Le cicatrici lasciate nelle coscienze di mezzo mondo dalla persecuzione secolare della popolazione romaní sono lì a raccontare anche la sua inaudita capacità di resistenza. La piaga che le ha prodotte, l’anti-ziganismo, non s’è rimarginata, mai. E pensare che nel 1929, perfino nella democratica Repubblica di Weimar, quattro anni prima della nomina a cancelliere di Adolf Hitler, la piaga erano loro, gli zingari. Lo testimonia un centro di studi e controllo rinominato “Ufficio centrale per la lotta contro la piaga zingara”. Annamaria Rivera lo ricorda in questo prezioso ed essenziale compendio dalla storia d’una persecuzione infinita – dal Porajmos della Germania nazista e dei suoi alleati alle miserie del razzismo italico contemporaneo – che richiama alla memoria la profondità di un dolore ancora vivo. Il 5 ottobre scorso, a Strasburgo, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione sulla situazione dei Rom nella Ue. Gli Stati vengono invitati ad adottare “misure efficaci” contro la segregazione dei migranti e rifugiati rom in fuga dalla guerra in Ucraina al fine di garantirne la libera circolazione, ma anche a proteggerli dalle “espulsioni illegali e dalla discriminazione nell’accesso ai servizi essenziali, soprattutto negli alloggi, nell’istruzione e l’occupazione”. Quell’invito è rivolto anche a chi sta per affidare le sorti del governo italiano a Giorgia Meloni, signora che ha sempre avuto le idee chiare su come vadano contrastate le discriminazioni e come, in particolare i Rom, possano affermare i propri diritti. Abbiamo tratto, da un post del 2015 della sua pagina ufficiale, un esempio illuminante di cosa possano aspettarsi gli “zingari” che vivono in questa “nazione”, come piace dire alla signora, nei prossimi mesi: “Ieri a Bologna i rom hanno manifestato per chiedere di non essere discriminati. E mi chiedo: ma è discriminazione spendere milioni di euro per dei campi rom nei quali lo stato non può neanche entrare, o per le case costruite appositamente dalle amministrazioni di sinistra e date ai rom a 35 euro al mese? È discriminazione poter mandare i propri figli a mendicare senza che alla famiglia responsabile del bambino venga tolta la patria potestà? È discriminazione rubare senza finire in galera? È discriminazione pretendere che per comprare il biglietto della metro si debba pagare il pizzo ai rom appostati davanti alla macchinetta? Ma contro cosa manifestate???”

Soltanto nel corso degli ultimi decenni la persecuzione e lo sterminio nazi-fascisti della popolazione romaní (rom, sinti e caminanti) sono divenuti oggetto di studi e di commemorazioni in occasione del Giorno della Memoria (27 gennaio). D’altronde, basta dire che nel corso dello stesso Processo di Norimberga ai superstiti del Porajmos (traducibile dalla lingua romaní come “grande divoramento” o “devastazione”) fu rifiutata la costituzione quale parte civile.
Eppure a esserne vittime furono centinaia di migliaia di loro. Alcune/i studiose/i − in particolare il rom Ian Hancock, ottimo linguista ma anche strenuo attivista, nonché direttore del Romani Archives and Documentation Center, presso l’Università del Texas − sostengono si tratti di un numero che si aggirerebbe tra le 500mila e il milione e mezzo di martiri, se si comprendono coloro che perirono nel corso delle fucilazioni di massa in tutte le aree occupate dai nazisti, in particolare nei paesi baltici e balcanici, a opera non solo dei nazisti, ma anche dei collaborazionisti locali.
Quanto all’Italia fascista, già nel 1926 il ministero dell’Interno emanò una circolare volta a “epurare” il territorio nazionale dalla presenza di una minoranza considerata pericolosa “per la sicurezza e l’igiene pubblica” nonché per lo stile di vita: degli “eterni randagi privi di senso morale“, come li avrebbe definiti Guido Landra, tra i più noti firmatari del Manifesto della Razza.
Con le leggi per “la difesa della razza” e l’entrata in guerra dell’Italia, si passò rapidamente dalle pratiche di schedatura, detenzione ed espulsione a quelle di persecuzione e di deportazione, preceduta dall’internamento in lager riservati agli “zingari”: ve ne furono nei comuni di Agnone, Berra, Bojano, Chieti, Fontecchio negli Abruzzi, Gonars, Prignano sulla Secchia, Torino di Sangro, Tossicia, ma anche nelle isole Tremiti…

