
Come riferisce il Fatto Quotidiano, “sono solo 16 le persone imbarcate sulla Nave Libra, il pattugliatore della Marina Militare che solo di equipaggio può portarne fino a 80. Sedici contro le oltre 300 persone sbarcate solo nell’ultima notte a Lampedusa. Sedici contro i 200 posti che, secondo quanto si era appreso, sarebbero a disposizione sulla nave hub che avrebbe dovuto raccogliere e poi trasferire i migranti intercettati nelle acque internazionali del Mediterraneo”. A bordo di nave Libra è stato effettuato un pre-screening per individuare le persone vulnerabili, che non possono essere trasferite in Albania. Con un ennesimo trasbordo in acque internazionali, i “vulnerabili” sono tornati a bordo della motovedetta che li aveva soccorsi, mentre i “non vulnerabili” provenienti dal Bangladesh e dall’Egitto, paesi di origne ritenuti sicuri, malgrado una sentenza della Corte di giustizia UE, proseguivano con il pattugliatore italiano verso il porto di Shengjin in Albania, dove allo sbarco saranno sottoposti ad un ulteriore “screening”. Che oltre all’accertamento dell’identità e della nazionalità, dovrebbe riguardare anche le condizioni di salute e cause di vulnerabilità non emerse a bordo della nave della marina italiana. Come si ricava dalla legge di ratifica del Protocollo Italia-Albania, dai suoi allegati, e dalle gare di appalto andate deserte, il disegno originario del governo prevedeva attività di pre-screening (pre-identificazione) a bordo delle navi traghetto che sarebbero state noleggiate, con un importante impegno finanziario. Come del resto era successo, con diverse finalità e porti di sbarco, durante l’emergenza COVID con le navi quarantena. Una esperienza che sarebbe stato bene non ripetere. Ma queste navi traghetto non sono state reperite, ed allora il ministero dell’interno, per avviare comunque i centri in Albania, ormai strumento di propaganda che poteva ritorcersi contro il governo, per gli innumerevoli ritardi, ha fatto ricorso ad una nave della Marina militare, la tristemente nota nave Libra, che nel 2013 era rimasta coinvolta nella terribile “strage dei bambini”.
Secondo l’art. 4 paragrafo 4 del Protocollo Italia-Albania, “L’ingresso dei migranti in acque territoriali e nel territorio della Repubblica di Albania avviene esclusivamente con i mezzi delle competenti autorità italiane. All’arrivo nel territorio albanese, le autorità competenti di ciascuna delle Parti procedono separatamente agli adempimenti previsti dalla rispettiva normativa nazionale e nel rispetto del presente Protocollo”
La Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 afferma come principio generale il diritto di accesso al territorio di uno Stato per la proposizione di una domanda di protezione, anche quando si verifichi l’attraversamento irregolare della frontiera, che costituisce, generalmente in assenza di documenti di viaggio, il caso più comune di arrivo di richiedenti asilo, in assenza di canali legali di evacuazione o di ingresso con visti umanitari. In base all’art.3 gli Stati contraenti sono tenuti a rispettare il principio di non discriminazione. In base all’art.33 della Convenzione (Principio di non respingimento) “Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche“. Per rifugiato vanno intesi anche i richiedenti asilo al di là della formalizzazione della loro istanza di protezione. Analogo divieto ricorre nel caso in cui si verifichi il respingimento, o comunque l’allontanamento forzato, verso un paese che non garantisca a sua volta il divieto di non respingimento.
