31 guerre conclamate, ma più di 50 sparse nel mondo. Quanto mai utile in queste settimane la lettura del nuovo Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. Scrive Paolo Vernaglione: «Serve una urgente mobilitazione di corpi e menti che destituisca il disastroso realismo geopolitico del “non c’è alternativa”…»


31 guerre conclamate, ma più di 50 sparse nel mondo (56 ne registra l’associazione “Un ponte Per”), 23 situazioni di crisi, soprattutto in Africa, attraversata da mezzo secolo di micidiali conflitti interetnici, in Congo, in Niger, in Sudan, ove sopravvengono desertificazione, siccità carestie e malattie, rapina di risorse e terre rare, proxy war apertamente rivendicate da Stati Uniti, Russia, Cina e stati europei (mentre la “Françafrique” non esiste più). Questa è la situazione mondiale che l’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo di quest’anno, giunto alla tredicesima edizione, condensa nelle prime pagine.
Purtroppo gli aggiornamenti quotidiani del nuovo ordine mondiale dicono di una vorticosa accelerazione dell’opzione bellica: a Gaza c’è il blocco degli aiuti umanitari dopo il cessate-il-fuoco del 19 gennaio. La tregua, la cui prima fase è scaduta il 1° marzo, è fragilissima mentre continuano i pogrom in Cisgiordania. Trump prevede il trasferimento forzato della popolazione per fare della Striscia la riviera con resort a 5 stelle e bisogna sperare nel piano arabo di ricostruzione proposto dall’Egitto che ha possibilità di attuazione quasi nulle.
Dopo l’annuncio di disimpegno degli Stati Uniti dall’Ucraina, obbligata alla cessione delle terre rare, e dalla NATO, arriva la delirante proposta Von der Layen di stanziare 800 miliardi per riarmare l’Europa.
Il Rojava è a rischio, dopo la caduta del regime di Assad in Siria ove militanti dell’HTS lanciano esplosivi dagli elicotteri, vengono scoperte fosse comuni e ci sono prove di torture ed esecuzioni su civili alawiti e sospetti lealisti. In Congo la recente strage di Bukavu compiuta dai miliziani antigovernativi dell’M23 appoggiati dal Ruanda riaccende una guerra quarantennale.
Se ci chiediamo perché le molte voci che dicono “basta guerra!” non hanno effetto, dobbiamo guardare a quanto la brutalità gangsteristica di Washington, seguita degli strepiti del segretario della Nato Rutte e delle cancellerie europee abbia come effetto l’aumento del 2,5% del Pil alle spese militari, che affossa definitivamente il residuo welfare statalee le promesse del PNRR per Next Generation EU, istruzione, sanità e transizione ecologica, peraltro compromessa prima dell’elezione di Trump al soglio imperiale. Tradotto: la lobby globale delle armi nell’Europa degli stati con l’irresistibile presa di potere delle destre ultra-reazionarie introduce un regime di warfare irrealistico e distruttivo, con l’idea di ripristinare la deterrenza da guerra fredda nel mondo in frantumi.
L’unica recente dichiarazione di buon senso nel delirio bellicista che continua ad esser sostenuto dalla fola della possibile invasione russa dell’Europa, risale al 22 febbraio quando il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha chiesto di stabilire un sistema di governance globale «giusto ed equo e di promuovere la costruzione di una comunità umana dal futuro condiviso».
É paradossale, ma non troppo visto il tramonto dell’egemonia mondiale statunitense, che il modello protoliberale del libero scambio oggi sostenuto dai BRICS e negato da Trump con la guerra dei dazi e i tagli alla spesa pubblica e alla cooperazione internazionale, sia uno degli antidoti al vortice bellicista.
Dunque, mai pubblicazione è stata più utile e preziosa dell’Atlante perché quello che leggiamo e vediamo ogni giorno ci affonda in terrificanti realtà parziali, all’insegna dei massacri e della pulizia etnica, senza possibilità di esporci all’unica visione non compromessa da retoriche suprematiste e razziste. Elaborato da un formidabile gruppo di redazione coordinato da Raffaele Crocco, curato dall’Associazione 46° Parallelo e edito da “TerraNuova”, l’Atlante dispiega in 105 pagine di fine carta patinata, corredata da foto sobrie e intense, la disastrosa realtà del pianeta. Il volume è da leggere, rileggere e conservare, ricco com’è di ricerca e informazioni che giornali, Tg e social evitano accuratamente di dire e mostrare perché implicati nel risiko geopolitico delle armi e della distruzione. Contro tutto questo l’Atlante presenta le terre reali che, a differenza del mappamondo, costituiscono l’alternativa di verità alla politica di morte in vigore da più di un secolo.
La pubblicazione, che affianca il sito web atlanteguerre e l’omologo gruppo telegram con aggiornamenti quasi quotidiani, si vale della collaborazione di ricercatori, free lancer e ONG davvero indipendenti, oggi sotto attacco, – nonché del notevole contributo di studenti e studentesse di “Tentativi di Pace”, un progetto coordinato da Giovanni Scotto per il corso di laurea in scienze politiche dell’università di Firenze, dello staff dell’Osservatorio Vittime di Guerra Civili (ANVCG) e di associazioni che svolgono un’opera essenziale: Intersos, Amnesty International, Centro Documentazione Conflitti Ambientali (Cdca).
L’Atlante è davvero un planisfero approfondito, improntato a una diversa immagine del mondo, quella della Carta di Peters che, a differenza della Carta di Mercatore (quella del mappamondo), non deforma le aree geografiche a causa della curvatura terrestre. La carta, elaborata dallo storico tedesco nel 1973, rappresenta in modo egualitario tutti i paesi della terra. La fedeltà alle superfici reali e la fedeltà alle posizioni rispettive delle località ci fa capire il senso dello sterminio in atto di territori e popolazioni.
