Quel detenuto ha studiato troppo e potrebbe usare le sue lauree (conseguite durante la carcerazione) e la sua cultura universitaria per andare a rafforzare la sua dimensione criminale. La sconcertante motivazione con cui un tribunale di sorveglianza bolognese ha negato una misura esterna di maggior libertà a un detenuto
Chissà cosa mai avrebbe detto don Milani se avesse letto quell’ordinanza di un tribunale di sorveglianza che, nel negare a un detenuto una misura esterna di maggiore libertà, afferma perentoriamente che quel detenuto ha studiato troppo e potrebbe usare le sue lauree (conseguite durante la carcerazione) e la sua cultura universitaria per andare a rafforzare la sua dimensione criminale.
Tutto ciò è accaduto nella dotta Bologna che vanta una delle università più nobili e antiche della storia italiana. C’è da restare basiti, ma anche un tantino preoccupati.
Non so da quale argomento partire a spiegazione della mia incredulità e di tutta la comunità di Antigone, investita del caso dopo che il detenuto coinvolto aveva manifestato tutta la sua disperazione.
Un’incredulità condivisa da tanti studiosi e giuristi, tra cui il prof. Giovanni Maria Flick, autore insieme alla nostra avvocatessa Francesca Cancellaro del ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani.
Il primo argomento è di natura universale e costituzionale: l’istruzione è un diritto e come tale va trattato; non è mai degradabile a qualcos’altro o addirittura essere soggetta a una valutazione negativa che sa tanto di arbitrarietà decisionale.
Il secondo argomento attiene al campo della politica penitenziaria: l’istruzione e la formazione culturale sono i più limpidi strumenti di emancipazione dalle scelte devianti e non possono mai essere reinterpretati quali segni di pericolosità.
Il terzo argomento è di prevenzione criminale: come possiamo da ora in poi dire ai ragazzi nelle periferie urbane o nelle stesse carceri ‘studiate’ come percorso alternativo a quello criminale, se lo studio, addirittura quello più alto, è considerato negativamente nel percorso educativo?
Il quarto argomento è strettamente giuridico: un provvedimento di questo tipo difetta, se non dimostrato nei dettagli (ad esempio sostenendo che la laurea sarebbe servita a superare il concorso da boss o vicecapo di una qualsiasi organizzazione delinquenziale), di argomenti sostenibili all’interno di una motivazione razionale.
Nelle carceri italiane fortunatamente vi sono tante università – coordinate in un network che svolge un lavoro meritorio – che investono energie umane e strumentali per portare avanti corsi e progetti.
E’ bello sentire da un direttore, come di recente accaduto a Livorno, che vi sono ben dodici detenuti iscritti a varie facoltà, e incontrare detenuti in biblioteca che stavano preparandosi a un corso di storia della radio e della televisione.
Così come è bello sapere che a breve nel carcere romano di Rebibbia penale si aprirà un polo universitario che farà seguito ai tanti già attivi in giro per l’Italia. Non è bello, invece, constatare che ancora non vi sia sulla pena una cultura giuridica condivisa da parte di tutti gli operatori del diritto.
Uno Stato sociale e costituzionale di diritto deve dare a tutte e tutti pari opportunità di studio, deve attraverso l’educazione di massa rompere i blocchi sociali e colmare le disuguaglianze, altrimenti ogni retorica intorno al merito svela il suo amaro sapore classista.
Mio padre con il sorriso ricordava che a sei anni era stato costretto ad andare a lavorare come fioraio perché era stanco di mangiare pane e cipolle. E non è andato oltre la quinta elementare. Io gli sono grato perché mi ha consentito di andare avanti con gli studi in quanto aveva ben chiaro il valore sociale, culturale e politico dell’istruzione.
Un valore che non può essere negato in un’aula di giustizia. La legge è uguale per tutti. L’istruzione deve essere uguale per tutti. Poveri e ricchi, prigionieri e liberi.
Articolo pubblicato anche su il manifesto
PIERA dice
ANNO 2004 AL TRIBUNALE PENALE….di
AVEVO AVUTO DA IMPUTATA, CONTATTO DIRETTO CON LA SEDE PENALE DEL TRIBUNALE DI NAPOLI, ESPERIENZA NON DEL TUTTO SGRADEVOLE, A CAUSA DELLA MIA INSTANCABILE CURIOSITA’ NEL CONOSCERE DA VICINO STRUTTURE DI TAL TIPO CHE, ANCHE PSICOLOGICAMENTE, SONO D’ INSEGNAMENTO AI CITTADINI ESPOSTI, NON SEMPRE CORRETTAMENTE, AI RIGORI DI INDISCRIMINATE REGOLE DI CODICE.
ORA CHE VI PARTECIPAVO DA “ GIUDICE “ SE PUR POPOLARE, NOTAVO AFFINITA’ TRA GIUDICANTE E GIUDICATO PER LA DETERMINAZIONE NELL’ OTTENERE IL MEGLIO DA CIO’ CHE LA LEGGE CI VORREBBE CONSENTIRE .
AL SOLENNE ACCESSO DI NOI GIURATI, BARDATI DI SCIARPE TRICOLORI CHE CI EMOZIONANO, SOVVIENE UN INNATURALE SILENZIO…DEPOSITARI DEL MALE E DEL BENE…UMANI MA, COME QUALUNQUE ALTRO, ESPOSTI…AD EVENTUALI ED INEVITABILI ERRORI DI ORDINARIA VALUTAZIONE…DETERMINANTE APPARE OGNI NOSTRA VULNERABILITA’… RESI CONSAPEVOLI, D’OGNI NOSTRO UMANO LIMITE E RESPONSABILI D’OGNI CONSEGUENTE NOSTRA DECISIONE . ..E PRENDO NOTA, PRENDO NOTA….DI TUTTO… CON PALESE DISAPPUNTO DEI COLLEGHI DI SQUADRA CHE VORREBBERO CONDIZIONARMI, MA PERSISTO… PAVENTANDO OGNI EVENTUALE ERRORE !