Gran parte dell’Unione Europea, Italia in primis, ha assecondato ormai da decenni la spinta interna a seguire il modello dei vecchi nazionalismi, riproponendo i criteri selettivi della genealogia, della discendenza, delle origini, legittimando in tal modo le retoriche su cui si basa pressoché ogni forma di razzismo. Annamaria Rivera ci ricorda puntualmente come quel criterio sia nei fatti sancito anche dai trattati di Maastricht e di Amsterdam e perfino dallo stesso Trattato costituzionale europeo del 2004. Il fatto che documenti così sostanziali abbiano riservato ai soli nazionali la cosiddetta cittadinanza europea dovrebbe indurci dunque, non certo a frenare l’indignazione di fronte a tragedie come quella di Crotone, ma a non sottovalutarne la cifra politica, quella, per intenderci, strutturale e sistemica. Una cifra che avalla le prassi orientate a disconoscere, per i cittadini e le cittadine del continente, il senso di un’appartenenza comune aperta agli altri e alle altre. Sarebbe utile non trascurare mai questo elemento essenziale, soprattutto quando si invoca, cedendo a più d’una semplificazione, un taumaturgico intervento europeo a correggere le indiscutibili miserie italiche in materia di accoglienza. Solo così, inoltre, diventa plausibile ribadire la sostanza di una verità elementare: sono i muri e i recinti elevati dall’Europa politica a creare il traffico illegale e non il contrario

Mentre scrivo, le vittime accertate dell’ennesimo naufragio di migranti, accaduto all’alba di domenica 26 febbraio sulle coste di Steccato di Cutro, in Calabria, sono almeno 67, fra le quali 15 bambini e 21 donne. Ma il loro numero potrebbe aumentare oltre i 100, aggiungendosi così alle decine di migliaia di morti nel mar Mediterraneo, divenuto ormai un unico, grande cimitero a cielo aperto.
Particolarmente gravi e inquietanti sono gli interrogativi riguardanti questo naufragio: s’ignora cosa sia accaduto dopo l’avvistamento e la segnalazione dell’imbarcazione da parte dell’aereo di Frontex alle 22.30 della sera precedente il naufragio; non si comprende come mai, pur sapendo della presenza nelle acque di un tale barcone, non si sia intervenuti tempestivamente. Perfino il comandante della Capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi, ha dichiarato che l’invio di mezzi di soccorso sarebbe stato del tutto possibile.
Checché ne pensi l’ignobile ministro degli Interni Piantedosi, sono i “muri” a creare i trafficanti e non il contrario. Egli, tra l’altro, ha scaricato sulle vittime la responsabilità del naufragio e ha osato affermare che «la disperazione non può giustificare viaggi pericolosi per le vite dei figli». Non per caso il ministro è l’ispiratore del decreto, che porta il suo nome, finalizzato ad applicare politiche sempre più persecutorie contro le navi delle Ong, impedendo loro di salvare vite umane: un compito che dovrebbe assumersi in primis lo Stato.
Oggi, dopo il tragico naufragio, sembra che Piantedosi abbia quale obiettivo quello di ripristinare i cosiddetti decreti Salvini sui porti chiusi e le limitazioni per le richieste di asilo e di accoglienza.
Per contestualizzare ampiamente ciò che ho detto finora, riprenderò quel che ho scritto altrove a proposito della vocazione migranticida che caratterizza non solo l’Italia, ma anche buona parte dell’Unione europea.
Com’è ben noto, l’unità europea fu concepita per trascendere non soltanto i colonialismi, ma pure la concezione della “nazione” quale comunità sostanziale e omogenea, quindi tendenzialmente orientata a escludere le altre e gli altri; nonché i nazionalismi conseguenti e le crisi economiche che avevano favorito, anch’esse, la nascita dei regimi totalitari.
