Uno spazio sociale romano che è stato un laboratorio di democrazia ma soprattutto un luogo vivo per incontrare e produrre cultura indipendente. In 15 anni di attività, il Rialto ha ospitato centinaia di spettacoli, mostre e concerti, un’esperienza rilevante della storia politica e culturale di quella galassia di occupazioni, centri e spazi sociali che hanno scritto pagine del tutto straordinarie in una città che affondava. Pagine che non sarebbe stato possibile né pensare né scrivere attenendosi diligentemente alle norme e ai regolamenti operanti. Nel dicembre scorso, infatti, la cosiddetta legalità ha presentato il conto: oltre 180 mila euro di sanzioni comminate dall’Agenzia delle entrate, come se il Rialto non facesse cultura ma semplici attività commerciali. Chi ne viene colpito ha scritto una mail chiedendo di non restare solo a difendersi

Carissimi/e
questa mail è indirizzata a voi che, in misura più o meno intensa, avete conosciuto le attività del Rialto Santabrogio, ne avete fatto parte, avete avuto in quello spazio un luogo di aggregazione e progettazione per il vostro lavoro. Vi scrivo infatti per raccontarvi una situazione di emergenza che ha colpito il Rialto e, direttamente, le persone che risultavano soci fondatori del circolo arci. Ovvero io, Francesca Donnini, Fabrizio Parenti e Luigi Tamborrino.
A dicembre 2019, pochi giorni prima che il provvedimento diventasse inesigibile, ci è stata comminata una sanzione di 183.000 euro dall’Agenzia delle Entrate, che recepisce così un’indagine del 2014 della Guardia di Finanza. Si tratta di uno dei tanti provvedimenti di cui è stato oggetto il Rialto durante la sua riapertura (aprile 2014 – febbraio 2015), molti dei quali poi contestati o vinti in sede di processo. Ma questo ha un effetto diverso. La richiesta di risarcimento colpisce i quattro sottoscrittori direttamente, in solido, e produce a sua volta ulteriori aggravi sulla dichiarazione dei redditi di ciascuno (tradotto: altre cartelle esattoriali, singole, inerenti a quanto ognuno di noi avrebbe secondo loro percepito). Si tratta, tuttavia, solo di presunzioni di incasso, dedotte da una singola ispezione fatta al bar del Rialto a maggio 2014, senza altro accertamento. Calcolata con ricarichi di quasi il 500%, ipotizzando prezzi da night club che il Rialto non ha mai avuto. Eppure queste presunzioni sono state accolte in toto e hanno prodotto la sanzione di cui sopra.
Questa multa probabilmente non sarà nemmeno comprensiva di tutto, perché la contestazione dei primi due mesi del 2015 presumibilmente arriverà alla fine di quest’anno (e cioè ancora una volta a pochi giorni dalla sua prescrizione), andando ulteriormente ad aggravare la situazione.
Perché la multa? Perché secondo l’accusa il Rialto non faceva cultura, ma attività interamente commerciale. Hanno perciò ricalcolato tutta l’attività come se fosse attività di una società di capitali, facendo così schizzare gli oneri delle tasse (l’Irap, ad esempio, che non è dovuta dalle associazioni; oppure un diverso modo, più oneroso, di calcolo dell’Iva). Questa società immaginaria l’hanno creata sulla carta, dando loro i nostri nomi (la società Donnini-Graziani-Parenti-Tamborrino) e assegnando a tavolino un numero di partita iva di riferimento – partita iva che, nella realtà, non è mai esistita.
Ora, che il Rialto avesse delle forme di irregolarità è evidente. Era il frutto di un processo di transizione da centro sociale occupato ad associazione, da associazione a circolo arci, fino all’assegnazione di uno spazio dove tutto sarebbe stato a norma – siglata nel 2004 dal Comune di Roma e mai attuata. Non è possibile valutare l’attività del Rialto senza tenere conto di questa storia che in passato, in sede di processi civili e penali, ha prodotto non a caso diverse assoluzioni per l’associazione. Qui, però, non siamo in sede di processo: siamo sul piano tecnico, dove solo le carte parlano. Nessun testimone ammissibile, nessuna eccezione da presentare. Si potrebbe ricorrere in commissione tributaria ma tutti i professionisti consultati lo hanno sconsigliato: laddove viene accolta la tesi di una società immaginaria, è molto difficile opporre una versione diversa, poiché le carte dell’associazione sono già state presentate. Per di più avvalersi del diritto di presentare ricorso avrebbe un costo eccessivo rispetto all’entità della multa, vanificando l’effetto di riduzione eventuale del debito. Il consiglio, dunque, è quello della trattativa.