Al di là di quanto afferma il Viminale sulla giurisdizione all’interno delle aree concesse in uso dal governo albanese per i centri di Shengijn e di Gjader, è indubbio che persone soccorse in acque internazionali da navi militari italiane e da queste condotte in un porto albanese al momento dello sbarco vengono consegnate, almeno temporaneamente alle autorità di frontiera albanesi, con una sovrapposizione di giurisdizioni che potrebbe configurare anche un respingimento collettivo, in quanto, come si evince dai documenti allegati alla legge di ratifica, la giurisdizione sulle persone trattenute nei centri in Albania non è del tutto italiana, in quanto la sorveglianza esterna rimane affidata anche alle forze di polizia albanese, come pure alle stesse autorità di polizia saranno affidati i richiedenti asilo denegati che dovranno essere rimpatriati direttamente dall’Albania. Infatti, all’art.6 del Protocollo si aggiunge che ”Le competenti autorità della Parte albanese assicurano il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica nel perimetro esterno alle Aree e durante i trasferimenti via terra, da e per le Aree, che si svolgono nel territorio albanese”. E ancora “In caso di uscita non autorizzata dei migranti dalle Aree, le autorità albanesi li ricondurranno nelle stesse”. Al riguardo si deve osservare che l’Albania, non facendo parte dell’Unione europea, non è tenuta al rispetto delle Direttive e dei Regolamenti europei in materia di respingimenti, trattenimento amministrativo ed allontanamento forzato. Che sono invece pienamente operativi, o dovrebbero esserlo, in territorio italiano.
Per queste ragioni le procedure informali di Pre-identificazione (pre-screening) in mare, e quindi la scelta se sbarcare i naufraghi in Italia, o trasferirli in Albania, incidono fortemente sulla libertà personale, e sono della massima importanza, comprimendo diritti fondamentali, e non possono essere affidate a prassi discrezionali di polizia di frontiera al di fuori di una espressa previsione di legge.
Il Nuovo Patto su migrazione e asilo contiene un nuovo atto legislativo: il Regolamento Ue 2024/1352 del parlamento europeo e del consiglio del 14 maggio 2024 recante modifica dei regolamenti (UE) 2019/816 e (UE) 2019/818, allo scopo di introdurre accertamenti nei confronti dei cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne, prevede uno screening dei cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne. Si tratta di un atto che non è ancora entrato in vigore, come tutti i Regolamenti compresi nel Patto sulla migrazione e l’asilo concluso tra gli Stati membri dell’Unione europea nello scorso mese di maggio. Finora sono stati soltanto Sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 22 maggio 2024 i diversi strumenti che compongono il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo ma questi non sono applicabili dalle autorità nazionali. Il pacchetto approvato comprende dieci fascicoli legislativi ma gli Stati membri sotto la sorveglianza della Commissione devono ancora procedere alla loro implementazione. Dunque, per quanto riguarda le procedure di identificazione in frontiera, rimangono attualmente in vigore i Regolamenti (UE) 2019/816 che istituisce un sistema centralizzato per individuare gli Stati membri in possesso di informazioni sulle condanne pronunciate a carico di cittadini di paesi terzi e apolidi (ECRIS-TCN) e integrare il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziali, e (UE) 2019/818, che istituisce un quadro per l’interoperabilità tra i sistemi di informazione dell’UE nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria, asilo e migrazione. La finzione di non ingresso nel territorio nazionale, stabilita per identificare i richiedenti asilo non meritevoli del riconoscimento di uno status di protezione, e quindi destinatari di una misura di allontanamento forzato (respingimento o espulsione), pure adombrata dal nuovo Regolamento europeo sullo screening, non si comprende ancora quanto compatibile con il diritto di asilo e con il divieto di espulsioni collettive affermati dagli articoli 18 e 19 della Carta dei diritti fondamentali, non è ancora entrata in vigore. L’esito dello screening indirizzerà le persone verso procedure di asilo o rimpatri ,e avrà anche un impatto sulla possibilità di incanalare i richiedenti asilo verso procedure accelerate in frontiera, adesso con una ulteriore possibilità di scelta rimessa esclusivamente alla discrezionalità delle autorità di polizia, tra i centri ubicati in territorio italiano, ed i nuovi centri di detenzione, perché di questo si tratta anche per il centro portuale di Shengjn, in Albania. Anche se una nave militare come nave Libra non si può ritenere come POS (Place of safety) non si può non riconoscere come, subito dopo le attività di pre-sceening e la decisione di trasferimento in Albania, il naufrago perde tale qualità, e si trovi in una situazione di detenzione, con totale limitazione della propria libertà personale, dunque di trattenimento, già durante il tragitto della nave, dalle acque internazionali poco a sud di Lampedusa, fino al porto albanese. E di questo si dovrà tenere conto in sede di convalida delle misure di trattenimento che saranno notificate agli interessati soltanto dopo lo sbarco in Albania. Anche perché il mancato rispetto dei termini, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, impone l’immediato passaggio ad una procedura ordinaria e dunque, come in ogni caso di mancata convalida del trattenimento, il ritrasferimento del richiedente asilo dall’Albania in Italia, dove andrà valutata la sua istanza di protezione.
