Il tema principale in Descolarizzare la società è la funzione della scuola. In questo testo Ivan Illich avanza una critica radicale, ancora attuale sotto molti punti di vista, ai sistemi scolastici e alla società che li produce. Illich – ricorda Andrea Staid nella prefazione al libro ristampato da Mimesis – ha indicato anche alcune strade alternative, tra cui la “costruzione di reti educative che possano dare realmente a tutti maggiori possibilità di trasformare ogni momento della propria vita in un’occasione di apprendimento, partecipazione e cura, non soltanto nelle ore di lezione seduti davanti a un banco e rinchiusi in una scuola”

Una volta che una società ha trasformato i bisogni fondamentali in richieste di beni di consumo prodotti da esperti, la povertà si definisce secondo parametri che i tecnocrati possono modificare a proprio piacimento
(Ivan Illich)
L’opera di Ivan Illich è una miniera per la comprensione del contemporaneo. Oggi sono in molti a richiamarsi al pensiero di Illich, ma spesso lo fanno ignorando la sua complessità e il dubbio sistematico che caratterizzava la sua opera, perché è molto più semplice essere dei seguaci che dei critici attenti del suo pensiero.
Uno dei problemi principali affrontati nelle sue opere è sicuramente quello della modernità, un problema legato alla sparizione dell’arte di vivere, di cui l’arte di soffrire è parte integrante. Nei suoi studi ha dimostrato che l’istituzionalizzazione dei valori della società contemporanea, burocratica e capitalista ha condotto inevitabilmente alla corruzione del corpo, alla polarizzazione sociale e all’impotenza psicologica: tre dimensioni di un processo di degradazione globale e di rinnovata miseria.
Un processo di degradazione accelerato dalla trasformazione dei bisogni non materiali in domande di prodotti e dalla definizione di salute, istruzione, mobilità personale, benessere ed equilibrio mentale visti soltanto come risultati di servizi. In coerenza con le sue tesi, evitando la tipica separazione di molti intellettuali tra teoria e pratica, il grande pensatore rifiutò di curare il suo cancro, perché il dolore e la sofferenza erano per lui una parte imprescindibile nell’esperienza dell’uomo. Con la sua malattia voleva provare che la civiltà medica moderna ha trasformato il dolore da cimento personale in disfunzione meccanica. La capacità della cultura di rendere tollerabile il dolore integrandolo in una situazione carica di senso è venuta meno. La sofferenza non è più percepita come componente inevitabile del consapevole confronto con la realtà, bensì come problema tecnico da eliminare. Per Illich la medicina è diventata una nuova pandemia, che definisce con il termine iatrogenesi, e si palesa in tre aspetti fondamentali: clinico, sociale, culturale. La iatrogenesi clinica è costituita dagli effetti collaterali della terapeutica per cui dolore, malattia e morte diventano il risultato delle cure mediche, non più una tappa del percorso di guarigione. La spersonalizzazione della terapia e l’uso della tecnologia in campo medico trasformano la mala pratica, purtroppo sempre più frequente, da problema etico a problema tecnico. Per questo affermerà instancabilmente che “la corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute” (Nemesi medica, 1977).
In Descolarizzare la società (1972-2019), il tema principale è la funzione della scuola, dell’istruzione statale e accademica. Per molti anni Ivan Illich si è interrogato su cosa fosse quella struttura creata intorno all’istruzione che prende il nome di “scuola”. In questo suo celebre lavoro avanzò una critica radicale, ancora attuale sotto molti punti di vista, ai sistemi scolastici e alla società che li produce. Nella sua analisi la scuola, specie quella professionale, ricade infatti nell’ambito delle istituzioni manipolatone e non conviviali, ovvero è una forma di manipolazione del mercato che ha come scopo la formazione di individui adatti e utili alla produzione industriale: “La scuola è l’agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com’è”.
Il problema principale, a suo avviso, è che ormai non è scolarizzata soltanto l’istruzione, ma l’intera realtà sociale. La scolarizzazione obbligatoria non soltanto ha polarizzato la società, ma ha classificato le nazioni del mondo secondo un sistema internazionale di caste.
I singoli paesi vengono cioè valutati come caste, la cui dignità culturale dipende dalla media degli anni di scuola dei loro cittadini, secondo una classificazione strettamente collegata al prodotto nazionale lordo prò capite, e c’è di peggio. Il paradosso della scuola è evidente: l’aumento della spesa non fa che accrescere la sua potenzialità distruttiva, dentro e fuori dai paesi. Questo paradosso deve diventare una questione d’interesse pubblico {Infra, p. 29).
Nel testo Illich afferma che dare a tutti eguali possibilità d’istruzione è un obiettivo importante e raggiungibile, ma allo stesso tempo sottolinea che identificare questo obiettivo nella scolarizzazione obbligatoria è come confondere la salvezza eterna con la Chiesa. Per Illich la scuola è divenuta la religione universale di un proletariato modernizzato che fa vuote promesse di salvezza ai poveri dell’era tecnologica. Lo Stato nazionale ha fatto propria questa religione, arruolando tutti i cittadini in un programma scolastico “graduato” che ha portato a una successione di diplomi e ricorda i rituali iniziatici e le ordinazioni sacerdotali dei tempi passati. Lo Stato moderno si è assunto il compito di far rispettare le decisioni dei suoi educatori per mezzo di volonterosi funzionari addetti alla lotta contro l’evasione dall’obbligo scolastico e mediante i titoli di studio richiesti per ottenere un impiego, un po’ come i re spagnoli facevano rispettare le decisioni dei loro teologi servendosi dei conquistadores e dell’Inquisizione.
