Il corpo capitalista è lacerato, ha uno spasmo. Gli scenari globali che si preparano sono angoscianti, tra escalation di guerre locali e rischi di annientamento nucleare. Ma tutte le tendenze hanno sempre delle controtendenze, che dobbiamo imparare a riconoscere e proteggere: saranno in grado di aprire scenari diversi se attraverseranno confini sociali e nazionali, ma soprattutto se favoriranno l’espansione di arcipelaghi di cooperazione interconnessi che già esistono e che riproducono la vita sociale ed ecologica su basi diverse. “Ciò implica in larga misura una ridefinizione del significato, degli scopi e delle forme della cooperazione sociale, nonché dei modi di produzione e di accesso alla ricchezza sociale. Scrive Massimo De Angelis: “È necessario ripensare e ricostituire l’organizzazione che articola materialmente e simbolicamente la nostra vita collettiva, perché è lì che si gioca il terreno della politica, sul terreno della riproduzione sociale, cercando risposte che subordinino le logiche acquisitive, competitive ed estrattive a quelle della condivisione, della cooperazione e dell’inclusione partecipativa…”

Nel contesto della guerra in Ucraina e del genocidio in Palestina, non è difficile vedere oggi il riemergere di tensioni imperialiste tra blocchi, qualcosa che può essere usato per indicare i rischi di una guerra aperta tra potenze imperiali e aumentare il rischio di deflagrazione nucleare. L’annientamento è sempre – ed è sempre stato fin dalla Guerra Fredda – un esito possibile, anche se solo sistematicamente non intenzionale, come nel caso del Dottor Stranamore. È ancora vero che il contesto più grande entro cui operano queste diverse strategie imperialiste è la dinamica differenziata del conflitto sociale, nel senso che questa esercita pressioni, oppone resistenze ai modelli interni di sfruttamento, di estrazione o mobilitazione militare e nazionalistica – fino a 100 mila diserzioni in Ucrania! -, e crea sia pressioni che opportunità lucrative per promuovere modelli di accumulazione al di fuori dei confini nazionali. Queste dinamiche sono ancora presenti come alla vigilia della prima e della seconda guerra mondiale. Tuttavia, oggi c’è un’importante differenza rispetto alla situazione di allora. In quei contesti, il capitale era anch’esso globale, ma il globale era costituito da una varietà di centri imperiali di comando capitalistico, ognuno dei quali governava una “economia mondiale” piuttosto distinta (alla Braudel). Gli inglesi avevano la loro economia mondiale, i francesi e così via, mentre i tedeschi, i giapponesi e gli italiani cercavano di allargare la loro a scapito degli imperi esistenti.
Oggi le tensioni imperialiste che emergono possono avere a che fare con le vecchie abitudini delle potenze imperialiste, ma si collocano in un contesto del tutto diverso rispetto al significato di “globale” nel capitale globale. Se allora per globale si intendeva una divisione del mondo in sfere di influenza piuttosto distinte, oggi i modelli di commercio globale e, soprattutto, di produzione transnazionale indicano una fabbrica globale molto più integrata e interdipendente. Oggi, le catene di fornitura interdipendenti si estendono su tutti i continenti, e sono trasversali alla macro-regioni egemonizzate dai diversi “centri imperiali”. Con l’“integrazione profonda” del capitale globale, le opportunità di sfruttare i differenziali di costo per il capitale nelle diverse condizioni di riproduzione sociale sono molto più grandi. Ellon Musk incarna la contraddizione di chi, alleato di un presidente eletto che pensa che le tariffe siano un “bellissimo” strumento per gestire le relazioni con le potenze che sfidano l’egemonia statunitense, ha tuttavia interessi che lo legano mani e piedi con la Cina. Alcuni sostengono che potrebbe avere un’influenza equilibratrice delle politiche di Trump verso la Cina. Il punto è che, sebbene si sia verificata negli ultimi anni una tendenza alla regionalizzazione, queste macro-regioni sono ancora fortemente integrate in uno spazio globale di produzione capitalistica.