Oggi, invece, gli esuli e le esule forzati/e (tutti/e lo sono, in misura diversa, anche quelli/e economici/he), paradossalmente approdano, allorché ce la fanno, in un continente disseminato da confini blindati, muri e barriere di filo spinato. Nella gran parte dei casi sono costretti/e ad abbandonare il proprio Paese a causa di persecuzioni, miseria, carestie, disastri, anche ambientali, nonché conflitti e guerre civili, perlopiù provocati o favoriti dal neocolonialismo e dall’interventismo occidentali.
Essi/e giungono in un mondo in cui vanno risorgendo nazionalismi aggressivi; ove si compete per respingere il massimo possibile di rifugiati/e verso lo Stato più vicino o ci si adopera a deportarli in qualche bieco “Paese sicuro”. Un mondo ove, a difesa del proprio territorio, si chiudono le frontiere, si erigono barriere d’ogni sorta, si arriva perfino a schierare gli eserciti. A tal proposito ricordo, per fare un esempio fra i tanti, che, a ottobre del 2015, il parlamento sloveno approvò, quasi all’unanimità, una legge che conferiva all’esercito poteri straordinari, in primis quello di limitare la libertà di movimento delle persone.
Inoltre, fra il 2015 e il 2016, al fine di contenere l’afflusso di profughi/e, alcuni Paesi dell’Ue giunsero persino a sospendere unilateralmente la Convenzione di Schengen, ripristinando i controlli alle frontiere. Invece di promuovere l’impegno a riformare radicalmente la Convenzione di Dublino, la Commissione europea ha vergognosamente avallato questa prassi, che compromette uno dei rari elementi, concreto e simbolico, che possa conferire ai cittadini e alle cittadine del continente il senso di un’appartenenza comune, nondimeno aperta agli altri e alle altre. E ciò in una fase in cui si assiste a una crisi radicale dell’Europa.

En passant, va notato fino a qual punto suoni paradossale l’insistente retorica dell’integrazione, a fronte di un contesto continentale e di contesti nazionali perlopiù contraddistinti da ordini politici e sociali frammentati, disomogenei, conflittuali.
Insomma, nel corso degli anni l’Unione europea ha perpetuato, in qualche misura, il modello dei vecchi nazionalismi, riproponendo i criteri della genealogia, della discendenza, delle origini, in tal modo legittimando le retoriche su cui si basa pressoché ogni forma di razzismo. Infatti, è un tale criterio a essere stato sancito, in fondo, dai trattati di Maastricht e di Amsterdam, dallo stesso Trattato costituzionale europeo, firmato a Roma il 29 novembre 2004, che hanno riservato ai soli nazionali la cosiddetta cittadinanza europea.
L’Ue pratica anche una sorta di sovra–nazionalismo armato, a difesa delle proprie frontiere. E questo, a sua volta, non solo è causa principale di un’ecatombe di profughi/e dalle proporzioni mostruose, ma ha anche contribuito indirettamente a incoraggiare nazionalismi aggressivi, quindi al successo delle destre, anche estreme, in tutta Europa: l’Italia è oggi il caso esemplare di un governo dominato dall’estrema destra.
In realtà, come ho già scritto altrove, le leggi, norme e prassi europee nonché di singoli Stati in materia d’immigrazione e asilo configurano una sorta di tanatopolitica, per dirla alla maniera di Michel Foucault. Talché non è esagerato sostenere, come fece Luigi Ferrajoli (Il suicidio dell’Unione europea, “Teoria politica”, VI, 2016, pp. 173-192), che, con le sue «odierne leggi razziali», l’Ue stia «mettendo in atto una gigantesca omissione di soccorso» e, di conseguenza «un nuovo genocidio».
La semiotica del genocidio è rintracciabile, in realtà, in non poche norme e prassi di Stati dell’Ue. Basta considerare l’uso di vagoni blindati per trasportare i/le rifugiati/e oltre i propri confini, per il quale si è distinta l’Ungheria, governata dalla destra nazionalista e razzista. Questo Paese, infatti, ha risposto alla “crisi dei rifugiati” non solo blindando i propri confini, criminalizzando e arrestando i/le richiedenti-asilo che cercavano di varcarli, ma anche compiendo, per almeno due volte, un atto che ricorda la deportazione degli stessi ebrei ungheresi nel 1944.