Rimpatri
La Direttiva 2008/115/CE in materia di rimpatri non prevede forme di trattenimento amministrativo a bordo di navi, né contempla procedure di pre-screening in mare. La Direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione) “si applica a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri (art.3), e impone, in ordine all’accesso alla procedura, che “Quando chiunque presenti una domanda di protezione internazionale a un’autorità competente a norma del diritto nazionale a registrare tali domande, la registrazione è effettuata entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda. Se la domanda di protezione internazionale è presentata ad altre autorità preposte a ricevere tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del diritto nazionale, gli Stati membri provvedono affinché la registrazione sia effettuata entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda. Gli Stati membri garantiscono che tali altre autorità preposte a ricevere le domande di protezione internazionale quali la polizia, le guardie di frontiera, le autorità competenti per l’immigrazione e il personale dei centri di trattenimento abbiano le pertinenti informazioni e che il loro personale riceva il livello necessario di formazione adeguato ai loro compiti e alle loro responsabilità e le istruzioni per informare i richiedenti dove e in che modo possono essere inoltrate le domande di protezione internazionale”. In base all’art.8 della stessa Direttiva “Qualora vi siano indicazioni che cittadini di paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito alle frontiere esterne, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri forniscono loro informazioni sulla possibilità di farlo. In tali centri di trattenimento e ai valichi di frontiera gli Stati membri garantiscono servizi di interpretazione nella misura necessaria per agevolare l’accesso alla procedura di asilo. Anche questa Direttiva esclude che le procedure di identificazione possano avvenire, o essere avviate, in acque internazionali, senza le garanzie in favore dei richiedenti asilo, quale che sia il loro paese di provenienza.
La Direttiva 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione), prevede deroghe “quando il richiedente è in stato di trattenimento e durante l’esame della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera o nel contesto di un procedimento volto a determinare se il richiedente abbia il diritto di entrare nel territorio di uno Stato membro” (art.6), ma non prevede la possibilità di pre-screening in acque internazionali.
Domande di protezione internazionale
Il Decreto legislativo 28/2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. come modificato da ultimo dai Decreti legge n.50/2023 (cd.Decreto Cutro) e n.145/2024 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’11 ottobre scorso, stabilisce che (art,3) le autorità competenti all’esame delle domande di protezione internazionale sono le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, e che le autorità di polizia di frontiera e la questura sono soltanto competenti a ricevere la domanda, ma non possono decidere in ordine alla sua accoglibilità o alla vulnerabilità delle persone, fatto salvo il ricorso alla controversa categoria di “paese di origine sicuro”. Che però presuppone comunque una completa informativa ed un accertamento compiuto della nazionalità e della provenienza della persona, che non appare certo realizzabile in poche ore, subito dopo il soccorso, a bordo di una nave militare italiana ferma in acque internazionali.
Lo stesso Decreto legislativo 25/2008, all’art.11,come modificato e integrato dal decreto legge n.145/2024, stabilisce che “il «richiedente asilo ha l’obbligo di cooperare con le autorità di cui all’articolo 3 ai fini dell’accertamento dell’identità e di esibire o produrre gli elementi in suo possesso relativi all’età, all’identità e alla cittadinanza, nonché ai Paesi in cui ha soggiornato o e’ transitato, consentendo, quando e’ necessario per
acquisire i predetti elementi, l’accesso ai dispositivi o supporti elettronici o digitali in suo possesso“. Si tratta di attività funzionali alla verifica della identità e della nazionalità, che certamente non possono neppure avviarsi a bordo di una nave militare, affiancata in acque internazionali da altri mezzi della Guardia costiera e della Guardia di finanza che trasbordano naufraghi appena soccorsi, da riprendere a bordo dopo una prima sommaria selezione, e altri invece da sbarcare a Lampedusa, soltanto quando, secondo le autorità di polizia, in una fase di accertamento preliminare, o pre-screening, se di sesso maschile, vengono ritenuti vulnerabili, minori, o vittime di tratta. In particolare non si comprende come sia possibile operare a vista, a bordo della nave militare, un accertamento dell’età minimamente attendibile, senza violare quanto ancora previsto dalla legge Zampa n.47/2017, e in particolare, nei casi dubbi, la presunzione di minore età.