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Sembra allora che stiamo vivendo un momento storico in cui siamo esposti alle stesse forze di regionalizzazione del capitale in diverse sfere di influenza che hanno portato alla prima e alla seconda guerra mondiale, ma in un momento in cui, per varie ragioni (ereditate dalla storia e da Gaia che metabolizza quella storia), il mondo non può essere così ordinatamente diviso. La longue durée del capitalismo sistemico è un ritmo di respirazione. Ispirazione: fino alla seconda guerra mondiale il mondo capitalista si è globalizzato formando imperi, mega regioni, economie mondiali. Espirazione: dopo la seconda guerra mondiale il mondo capitalista è stato diviso in due mondi distinti, con un terzo che costituiva il suo campo di gioco (si, sono tra quelli che considera l’Unione Sovietica come capitalismo di stato). Poi, improvvisamente, con la caduta di un muro, un unico mondo, che si apre a una vasta geografia di condizioni differenziali di riproduzione sociale (e quindi di intensità e configurazioni di lotta), e che sviluppa reti di catene di approvvigionamento. In tutto questo periodo, un libro di regole globali e istituzioni globali egemonizzate dagli Stati Uniti (ONU, BM, FMI e così via) per una rappresentanza differenziata nei diversi rami del governo del capitale globale, insieme al ruolo centrale del dollaro nell’economia globale e alla sua “posizione di rendita” associata. Da qualche tempo, questa egemonia è sempre più messa in discussione. E ciò ha a che fare con l’ascesa di altri “centri”, Cina in primis.
Siamo di nuovo in una fase di ispirazione all’interno del corpo capitalistico, le forze regionalizzanti che hanno creato imperi, sfere di influenza, hanno preso slancio e si stanno scontrando. Questo è anche un contesto in cui gli Stati Uniti non sembrano più in grado di “guidare” di fronte alle “sfide globali”, cioè, in realtà, di fronte ai giganteschi problemi di riproduzione sociale esistenti e in via di accelerazione, ma soprattutto alle lotte esistenti o prevedibili che questi possono portare (e in questo includo anche il movimento per il clima e la questione ecologica, un aspetto fondamentale della riproduzione sociale). Le lotte globali sono andate e venute negli ultimi due decenni, ma con una tendenza crescente. Ad esempio, “negli otto anni precedenti al 2018, i dati globali comparabili disponibili mostrano un aumento del 102% nel numero di rivolte, scioperi generali e manifestazioni antigovernative, secondo il Global Peace Index 2020” (visionofhumanity.org). Covid ha fornito al capitale un sollievo temporaneo da questa tendenza, e anche l’opportunità, attraverso l’inflazione, di operare un taglio netto del salario sociale praticamente ovunque. E poi ora, in Italia e altrove, si cominciano a introdurre leggi più severe che innalzano lo standard di ciò che deve essere considerato “violenza”: come un blocco stradale pacifico da parte di lavoratori in protesta, o un pacifico spruzzo di vernice lavabile ad acqua su un monumento da parte di giovani attivisti ambientali. Questo ovviamente alza il livello di criminalizzazione, ma ritengo comunque che si tratti di tentativi “timidi” di fronte all’anticipazione di ciò che sta per accadere. E quello che sta per arrivare potrebbe essere una crescita esponenziale di conflitto sociale a livello globale a fronte delle onde più turbolente dei feedback di Gaia sulla civiltà capitalista e agli effetti socialmente devastanti delle tensioni geopolitiche.
