Articoli che cercano di gettare dubbi sull’agricoltura organica stanno improvvisamente dilagando sui media. Ci sono due ragioni per questo. Prima: la gente ne ha abbastanza dell’assalto industriale delle sostanze tossiche e degli Ogm. Seconda: la gente si sta rivolgendo all’agricoltura organica e al cibo organico per por fine alla guerra tossica contro la Terra e contro i nostri corpi.
In un tempo in cui l’industria ha messo gli occhi sui super-profitti da ricavare dal monopolio dei semi mediante semi brevettati e semi ingegnerizzati con geni tossici e geni che rendano le colture resistenti agli erbicidi, la gente cerca libertà alimentare nel cibo organico, non industriale. La rivoluzione alimentare è la più grande rivoluzione dei nostri tempi e l’industria è nel panico. Così agita la propaganda, nella speranza che, sulle orme di Goebbels, una menzogna ripetuta centinaia di volte si trasformerà in verità. Ma il cibo è diverso. Siamo quel che mangiamo. Siamo i nostri barometri. I nostri campi e i nostri corpi sono i nostri laboratori, e ogni contadino e ogni cittadino è uno scienziato che sa bene come una cattiva agricoltura e un cibo cattivo colpiscano la terra e la nostra salute e come la buona agricoltura e il buon cibo guariscano il pianeta e la gente.
Un esempio dei miti a proposito dell’agricoltura industriale si trova sul The Tribune dell’8 agosto 2012, a firma di Bob Johnston, «I grandi miti organici», che cerca di sostenere che i cibi organici non sono più sani o migliori per l’ambiente, e sono pieni di pesticidi. In un’epoca di cambiamento climatico e di scarsità, questi cibi sono un lusso che il mondo non può permettersi. Questo articolo era stato pubblicato sull’Independent ed era stato confutato, ma è stato utilizzato dal Tribune senza la confutazione.
Ogni argomento di questo articolo è truffaldino. Il mito dominante dell’agricoltura industriale è che essa produce più cibo e risparmia terreni. Tuttavia quanto più l’agricoltura industriale si diffonde, tanti più affamati abbiamo. E quanto più l’agricoltura industriale si diffonde, tanta più terra viene arraffata.
La produttività dell’agricoltura industriale è misurata in termini di «resa» per acro, non di produzione complessiva. E l’unico fattore preso in considerazione è il lavoro umano, che è abbondante, e non le risorse naturali, che sono scarse.
Un sistema di agricoltura affamato e distruttivo di risorse non risparmia i terreni, è un sistema che ne reclama. E’ per questo che l’agricoltura industriale sta procedendo a un grande accaparramento planetario di terreni. Esso sta portando alla deforestazione delle foreste pluviali dell’Amazzonia per la soia e dell’Indonesia per l’olio di palma. E sta alimentando un accaparramento di terreni in Africa, rimuovendo i pastori e i contadini. L’agricoltura industriale è responsabile del 75% dell’erosione della biodiversità, del 75% della distruzione dell’acqua, del 75% del degrado dei suoli e del 40% dei gas serra. E’ un fardello troppo pesante per il pianeta. E come dimostrano i 250.000 suicidi di contadini in India, è un fardello troppo pesante per i nostri coltivatori. (…)
L’agricoltura industriale è un sistema inefficiente e causa di sprechi che usa intensivamente la chimica, i combustibili fossili e i capitali. Distrugge il capitale della natura da un lato e il capitale della società dall’altro, rimuovendo le piccole fattorie e distruggendo la salute. Utilizza dieci unità di energia in ingresso per produrre un’unità di energia in uscita sotto forma di cibo. Questo spreco è amplificato di un altro fattore di dieci, quando gli animali sono tenuti in stalle-fabbrica, nutriti a grano invece che a erba in sistemi ecologici liberi. Rob Johnston celebra come efficienti queste prigioni di animali, ignorando il fatto che ci vogliono sette chili di grano per produrre un chilo di carne, quattro chili di grano per produrre un chilo di maiale e 2,4 chili di grano per produrre un chilo di pollo. La deviazione delle granaglie all’alimentazione [animale] è una delle principali cause della fame mondiale. E gli acri che stanno dietro la produzione di questo grano non sono mai conteggiati. L’area utilizzata dall’Europa al di fuori dei propri confini per produrre alimenti per le proprie stalle-fabbrica è sette volte quella interna.