Nel luglio del 2015, a un treno che partiva da Pecs diretto a Budapest fu aggiunto un vagone-merci chiuso, stipato di profughi/e, in gran parte siriani/e e afghani/e, donne e bambini compresi. E il 23 settembre successivo, al confine tra Ungheria e Croazia, centinaia di profughi/e, privati di acqua e cibo, furono caricati su carri-merci egualmente blindati, per essere trasferiti verso il confine austriaco.
È anche tutto questo a contribuire alla grave crisi europea, che non è solo economico-finanziaria, ma anche (forse soprattutto) politico-ideologica e identitaria. In realtà, al tempo presente, l’unica “ideologia” che sia capace di coinvolgere e unificare gran parte delle popolazioni europee “autoctone” è costituita dal rigetto dei profughi, degli esuli, dei rom, delle persone immigrate e/o “d’altra origine”, cioè gli odierni «nemici interni ed esterni». Sono loro, attualmente, a costituire sempre più «un principio di autodefinizione», per citare Hannah Arendt. E, oggi come in un tempo assai infausto, ciò serve a conferire «alle masse d’individui atomizzati (…) un mezzo di (…) identificazione» (Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Torino 1999, 492).
Ai giorni odierni, l’ombra del cattivo passato si allunga perfino su convenzioni e carte internazionali per la tutela dei diritti. Anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) sono spesso violate col negare alle persone profughe diritti fondamentali o con l’intendere questi ultimi non già come incondizionati e spettanti a ognuno/a, bensì come da concedere eventualmente e solo a determinate condizioni.

Uno spettro del cattivo passato è, per esempio, l’accordo siglato, il 18 marzo 2016, tra l’Ue e la Turchia, frutto di un ignobile baratto sulla pelle delle persone rifugiate. Com’è noto, esso ha stabilito che tutte le persone profughe che entrino “irregolarmente” in Grecia attraverso il mar Egeo siano “rimpatriate” in Turchia, di fatto deportate in un Paese tutt’altro che “sicuro”, essendo divenuto il suo regime sempre più autoritario, per non dire ch’esso è teatro di frequenti attacchi terroristici.
Questo accordo – la cui insensatezza è del tutto palese, poiché non è servito affatto, come si pretendeva, a smantellare “il business dei trafficanti”, bensì a costringere le moltitudini in fuga a intraprendere rotte e viaggi sempre più pericolosi – viola palesemente il diritto internazionale.
Per non dire dell’indegno accordo, definito disumano dalla stessa Onu, tra i vari governi italiani e quelli libici, quasi-fantocci; nonché della missione militare italiana in Niger, volta a bloccare una tappa decisiva degli esodi; si aggiunga l’infame legge Minniti-Orlando, decisamente anticostituzionale, poiché finalizzata a ridurre drasticamente il diritto di asilo e a rendere più efficace la macchina dei rastrellamenti e dei rimpatri forzosi. Quanto al governo italiano attuale, il più a destra nella storia dell’Italia costituzionale e che ha come Presidente del Consiglio e quale Ministro dell’Interno, due personaggi così outrés da sembrare la parodia, tragica e grottesca, della/del Razzista –, esso è la perfetta rappresentazione della decadenza e della tanatopolitica dell’Ue.
Non c’è che da augurarsi e da lottare affinché l’insieme della sinistra finalmente comprenda la centralità strategica della lotta contro discriminazione e razzismo. Non è certo da poco tempo che essi si manifestano in Italia, ma oggi questo processo appare privo di freni, sempre più incalzante e volto al peggio. A meno che l’indignazione che alberga in non pochi settori della società civile, in particolare dell’attivismo antirazzista e antifascista, non sappia trovare, finalmente, voce e strategia comuni per far fronte a una tale temibile deriva.
Lucida analisi
Giuste riflessioni, ottimi collegamenti, brava Annamaria come sempre. Domina la cultura della rimozione. Si negano pubblicamente il dolore, le sofferenze, la legittimità della scelta migratoria.