In base al Decreto legge n,145/2024, all’articolo 10, comma 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286″, ( che riguarda i respingimenti differiti con accompagnamento alla frontiera) “dopo la lettera b) e’ aggiunta la seguente: «b-bis) che, rintracciati, anche a seguito di operazioni di ricerca o soccorso in mare, nel corso delle attività di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea, svolte ai sensi del Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sono condotti nelle zone di cui all’articolo 28-bis, comma 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25″. E’ dunque concreto il rischio che i naufraghi soccorsi in acque internazionali e condotti in un centro di transito, in un Hotspot o in un CPR, dopo lo sbarco, quindi adesso anche in Albania, possano ricevere un provvedimento di respingimento differito adottato dal questore, salva la possibilità di chiedere a quel punto, e ottenere, accesso alla “procedura accelerata in frontiera”. Una ennesima finzione, perché il loro ingresso in frontiera è avvenuto giorni e giorni prima, quando sono stati presi a bordo di una nave militare italiana, e in acque internazionali, sono stati ritenuti provenienti da paesi di origine “sicuri” e dunque avviati verso il porto di Shengjn in Albania. Sembra che si ripropongano ancora una volta, adesso con una apparente base legislativa costituita dalla legge di ratifica ed attuazione del Protocollo Italia-Albania, quella prassi degli “sbarchi selettivi” inaugurata dal ministro Piantedosi nel novembre 2022 e bocciata pochi mesi dopo dal Tribunale di Catania. Adesso gli “sbarchi selettivi” sono attuati con le navi militari come nave Libra, piuttosto che essere imposti alle navi del soccorso civile. Ma il decreto legge Piantedosi (legge n.15/23) finirà presto all’attenzione della Corte Costituzionale.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 22917/2019 afferma come il principio di non-refoulement non si esaurisce nell’obbligo negativo di non-respingimento verso un territorio in cui la vita e la libertà di una persona possono essere minacciate, ma comprende anche l’obbligo positivo di assicurare accesso al territorio al fine di formulare una domanda di asilo. La questione della territorialità rimane imprescindibile per valutare tutte le fasi di attuazione del Protocollo Italia-Albania, incluse la delicatissima fase di primo contatto, durante le cd. procedure di pre-screening che si svolgono in modo informale a bordo di una nave militare italiana posizionata in acque internazionali, al limite delle acque territoriali italiane, a sud di Lampedusa. Si può ritenere che la sequenza di screening cui sono sottoposti i migranti trasferiti in Albania sia profondamente diversa rispetto alle procedure di accertamento (screening) alle quali sono sottoposti tutti quelli sbarcati in territorio italiano, come sono diverse le possibilità effettive di informazione e di difesa, e questo crea una discriminazione vietata sia a livello nazionale (art.3 Cost), che dal diritto internazionale (Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati) e dal diritto dell’Unione europea, con molteplici direttive e regolamenti.
Quali accertamenti medici e psicofisici sono stati condotti?