130 milioni sono i profughi a causa di guerre etniche secolari trasformate in conflitti nazionali come in Sudan, in Congo, in Siria, mentre i beni accumulati dai circa 2700 nababbi, scrive Crocco, superano quelli appartenenti a 4,6 miliardi di esseri umani e il patrimonio delle 22 persone più facoltose è superiore a quello dell’insieme delle donne africane. Altro che rivolta sociale!
La guerra si trasforma nell’annientamento del nemico. Per questo, come scrive Michele Vigne di ANVCG, il diritto umanitario va difeso in assenza del diritto internazionale, tramontato, aggiungiamo, a fine ‘900, – soprattutto quando gli oggetti del mondo sono missili e manganelli come ricorda Riccardo Noury portavoce di Amnesty.
La guerra all’attivismo, alle ONG, a giornalisti e difensori dei diritti umani, ha ucciso più di 300 persone nel 2024. Il 31% erano attivisti indigeni ci informa Marica di Pierro direttrice del Cdca. Negli ultimi dieci anni il numero totale degli omicidi supera i 3.000 (in Sudan, Palestina, Ucraina). L’attivismo ambientale è sotto attacco in Colombia, in Europa e nel Nord America.
La prima causa del disastro è la povertà. La tragedia umanitaria in Sudan, raccontata da Susanna Barnabò di Intersos nel silenzio assassino del mondo ricco, è fatta di atrocità, stupri e uccisioni di massa. Dall’inizio della guerra civile nel 2023, al novembre 2024, 11,6 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie cose e fuggire in Ciad, Egitto, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana. All’interno del paese gli sfollati sono 8 milioni, dalla regione di Karthoum e dal Darfur. Ci sono più di 8 milioni e mezzo di persone che affrontano livelli emergenziali di fame e più di 755.000 persone in condizioni catastrofiche nella regione del Grande Darfur, del Kordofan, del Nilo Blu, a Khortan e nell’Aj’ Jarerdh che sono senza strutture sanitarie e senza campi profughi. A fine ottobre 2024 solo il 57% del Piano di Risposta e fabbisogno umanitario era stato finanziato, e in Africa il player più radicato è il califfato nelle sue diverse formazioni, Boko Arham, jiadismo, salafismo ecc.
La guerra si combatte in terra, nei mari, nei porti e nelle comunicazioni: guerra ibrida, metropolitana, che altera il consumo di terra, le comunità sfrattate e deportate. Da vedere il documentario girato da un collettivo di registi palestinesi e israeliani, No Other Land, sulla distruzione del villaggio di Masafer Yatta in Cisgiordania da parte di IDF e coloni, premiato al Festival di Berlino. Da leggere le 15 schede delle guerre africane e le 24 sulle situazioni di crisi in paesi che solo per intento omicida i governi possono dichiarare “sicuri”.
Se la guerra è diventata la nuova normalità, le violenze di genere, la repressione e le stragi sono le pratiche quotidiane che sostituiscono gli eserciti laddove non si combatte sul campo.
La guerra come laboratorio antropologico che prevede l’annientamento, a contatto con la nuova umanità che popolerà la colonia marziana apre uno spazio senza limiti all’utilizzo di risorse che saranno alla portata di una specie iperurania. Il sogno transumanista ha la faccia di Musk che ha in testa questa forma di nazismo.
Questa forma assume qui e ora il gioco al massacro dei rapporti di forza, della costruzione del nemico, e della cattura del linguaggio in cui scompaiono i corpi. Guerra delle razze suprematista, guerra ai migranti, guerra ai diversi, guerra al pensiero, difesa della vita superiore, della vita senza pari assicurata dalla selezione transumana. Ma anche guerra degli artefici, dei nuovi creatori, dei nuovi jocker che hanno sequestrato la follia terrestre, materiale, sana, per generare follia di distruzione, mentre l’industria bellica in sviluppo esponenziale compone la cartografia di morte chiamata “sicurezza”. Serve dunque una urgente mobilitazione di corpi e menti che destituisca il disastroso realismo geopolitico del “non c’è alternativa”. Alcune semplici proposte che non incitano a chissà quale sovversione ma al buon uso della ragione, sono state avanzate anche da Comune per la guerra in Ucraina e sono proposte che possono configurare una urgente e inedita prassi diplomatica: creazione di una “linea di pace” smilitarizzata; moratoria nucleare immediata; istituzione di un Corpo civile di pace europeo, del tutto smilitarizzato; dare la parola ai movimenti pacifisti russi, ucraini e bielorussi in un “tavolo delle trattative” che aggiunga voci costruttive alla discussione; convocazione di una vera Conferenza di pace.
L’alternativa è il planisfero della diserzione e della creazione di nuovi mondi e nuove terre nella molteplicità del mondo, su questa terra, non lo sventolio inane di bandiere con stelline gialle su fondo blu che riproducono solo logiche di guerra, ammantate dell’esausta retorica di ciò a cui non crede più nessuno.
Paolo B. Vernaglione, insegnante di filosofia, è autore di saggi e libri, l’ultimo è Lo scriba e la farfalla. Appunti sulla fine del tempo (Efesto). Nell’archivio di Comune, altri suoi articoli sono leggibili qui. Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
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Questa follia umana, oso dire propria del potere maschile, temo non finirà mai.
Le ragioni multiple che elenca Berardi sono assolutamente condivisibili e, purtroppo, rendono più complesso il quadro. 🌸