Riflessione lucida e attenta. Un articolo davvero molto interessante. Grazie Annamaria per il tuo contributo.
Condivido in toto l’articolo di Annamaria e la sua puntuale analisi. Voglio solo aggiungere qualche considerazione, pensando a tante vite perse per un disumano calcolo politico. Credo, che i responsabili siano da addebitare alla così detta “catena di comando”, che fa capo al ministro degli interni, alias “il questurino al servizio dello Stato”, come elegantemente si è autodefinito. Non aggiungo altro a quello che abbiamo già visto e sentito. Dico solo, che anche questa volta la popolazione della Calabria ha dimostrato grande sensibilità, coraggio ed amore vero nei confronti dei disgraziati fratelli migranti. Mi ha colpito molto la commossa partecipazione dei bambini e ragazzi di tutte le scuole crotonesi, soprattutto nei momenti successivi alla tragedia. Ed aggiungo un abbraccio a tutti i volontari, che anche a scapito della loro vita, non hanno esitato a lanciarsi in mare o a scava a mani nude nella sabbia, sperando di trovare qualche persona in vita. Al momento i dispersi sono saliti a 50 ed i morti a 68. Cosa hanno da dire gli altri componenti di questo governo reazionario.? Ormai è certo, dobbiamo parlare di “strage di Stato”! Ma intanto i nostri disgraziati fratelli non possono più avere giustizia.Condivido in toto l’articolo di Annamaria e la sua puntuale analisi. Voglio solo aggiungere qualche considerazione, pensando a tante vite perse per un disumano calcolo politico. Credo, che i responsabili siano da addebitare alla così detta “catena di comando”, che fa capo al ministro degli interni, alias “il questurino al servizio dello Stato”, come elegantemente si è autodefinito. Non aggiungo altro a quello che abbiamo già visto e sentito. Dico solo, che anche questa volta la popolazione della Calabria ha dimostrato grande sensibilità, coraggio ed amore vero nei confronti dei disgraziati fratelli migranti. Mi ha colpito molto la commossa partecipazione dei bambini e ragazzi di tutte le scuole crotonesi, soprattutto nei momenti successivi alla tragedia. Ed aggiungo un abbraccio a tutti i volontari, che anche a scapito della loro vita, non hanno esitato a lanciarsi in mare o a scava a mani nude nella sabbia, sperando di trovare qualche persona in vita. Al momento i dispersi sono saliti a 50 ed i morti a 68. Cosa hanno da dire gli altri componenti di questo governo reazionario.? Ormai è certo, dobbiamo parlare di “strage di Stato”! Ma intanto i nostri disgraziati fratelli non possono più avere giustizia.
Annamaria, che era peraltro venerdì scorso in piazza nel sit-in #smashtheborders, ci ricorda una volta di più come la vocazione migranticida di cui la strage di Steccato di Cutro è l’ennesima tragica occorrenza, è il risultato di politiche di questo Paese ma anche dell’Unione Europea che, fondando un apartheid del diritto tra cittadinə nazionali/comunitariə e di paesi terzi, ha tradito la sua originaria ragion d’essere. Ci ricorda anche che però, proprio per questo, che non ci sono terze vie per le sinistre europee: o abbracciano convintamente questa battaglia che passa per lo smantellamento progressivo di queste politiche, partendo dalla difesa del diritto alla libertà di circolazione, oppure assisteremo a una progressiva desertificazione dello stato di diritto per tuttə. Dobbiamo sentirci, ciascunə a partire dalle proprie posizioni di privilegio, interpellatə da questa riflessione. La sfida nel nostro Paese è resa più urgente da un governo che rappresenta un pericolo reale, non solo per il background politico-culturale di chi ne fa parte, ma per le sue concrete azioni e inadempienze, sul fronte dei diritti, dell’economia, del clima. Spero, sinceramente, che l’elezione di Elly Schlein possa segnare un punto di discontinuità forte, ma senza uno sforzo collettivo della base non andiamo da nessuna parte.