Come comunicato dall’Unhcr, “sulla base di uno scambio di lettere con il ministero dell’Interno italiano, l’Agenzia ONU per i Rifugiati svolgerà quindi un ruolo di monitoraggio e counselling alle persone a cui il Protocollo si applica, per garantire che il diritto di chiedere asilo sia tutelato e che i processi messi in atto nell’ambito del Protocollo siano coerenti con gli standard internazionali e regionali in materia di diritti umani, siano equi, e promuovano la protezione e le soluzioni per coloro che necessitano di protezione internazionale”. Nel comunicato con cui annuncia il proprio impegno, l’Unhcr ha sottolineato che per garantire l’indipendenza della propria funzione di monitoraggio non riceverà alcun finanziamento da Roma. Se tutto questo è vero, vorremmo chiedere all’Unhcr quali accertamenti medici e psicofisici siano stati condotti a bordo della nave Libra, per stabilire la “non vulnerabilità” dei naufraghi di sesso maschile, di nazionalità bengalese e egiziana, prima della decisione delle autorità di polizia di trasferirli in un centro di detenzione in Albania.
Secondo ulteriori informazioni, come confermato già oggi dai media, “Prima di entrare nei centri, già al termine delle operazioni di salvataggio, i migranti vengono sottoposti ad un primo screening. Successivamente vengono trasferiti su una nave hotspot nel porto di Shengjin. Il personale dell’Unhcr monitorerà ciascuna di queste fasi”. Rimane dunque accertato che, oltre attività di monitoraggio, Unhcr svolgerà anche attività di consulenza (counselling) formalmente dirette alla tutela delle persone soccorse in mare, ma in realtà funzionali a legittimare le attività di pre-screening a bordo della nave militare Libra che trasferisce verso l’Albania i naufraghi di sesso maschile, selezionati come “non vulnerabili”, selezionati da chi non è stato ancora chiarito dalle competenti autorità. Ma alle prossime convalide del trattenimento, se arriveranno dal Tribunale di Roma, o in sede di ricorso, i ruoli di ciascun soggetto o ente coinvolto nel trasferimento di naufraghi verso l’Albania dovrebbero venire fuori. Di certo un accordo tra il governo italiano e l’Unhcr, attraverso lo scambio di lettere, non può colmare l’assenza di base legale delle operazioni di pre-identificazione a bordo della nave militare Libra. Nelle lettere si indica attività di monitoraggio e di counselling attraverso personale qualificato dell’Agenzia che sarà presente sia sulla “nave hub” che trasferirà i migranti verso il territorio albanese così come nei centri di Shëngjin e Gjadër in Albania “e in qualsiasi altra località che possa diventare rilevante nell’attuazione del Protocollo in questione”. Né si può ritenere che la presenza dell’OIM, generalmente impegnata a rilevare i casi di tratta, ed a curare i cd. rimpatri assistiti (che adesso dall’Albania potrebbero camuffare rimpatri forzati) possa celare il ruolo dell’UNHCR nell’accertamento delle vulnerabilità, attività svolta da anni dall’agenzia nei centri Hotspot,come Lampedusa, nei centri di transito, come a Pozzallo e a Porto Empedocle, e persino nei CPR, come a Caltanissetta. Attività che adesso sembrano svolte anche a bordo della nave militare Libra in acque internazionali.
L’Unhcr nel 2003 ha già stipulato con l’Albania una convenzione per effettuare attività di pre-screening con riferimento a richiedenti asilo in quel paese, ma queste non riguardano le persone migranti, potenziali richiedenti asilo, trasferite oggi dalla nave militare italiana nel porto di Shengijn, in base al Protocollo Italia Albania.
Diritti fondamentali
L’esito delle procedure di pre-screening in acque internazionali può intaccare sostanzialmente i diritti fondamentali della persona, e presenta numerosi profili di impugnabilità, a causa della sua natura immediata, a bordo di una nave militare italiana, in acque internazionali, appena dopo il salvataggio, con una serie di trasbordi in alto mare, oltre che per la mancanza di decisioni formali e quindi di garanzie procedurali, tanto da potere compromettere l’accesso effettivo alla protezione, se si considera la difficoltà di ribaltare in un centro di detenzione albanese la categoria presuntiva del paese di origine sicuro. Che adesso la Corte di Giustizia, e la prevalente giurisprudenza italiana tendono a limitare fortemente.
Come dovrebbe avvenire anche nel caso dei cittadini bengalesi ed egiziani che saranno sbarcati da nave Libra in Albania, nel porto di Shengjn.
