La libreria Comunardi di Torino deve chiudere dopo quarant’anni. Si ostina ad avere ogni giorno persone che la frequentano e acquistano libri. E paga regolarmente l’affitto. Lo sfratto serve per aprire un supermercato. Del resto in tempi di austerity i dati dicono che crescono iper e supermercati. Per fortuna sono in molti a voler salvare la Comunardi, così come sono tante le librerie indipendenti che si autorganizzano (ad esempio a Roma) per restare presidi culturali, luoghi nei quali si accoglie e si include, spazi in cui ci si incontra e si scambiano idee. C’è vita sotto il codice a barre
In Francia le tradizioni e le conoscenze dei librai sono state iscritte dal ministero competente nel patrimonio culturale immateriale. In Italia una libreria a settembre chiuderà, perché deve far posto a un supermercato. Succede a Torino, in via Bogino 2, nel centro storico. Paolo Barsi, titolare della Comunardi, è lì da 43 anni. Quando ha aperto i battenti era il 1976, «anni di grande fermento sociale e politico – racconta Barsi a Comune – con il movimento operaio e quello studentesco». Nacque così una libreria politica che a poco a poco espose sugli scaffali anche saggi di cinema e albi a fumetti. «Abbiamo venduto 1.500 copie de Il gioco di Milo Manara – aggiunge – in un periodo in cui il fumetto era considerato di serie B».
Nel tempo la libreria cresce e oggi occupa 250 metri quadri. Uno spazio da cui però a breve dovrà sloggiare. «La vicenda comincia con la morte del proprietario delle mura nel 2014 – spiega il libraio – Gli eredi, della Crab holding Spa, ci comunicano lo sfratto». Lui non si arrende e riesce a tirare fino al 2018 quando una studentessa lancia una raccolta firme su change.org e raccoglie ottantamila firme. Interviene il vice sindaco Guido Montanari che «ci fa entrare in contatto con la Fondazione Cassa di Risparmio – racconta ancora Barsi – che si dice disponibile ad acquistare i locali per permettere alla libreria di proseguire la sua attività». Ma dopo cinque mesi di trattative la Fondazione si ritira e «ad oggi sappiamo che al nostro posto ci sarà un supermercato che ha offerto il 75% in più del nostro canone», aggiunge il libraio.
L’amarezza è tanta. «Non posso accettare – scrive Barsi su Facebook – che Torino si trasformi in un grande parco divertimenti per food blogger, in cui sembra assolutamente necessario che scaffali colmi di libri, riviste e parole vengano sostituiti da frutta e verdura, da frigoriferi e olive in salamoia».
Eppure sembra che la tendenza sia proprio questa. Secondo la Camera di Commercio di Torino «sono in calo le edicole (-6,4%) e le librerie (-2,0%) le profumerie (-6,3%), i giocattolai (-12,8%) e i negozi di animali (-1,6%). Scendono anche i mobilifici (-2,1%), i negozi di casalinghi (-5,8%), l’abbigliamento (-3,8%), i negozi di calzature e accessori (-5,7%), mentre, in contro tendenza, risultano in aumento le farmacie e parafarmacie (+5,8%) e continua la crescita di iper/supermercati (+3,6%) e dei discount alimentari (+33,3%; +5 unità)».
I centri storici vengono ridisegnati e a leggere il comunicato sopra, a breve, una passeggiata tra i vicoli diventerà una via crucis tra farmacie e alimentari.
La moria di librerie non è una novità, è un processo che va avanti da anni. Lo racconta bene Claudio Morici su Internazionale. Non c’è un unico assassino, è un delitto a più mani. Per la libreria Comunardi, però, il discorso è diverso. Qui non si chiude perché non ci sono clienti, né perché il proprietario non può pagare l’affitto. «La nostra è una libreria che funziona», sottolinea Barsi. E aggiunge: «Chiudiamo per una speculazione edilizia».
Un punto però non è ancora stato messo. Intorno a Barsi si sono strette una ottantina di persone che hanno formato un comitato. Tra loro filosofi, attori, registi, giornalisti. Qualche nome noto, come Marco Revelli, Steve Della Casa e Giovanni Semi. Insieme hanno lanciato una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Gofundme e con l’hastag Savecomunardi hanno già raccolto quasi duemila euro. «L’idea è di trovare dei nuovi locali e trasferirci – racconta ancora Barsi – Abbiamo bisogno di un aiuto per fare le ristrutturazioni, da soli non ce la facciamo». Il posto ideale sarebbe uno spazio proprio accanto alla libreria, ma «è molto vecchio e malandato, sarebbe da ristrutturare completamente». Alla richiesta d’aiuto, l’obiettivo è di duecentomila euro, hanno già risposto in tanti. Come Laura Cherchi che scrive: «Le librerie sono presidi di libertà e vanno difese da questa logica di mero guadagno». E Vittorio Cannavese: « Una delle migliori librerie della città non deve chiudere per far posto ad un supermercato!».
Negli anni di proposte per salvaguardare questi esercizi commerciali speciali ne sono state fatte diverse. Dalla defiscalizzazione del libro alla tutela della destinazione d’uso. A Roma, quando nel 2011 era scoppiato il caso della chiusura della libreria Bibli, l’allora consigliera Gemma Azuni aveva proposto di collocare le librerie nei beni confiscati alle mafie. Nulla di tutto ciò finora si è concretizzato, anche se proprio in questi giorni è stato approvato dalla commissione Cultura della Camera il testo unificato della proposta di legge per la promozione della lettura. Lo sconto massimo sui libri è fissato al 5 per cento, ad eccezione della scolastica, è previsto un albo delle librerie di qualità, magari come primo passo per concedere poi detassazioni e sgravi e altre misure. Qui per saperne di più.
Nell’attesa alcune librerie si organizzano per conto loro. A Roma quaranta librai hanno fatto rete per sensibilizzare i cittadini sul ruolo delle librerie di quartiere. «In un anno sono state organizzate duemila presentazioni e incontri con autori – si legge nel comunicato –, duecento corsi di formazione, quasi cinquecento concerti di musica live e più di cinquecento incontri per ragazzi nelle librerie e nelle scuole. Sul sito www.libreriediroma.it i lettori possono trovare facilmente i libri che cercano e gli eventi a cui vogliono partecipare. «Le librerie indipendenti non sono solo negozi in cui si comprano libri – concludono i responsabili del progetto – ma sono presidi culturali, sono i luoghi in cui si accoglie e si include, sono isole in cui ci si incontra, in cui si scambiano idee, in cui si cresce». Anche loro hanno lanciato una campagna di raccolta fondi per potenziare le funzionalità e i servizi offerti.
Un modo per resistere al lento perire: tra il 2010 e il 2016 hanno chiuso il 12 per cento delle librerie italiane e la lettura è calata dell’11 per cento.
Intanto la Comunardi va avanti. Il prossimo incontro sarà la presentazione del libro di Mauro Vanetti La sinistra di destra. La vocazione politica, a distanza di quarant’anni, è rimasta ben salda.
sergio falcone dice
Il paradosso. A Roma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, proprietaria dei locali, sfratta Remainders, la storica libreria dello sconto di Piazza San Silvestro. Ma le nostre democratiche istituzioni non dovrebbero tutelare la cultura? Al suo posto, un ricco negozio di lusso.