Versione francese: https://tlaxcala-int.blogspot.com/2023/03/annamaria-rivera-la-vocation.html
Cara Annamaria,
anche senza avere ricevuto il link nella tua prima mail, istintivamente ero certa di condividerne il testo. E infatti, leggendolo poi non posso che dirti brava per la puntuale analisi e documentazione, e ringraziarti. Ci conosciamo abbastanza per sapere quanto profondo sgomento, dolore e indignazione proviamo al cospetto dei « migranticidi » e che condividiamo l’analisi di come a monte li favoriscano le politiche in atto… . In tante e tanti da decenni si mobilitano, ragionano, denunciano, scrivono su quanto avviene nel Mediterraneo – «Acheronte di Sangue » e « Muro d’Acqua » scrivevo nel 1994 – ma i grandi sistemi hanno proceduto con le loro politiche scellerate e ingiuste, facendo in modo che appelli e analisi circolassero solo tra gruppi ristrettì. Adesso però mi sembra che le politiche dei grandi sistemi siano incorse in un fatale imprevisto : l’orrore della morte a Cutro ha captato quella attenzione che soltanto attraverso la diffusione mediatica può raggiungere l’opinione pubblica comune, proprio quella che da anni volevano restasse ignara e insensibile. È poco, ma per una volta non è solo momentaneo spettacolo. E se i grandi sistemi continueranno comunque a provocare ciò che a monte origina esodi e scardinamenti e a gestirli con i metodi coloniali, qualcosa si è incrinato nel « sudario di silenzio » (per dirla con il poeta Ben Jelloun). Forse questo darà più spazio nel sentire comune al gran lavoro fatto negli anni da tante e tanti per denunciare il « sudario » ammantato di silenzio.
Toni Maraini
Vocazione migranticida dell’Unione Europea e degli Stati in quanto tali, con i loro complici trafficanti. Tutti trafficano. E il Mediterraneo è da decenni un lago di morte, come è terra di morte la lunga strada tra il cuore dell’Asia e Trieste. Le guerre che i potenti scatenano contro i popoli sono spesso legate a crisi migratorie fortissime (la crisi tra Bielorussia e Ucraina ha preceduto l’aggressione russa del febbraio 2022) in cui gli Stati e le classi dirigenti giocano e lucrano sulla pelle delle persone. Del potente articolo di Annamaria Rivera, questo passaggio mi sembra centrale: “…Checché ne pensi l’ignobile ministro degli Interni Piantedosi, sono i “muri” a creare i trafficanti e non il contrario…” I muri creano oppressione, separazione e morte. Uno ne è stato abbattuto, a Berlino, con il solo scopo di erigerne altri, infernali. Classi dirigenti spietate, a Oriente come in Occidente, si spartiscono la torta. E noi siamo … finiti… come movimento collettivo, come forza politica. “…Nulla è sicuro, ma scrivi…”, leggo in Fortini. Scrivere, nostra unica alternativa, e creare legami e storie e reti di solidarietà in tutti i campi. Nella disperazione di un presente di minacce realizzate.
Che l’Europa sia il mandante non ci sono dubbi. Il problema è che non abbiamo altri interlocutori se non i governi e l’Europa. Per questo la cosiddetta società civile assume un ruolo sempre più importante. Noi tutte e tutti dobbiamo esigere sempre più fermamente il rispetto dei diritti che sono scritti sulla carta.
Carissima Annamaria, scrivi cose sacrosante che condivido totalmente e farò girare il tuo articolo il più possibile. A ciò va aggiunto il vero e proprio schiavismo che avviene nelle nostre campagne e che costringe e rigetta in una morsa mortale di sfruttamento mafiosamente legittimato chi arriva ancora vivo sulle coste siciliane e calabresi. A questo proposito ti segnalo l’interessantissima inchiesta di Campagne in Lotta confluita nel documentario: “Tendopoly. Invisibili, schiavi, vittime, caporali. Una miniserie di 7 episodi su 10 anni di lotte nelle campagne”. Grazie, ciao, ciao Mauro Geraci