Illich ha cercato di ribaltare questa dinamica istituzionale e coercitiva anche nella sua quotidianità, lo dimostra la sua vita passata in case collettive in giro per il mondo e la sua voglia di parlare con uomini e donne provenienti da paesi lontani. Ha dato grande importanza nelle sue opere alla ri-significazione della parola “con-vivialità“: con questo termine intendeva esattamente il contrario della produttività industriale.
Dal suo punto di vista, la crisi planetaria affondava le radici nel fallimento dell’impresa moderna, cioè nella sostituzione della macchina all’uomo.
Nel corso di molti anni di studio ha provato a individuare il limite critico all’interno della millenaria triade uomo-strumento-società, limite oltre il quale non è più possibile mantenere un equilibrio globale. L’uomo è diventato schiavo della macchina e la società iperindustriale ha stravolto ogni scala e limite naturale. Passare dalla produttività alla convivialità significa sostituire a un valore tecnico un valore etico, a un valore materializzato un valore realizzato. Quando una società, qualunque essa sia, reprime la convivialità al di sotto di un certo livello, diventa preda della carenza e Illich, nella sua vita, ha cercato costantemente di creare convivialità per non arrendersi alla produttività della società industriale in cui viveva (La convivialità, 1974).
La convivialità ha i suoi luoghi e certamente l’abitare è uno dei più importanti. Non a caso, questo argomento sarà centrale nella riflessione e nell’attività di Ivan Illich: anche in questo caso teorizzò un grande attacco radicale al sistema corporativo dell’architettura, perché rivendicava il diritto degli abitanti a gestire e costruire il proprio spazio di vita, sottolineando l’importanza del saper fare umano e delle architetture vernacolari. L’autore approfondirà molto un concetto strettamente legato a questa tematica: il concetto di commons, di diritti comuni, di beni comuni, un tema che affonda le sue radici anche nella storia italiana degli usi civici e delle terre comuni.
Illich ha fondato un pensiero completo e, approfondendo la tematica sulla scuola e la descolarizzazione della società, si è occupato di tutti gli argomenti centrali della nostra società e quindi anche del sistema del lavoro, della coppia, dei legami tra persone e merci, come automobili, televisione, media e computer, che per l’autore rendono l’uomo dipendente e schiavo di sistemi totalizzanti.
In questo testo che state per leggere, Illich avanza anche delle proposte concrete, affermando che all’attuale ricerca di nuove strettoie didattiche dovremmo sostituire la ricerca del loro contrario istituzionale, ovvero costruire reti educative che possano dare realmente a tutti maggiori possibilità di trasformare ogni momento della propria vita in un’occasione di apprendimento, partecipazione e cura, non soltanto nelle ore di lezione seduti davanti a un banco e rinchiusi in una scuola. Il problema è che sempre di più, soprattutto oggi, qualunque iniziativa comunitaria, se non è finanziata e organizzata dalle autorità competenti, viene letta come una forma di aggressione o sovversione.
Per questo è sempre più urgente “descolarizzare” ovunque non soltanto l’istruzione ma la società tutta.
Le burocrazie degli enti assistenziali, ci ricorda Illich, rivendicano il monopolio professionale, politico e finanziario dell’immaginazione sociale, fissando i criteri che stabiliscono cosa è valido e fattibile. Questo monopolio è alla base della versione moderna della povertà. Ogni semplice bisogno per il quale si trovi una soluzione istituzionale permette di inventare una nuova classe di poveri e una nuova definizione della povertà. Bisogna sovvertire questo sistema per riconquistare degli spazi di libertà e autorganizzazione.
Illich ha costruito un pensiero radicale che può essere compreso solo se lo si conosce nella sua interezza e lo si integra alla vicenda umana del pensatore. Ci ha lasciato l’immagine di un intellettuale poliedrico e dubbioso, di uomo eretico. Per questo è fondamentale porre attenzione al reale pericolo che questo libero pensatore possa oggi essere riassorbito nell’ambito di un pensiero confessionale cristiano, che venga beatificato da una Chiesa che ha tutto l’interesse a smussarne gli spigoli e ad assorbire il suo pensiero all’interno di un anti-modernismo cattolico in questo momento in piena ascesa. Quello che Illich ci offre è una grande eredità umana e teorica, ampliando la nostra cassetta degli attrezzi per la costruzione di un mondo migliore.
Andrea Staid è docente di Antropologia culturale e visuale presso la Naba, ricercatore presso Universidad de Granada, dirige per Meltemi la collana Biblioteca /Antropologia. Ha scritto: I dannati della metropoli, Gli arditi del popolo, Abitare illegale, Le nostre braccia, Senza Confini, Contro la gerarchia e il dominio. I suoi libri sono tradotti in Grecia, Germania, Spagna e adottati in varie facoltà universitarie.
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