di Penny*
Dovremmo insegnare ai nostri figli a non avere paura della solitudine. É uno spazio potente di creatività. Il più grande, forse.
Non dobbiamo spaventarli se si sentono soli, ma spiegar loro che è una condizione della vita, un bisogno e una necessità per l’uomo. Invece raccontiamo storie spaventose in cui i bambini si perdono e rimangono da soli, in cui la salvezza arriva sempre dall’altro.
I bambini imparano a muovere i primi passi, ad afferrare oggetti, a pronunciare parole dentro a esercizi continui di solitudine.
Si concentrano per ore in atti silenziosi.
Dovremmo sollecitare questi momenti invece di richiamarli continuamente a noi, e non dovremmo preoccuparci se ogni tanto si appartano.
In quello spazio immaginano, si ricaricano, progettano, imparano a esserci e non avere bisogno di altro.
Così come insegniamo ai nostri figli a socializzare, dovremmo insegnargli a stare da soli. A perdersi in un mondo in cui si è capaci di bastarsi.
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La solitudine non é fuga, ma il tempo della pausa, del silenzio, della contemplazione, del riparo.
E allora quando li vediamo assorti o decisi a starsene da soli, abbiamo il dovere di non richiamarli a noi e lasciarli stare.
Esiste una solitudine buona che serve agli adulti tanto quanto i bambini. Uno spazio in cui immaginare mondi, in cui staccare la spina e fare silenzio.
Quando cerchiamo spasmodicamente l’amore è quella solitudine che non vogliamo affrontare. Il vuoto che ci attraversa e la paura del bosco che ci hanno raccontato. I nostri figli hanno diritto alla solitudine. É attraverso l’esperienza della solitudine che sapranno costruire legami fecondi, e sapranno amare.
E se la solitudine busserà alla loro porta sapranno che uso farne. Forse, meglio di noi.
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Claudia Michelesi dice
Sono perfettamente d’accordo con queste belle riflessioni. Le avessi lette per tempo….