpianto, nessun rimorso (almeno per me). Ma il silenzio totale e questa sua resa senza condizioni restano davvero inquietanti (almeno per me).
Enrico Euli è ricercatore alla Facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari, in cui è docente di Metodologie e tecniche del gioco, del lavoro di gruppo e dell’animazione. Ha pubblicato vari testi e articoli, l’ultimo: Fare il morto (Sensibili alle foglie).
Federica dice
Grazie Enrico!