È chiaro che si tratta di un attacco a un sistema che a Roma, per vent’anni, pur nelle sue incongruenze, ha fatto da supplenza alle mancanze dell’amministrazione. Voi che al Rialto ci siete passati, lo avete frequentato e ci avete lavorato lo sapete: in 15 anni di attività il Rialto ha ospitato centinaia di spettacoli, mostre, concerti. È stato una residenza artistica ante litteram, ha fornito migliaia di ore di prova gratuite a circa un centinaio di realtà teatrali romane. È stato il luogo di debutto a Roma e presentazione lavoro per moltissime compagnie italiane che a Roma non trovavano spazio e ascolto. Tutto questo lavoro, che non è costato nulla all’amministrazione se non la concessione dello stabile, è stato possibile grazie allo sforzo di moltissima gente che si è messa a disposizione di un progetto che è stato il più possibile aperto, collettivo, di cui molti di voi hanno potuto usufruire gratuitamente. Di colpo, con un provvedimento, questo lavoro prezioso per la città si trasforma in disvalore, in sanzione, e finisce per di ricadere sopra la pelle di sole quattro persone.
Non sappiamo ancora come ci muoveremo. Commercialisti e avvocati si stanno attivando per contestare quanto più possibile del verbale. Ma è probabile che non sarà possibile contestarlo integralmente. Nel frattempo, abbiamo sentito l’esigenza di informare chi ha vissuto quella stagione di cosa sta accadendo. Vi chiediamo per tanto di starci vicini, in tutti i modi possibili. Grazie mille a chi vorrà darci una mano e non lasciarci soli.
Graziano Graziani (Roma, 1978) è scrittore e critico teatrale. Collabora con Radio 3 Rai (Fahrenheit, Tre Soldi) e Rai 5 (Memo). Caporedattore del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha collaborato con Paese Sera, Frigidaire, Il Nuovo Male, Carta e ha scritto per diverse altre testate (Opera Mundi, Lo Straniero, Diario). Cura un blog intitolato anch’esso Stati d’Eccezione.
Mi dispiace moltissimo di quanto vi sta accadendo, ma forse dovevate aspettarvelo.
A sinistra ci vuole più conoscenza delle regole. Possiamo non condividerle e lottare per cambiarle, ma non eluderle.
Non possiamo più operare con queste incoscienze che espongono i singoli, sempre quelli che si prendono il carico della gestione, a ritorsioni di questo genere.
Perché non avete MAI fatto l’apertura di una posizione fiscale come APS (Associazione di Promozione Sociale)?
Vi avrebbe dato una posizione certa di entità senza scopo di lucro, e non vi avrebbe esposto a rischi.
Da quanto siete diventati circolo ARCI? ARCI non vi ha informato circa questi aspetti?
Cara Patrizia,
non agivamo nell’illegalità: eravamo un’associazione culturale regolarmente registrata e avevamo una regolare posizione fiscale, eravamo già una realtà non a scopo di lucro. Aggiungo che lo spazio non era occupato, ma regolarmente assegnato dal Comune di Roma all’associazione culturale con una delibera dell’anno 2000 (il Rialto ha una storia molto lunga che forse dovresti conoscere meglio).
Aggiungo che pagavamo regolarmente la SIAE per le attività che facevamo. Dall’Arci (a cui ci siamo affiliati nel 2014) non ci è arrivato nessun aiuto, nè durante il periodo di attività, nè in questo momento di chiusura e difficoltà.
Ci troviamo a fronteggiare un’accusa di essere una società e un’attività commerciale solo perchè all’interno dello spazio era attivo un punto bar, come in molti e molti circoli ARCI e associazioni culturali.