Articolo 10 della Costituzione
L’Italia, come altri Stati membri, ha già utilizzano la detenzione informale o di fatto per quasi tutti i richiedenti prima dell’applicazione di una procedura di frontiera. E per questo motivo ha ricevuto condanne dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, (anche oltre il caso J.A/Italia) e quasi tutti i trattenimenti amministrativi disposti a Porto Empedocle e a Pozzallo non sono stati convalidati dai Tribunali di Palermo e di Catania. In ogni caso il diritto di asilo, e il diritto di accedere al territorio dello Stato per presentare una richiesta di asilo, sono coperti dal dettato dell’art. 10 della Costituzione italiana. Qualunque tentativo per ridurre in via amministrativa la portata sostanziale di questo diritto fondamentale può essere contrastato in sede di ricorso, sia ai giudici nazionali, che ai tribunali internazionali. Perché la vigente Direttiva europea sulle procedure di asilo, e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare gli articoli 18 e 19 non consentono alle autorità amministrative attività di selezione dei migranti, sia pure ritenuti come provenienti da paesi di origine “sicuri”, in acque internazionali ,con la conseguente deportazione in un centro di detenzione in Albania, piuttosto che l’inserimento in una procedura accelerata in frontiera in territorio italiano.
Le procedure di pre-screening a bordo della nave Libra appaiono chiaramente preordinate a costruire una continuità in tempi rapidi tra il diniego della domanda di protezione in Albania e l’avvio delle procedure di rimpatrio forzato. Se non si ricorrerà in qualche caso all’espediente del “rimpatrio volontario”, che quando è richiesto da chi non ha alcuna prospettiva di restare legalmente sul territorio dello stato ospitante va considerato comunque come una forma di rimpatrio forzato. La fase finale dell’accompagnamento in frontiera, dunque in un aeroporto albanese per il rimpatrio forzato, in base al Protocollo Italia-Albania ricade sotto la piena ed esclusiva giurisdizione delle autorità albanesi, che al di là di quanto previsto dalla loro legislazione, non sono obbligate a rispettare le Direttive europee in materia di rimpatrio e di procedure di asilo, che stabiliscono, come peraltro si prevede nella normativa italiana, anche nella fase di rimpatrio, dopo un diniego della Commissione territoriale, la possibilità di presentare una “domanda reiterata” di protezione. I respingimenti differiti o le espulsioni che saranno adottate in Albania nei confronti delle persone trattenute nei centri ubicati nelle aree “messe a disposizione” delle autorità italiane, saranno tutti contrari, per questa ragione legata al difetto di giurisdizione (italiana) nella fase di esecuzione dei rimpatri, al dettato vincolante della normativa dell’Unione europea.
Il destino del Protocollo Italia-Albania
L’appoggio politico fornito al governo Meloni dalla attuale presidente della Commissione europea Von der Leyen non supera il difetto attuale di una base legale per le attività di pre-screening in mare, e più in generale, per le “procedure accelerate in frontiera” deterritorializzate in Albania. La discriminazione subita dai chi, dopo il cosiddetto pre-screening, si vedrà processata la propria istanza di protezione in un centro di detenzione in Albania, rispetto ai connazionali sbarcati in Italia perché sono riusciti a varcare il limite delle 12 miglia delle acque territoriali, potrà produrre altre stragi, per la mancata richiesta di soccorsi, questo è evidente. Come è evidente la compressione dei diritti di difesa, per le persone selezionate in acque internazionali e soggette alle procedure accelerate in frontiera in Albania, con una violazione degli articoli 3, 10 e 24 della Costituzione italiana. Per non parlare della possibile lesione del divieto di trattamenti inumani o degradanti (art.3 CEDU) che si potrebbe configurare nel lungo trasferimento dei naufraghi, magari in condizioni di mare particolarmente agitato, come sarà nei prossimi mesi, su una nave militare verso l’Albania.
Forse, prima che intervenga la Corte costituzionale italiana, sarà la Corte di Giustizia dell’Unione europea, o la Corte europea dei diritti dell’Uomo, che faranno giustizia sul Protocollo Italia-Albania.
Pubblicato su Adif
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