Oggi esiste un problema di governance del capitale globale. E questo in due aspetti interconnessi. Da un lato, di fronte a Gaia e alla conflittualità sul terreno della riproduzione sociale. Dall’altro, di fronte alle sfide alla composizione del comando di “un mondo” attualmente egemonizzato dagli Stati Uniti. Il corpo capitalista è lacerato, ha uno spasmo. Il suo corpo piramidale dipende da reti di produzione sociale, commercio e catene di approvvigionamento trasversali a diverse regioni, eppure le diverse regioni sono sempre più in aperto conflitto tra loro. L’acuirsi dei problemi di riproduzione sociale acquisisce sempre più una dimensione globale, eppure la governance del capitale globale sembra incapace di convergere su una sorta di accordo regolativo che possa sottrarre energia sociale ai movimenti sociali emergenti, a parte l’uso della repressione. Credo che si stiano profilando due tendenze generali. Uno è l’emergere di una sorta di configurazione multipolare del comando globale del capitale, e l’Ucraina e la Palestina sono due fronti importanti per questo. Il secondo è l’emergere di una crisi crescente, potenzialmente esponenziale, della riproduzione sociale. Affrontare la complessità e l’intensità potenziale di questa crisi offre alle diverse compagini di governo margini di manovra assai limitati, senza mettere in discussione e subordinare il punto di vista della riproduzione del capitale a quella dei bisogni della riproduzione sociale. Da qui, tre orribili scenari.
Il primo. Un regime di guerra della governance globale che si intensifica e che in qualche modo riesce a evitare l’escalation di guerre nucleari (o comunque non fino all’annientamento totale), che riesce a regolare alcuni conti, a mettere alcune bandierine qui e lá sulla mappa del risiko globale, e a farne fuori altre, seguito da una transizione “pacifica” verso un nuovo ordine globale multipolare.
Il secondo. Un processo di “disaccoppiamento” delle regioni di influenza del capitale mondiale, con grandi cambiamenti nei modelli commerciali, nell’autosufficienza tecnologica e nella riconfigurazione delle catene di approvvigionamento che potrebbe richiedere decenni.
Terzo. Annientamento nucleare.
Il primo potrebbe durare anni, decenni o solo poche settimane. Chi lo sa. Forse l’escalation degli ultimi due anni, più qualche migliaia di tonnellate in più di bombe e di corpi massacrati, sarà sufficiente per tentare un processo di consolidamento e di negoziazione dell’ordine globale? Forse no. Quello che sappiamo è che, per quanto lunga sia l’intensificazione del regime di guerra, si intensificherà anche la crisi generale della riproduzione sociale. Sia la prima che la seconda richiedono mezzi di governo sempre più autoritari e forme di repressione e controllo sempre più sofisticate, e implicherebbe un ulteriore intensificarsi degli attacchi alla riproduzione sociale. È il profilarsi del capitalismo fascista bellezza!
Ma le tendenze hanno sempre delle controtendenze. Il profilarsi di diversi scenari emergenti dipende da forze sociali che si mobilitano per cercare di orientare il mondo in una direzione diversa, per orientarlo sul piano fondamentale di una forma radicalmente diversa di cooperazione sociale. Per poterlo fare, è necessario che le energie collettive messe in campo da queste forze sociali superino un certo valore critico. Dipende da queste energie collettive non solo estendere le rivendicazioni e le richieste di giustizia socio-economica attraverso il conflitto sociale, ma anche il tessere organizzazioni trasversali, comunicazione e circolazione delle lotte tra diversi soggetti e questioni fondamentali per la riproduzione sociale. Dipende dall’attraversamento dei confini sociali e nazionali, dal collegamento delle vite dei salariati e dei non salariati, dei cittadini e dei migranti, delle ragioni di chi cura e di chi è curato, di chi si preoccupa di come sbarcare il lunario e di chi si preoccupa di come evitare la fine delle condizioni di vita sulla terra. Dipende inoltre in modo cruciale dalla creazione e dall’espansione di arcipelaghi di cooperazione interconnessi che riproducono la vita sociale ed ecologica su basi diverse. Ciò implica in larga misura una ridefinizione del significato, degli scopi e delle forme della cooperazione sociale, nonché dei modi di produzione e di accesso alla ricchezza sociale. In breve, è necessario ripensare l’organizzazione non come un partito politico che si muove nel campo separato della “politica”. È necessario ripensare e ricostituire l’organizzazione che articola materialmente e simbolicamente la nostra vita collettiva, perché è lì che si gioca il terreno della politica, sul terreno della riproduzione sociale, cercando risposte che subordinino le logiche acquisitive, competitive ed estrattive a quelle della condivisione, della cooperazione e dell’inclusione partecipativa.
Massimo De Angelis ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
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