Le piccole coltivazioni del mondo forniscono il 70% del cibo e tuttavia sono distrutte nel nome della bassa «resa». L’88% del cibo è consumato all’interno della stessa eco-regione o paese in cui è coltivato. L’industrializzazione e la globalizzazione sono l’eccezione, non la norma. E dove l’industrializzazione non ha distrutto le piccole coltivazioni e le economie alimentari locali, la biodiversità e il cibo sostengono la popolazione. La biodiversità in agricoltura è conservata dai piccoli contadini. Un rapporto dell’Etc afferma che «i contadini alimentano e allevano 40 specie di bestiame e quasi 8.000 razze. I contadini coltivano anche 5.000 colture selezionate e hanno donato più di 1,9 milioni di varietà di piante alla banca mondiale dei geni. I pescatori contadini allevano e proteggono più di 15.000 specie d’acqua dolce. Il lavoro dei contadini e dei pastori assicura una fertilità del suolo di valore 18 volte maggiore di quella dei fertilizzanti sintetici forniti dalle sette imprese maggiori» (…).
Quando questo sistema alimentare ricco di biodiversità è sostituito da monocolture industriali, quando il cibo è reso merce [per la speculazione], il risultato è la fame e la malnutrizione. Dei 6,6 miliardi di abitanti del mondo, 1 miliardo non ha abbastanza cibo; un altro miliardo potrebbe ricevere sufficienti calorie ma non sufficiente nutrizione, specialmente micronutrienti. Altri 1,3 miliardi sono obesi e soffrono di malnutrizione per essere condannati a cibo artificialmente a buon prezzo, ricco di calorie e povero di nutrienti. Metà della popolazione del mondo è vittima della fame strutturale e dell’ingiustizia alimentare nel sistema alimentare dominante. Abbiamo avuto la fame in passato, ma era causata da fattori esterni: guerre e disastri naturali. Era localizzata nello spazio e nel tempo. La fame di oggi è permanente e globale. E’ una fame per progetto. (…)
(…) L’agricoltura chimica industriale crea fame e malnutrizione sottraendo nutrienti alle colture. Il cibo prodotto industrialmente è una massa nutrizionalmente vuota, piena di sostanze chimiche e di tossine. La nutritività del cibo deriva dai nutrienti del suolo. L’agricoltura industriale, basata sulla mentalità… dei fertilizzanti basati su azoto, fosforo e potassio porta allo svuotamento di micro nutrienti e oligoelementi vitali, come il magnesio, lo zinco, il calcio e il ferro. David Thomas, un geologo diventato nutrizionista, ha scoperto che tra il 1940 e il 1991 le verdure avevano perso, in media, il 24% del magnesio, il 46% del calcio, il 27% del ferro e non meno del 76% del rame (rif. David Thomas, «Uno studio sullo svuotamento minerale degli alimenti disponibili alla nostra nazione nel periodo dal 1940 al 1991». Nutrition and Health). Le carote hanno perso il 75% del calcio, il 45% del ferro, il 75% del rame. Le patate hanno perso il 30% del magnesio, il 35% del calcio, il 45% del ferro e il 47% del rame.
Per ottenere la stessa quantità di nutrimento la gente avrà bisogno di mangiare molto più cibo. L’aumento della ‘resa’ in termini di masse vuote non si traduce in maggior nutrizione. In realtà conduce alla malnutrizione.
Lo Iaastf riconosce che mediante un approccio agroecologico «gli agrosistemi anche delle società più povere hanno il potenziale, mediante l’agricoltura ecologica e l’Ipm [Gestione Integrata della Disinfestazione] di conseguire rese pari o significativamente superiori a quelle dei metodi convenzionali, di ridurre la richieste di conversione dei terreni all’agricoltura, di ripristinare i servizi degli ecosistemi (l’acqua in particolare), di ridurre l’utilizzo e la necessità di fertilizzanti sintetici derivati da combustibili fossili e di insetticidi ed erbicidi violenti». I nostri venticinque anni di esperienza a Navdanya dimostrano che l’agricoltura ecologica organica è l’unica via per produrre cibo senza danneggiare il pianeta e la salute delle persone. Questa è una tendenza che crescerà, indipendentemente da quanti articoli pseudoscientifici siano seminati nei media dall’industria.
Ampi stralci di un articolo pubblicato il 7 settembre da Znetitaly.org (traduzione di Giuseppe Volpe).
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