Il regime hitleriano, com’è ben noto, portò alle estreme conseguenze l’anti-ziganismo, che era assai diffuso, anche in forma istituzionale, perfino nella democratica Repubblica di Weimar: per fare un solo esempio, nel 1929 un centro di studi e controllo su questa minoranza, fu rinominato e convertito in Ufficio centrale per la lotta contro la piaga zingara. Subito dopo l’avvento del Terzo Reich, nel 1933, fu promulgata la legge Per la prevenzione di progenie affetta da malattie ereditarie, che introdusse la pratica della sterilizzazione forzata anche per rom e sinti, perfino per donne incinte e ragazze/i, con esiti in non pochi casi letali.
Nel 1935 si aggiunsero le leggi razziste di Norimberga, che privarono la minoranza romanì della nazionalità e di qualsiasi pur elementare diritto. Tre anni dopo, una circolare emanata da Heinrich Himmler faceva riferimento alla “soluzione finale della questione zingara“ e ordinava la schedatura di tutti gli “zingari”, che fossero nomadi o stanziali.
Già a partire da dicembre del 1941 cinquemila “zingari”, provenienti dal ghetto di Łódź, furono gasati nel campo di sterminio di Chelmno, al pari degli ebrei. Infine, il 16 dicembre 1942, Himmler firmò l’ordine d’internamento dei rom e dei sinti tedeschi nello Zigeunerlager del campo di Auschwitz-Birkenau, un lager nel lager. Qui anche dei bambini “zingari”, oltre a quelli ebrei, sarebbero stati selezionati per essere sottoposti agli orrendi esperimenti pseudo-scientifici di Josef Mengele.
Nondimeno gli “zingari” vendettero assai cara la pelle. Furono loro gli attori dell’unico episodio di resistenza compiuto in un lager. Il 16 maggio del 1944, avuta notizia dello sterminio imminente, un folto gruppo d’internati nello Zigeunerlager, armato di pietre e bastoni, riuscì a tenere testa alle SS, tanto da ucciderne undici e ferirne un buon numero. La loro rivolta durerà ben tre mesi, fino alla “soluzione finale”. Lì furono in 19.300 a perdere la vita: 5.600 finirono gasati; 13.700 morirono per fame, per malattie, per gli esiti delle sperimentazioni compiute dall’Angelo della Morte.
Ciò nonostante nei processi di Norimberga neppure si citò lo sterminio di rom, sinti e caminanti e nessun testimone “zingaro” fu chiamato a deporre.

Tuttora, specialmente in Italia, rom, sinti e caminanti, sbrigativamente chiamati “zingari”, costituiscono la minoranza più disprezzata e stigmatizzata, discriminata ed emarginata, addirittura segregata: sono, si potrebbe dire, le vittime strutturali del razzismo. Si tenga conto che l’ordinamento italiano non contempla alcuna norma che riconosca questa popolazione quale minoranza etnico-linguistica, in quanto tale titolare di diritti poiché tutelata, tra l’altro, dall’art. 6 della Costituzione repubblicana.
Si aggiunga che l’Italia è il solo Paese in Europa ad aver elevato a vero e proprio sistema i cosiddetti campi-nomadi: materializzazione perfetta della discriminazione nonché del pregiudizio che vuole che essi siano nomadi per natura e vocazione. Si tratta di un sistema di ghetti, per lo più degradati e collocati in periferie urbane estreme, esse stesse degradate, che viene organizzato e sostenuto pubblicamente allo scopo di segregare gli “zingari”, privandoli della possibilità di lavorare, partecipare alla vita italiana, avere contatti e rapporti con la società maggioritaria.
Oggi le istituzioni, a loro dire, mirano alla chiusura e al superamento dei “campi-nomadi”. Ma, a giudicare dalle azioni effettivamente intraprese, l’esito è quello di chiudere i campi cacciando via gli “zingari”, senza alcuna iniziativa che ne favorisca l’inclusione nello spazio urbano.

Il repertorio di pregiudizi, atti discriminatori, violazioni di diritti umani fondamentali, minacce e aggressioni ai danni di rom, sinti e caminanti, fino all’incitamento al linciaggio da parte di alcuni soggetti istituzionali e rappresentanti di partiti politici, è talmente vasto che non basterebbero alcuni tomi a contenerlo.
Fra le altre cose, eventi abituali nella vita dei rom, dei sinti e dei caminanti sono le irruzioni nei “campi-nomadi” delle forze di polizia, condotte con metodi tanto brutali da somigliare a rastrellamenti, nonché gli sgomberi forzati, la sistematica distruzione dei loro insediamenti e delle loro cose, spesso seguita dalla deportazione.
In Italia da alcuni anni la politica istituzionale anti-zigana, basata su sgomberi e deportazioni, si compie attraverso la periodica decretazione dello stato di emergenza, una misura che dovrebbe essere riservata solo ai casi di gravi calamità naturali quali i terremoti. L’”emergenza-nomadi” è in sostanza una misura che assimila a una catastrofe la presenza di poche migliaia di “indesiderabili”: basta pensare che i rom presenti a Roma, città che s’illustra per questo genere di politica, sono poco più di 4.500 persone su 2.874.605 abitanti residenti, vale a dire circa l’1,5 per mille della popolazione.
Pochi dati fanno risaltare, per contrasto, di quante dicerie e leggende si nutrano la discriminazione e segregazione dei rom, sinti e caminanti, a cominciare dal mito del nomadismo: l’80% dei cosiddetti zingari dopo il XVIsecolo non si sono mai allontanati dal proprio paese europeo di residenza; in alcune regioni italiane essi sono stanziali almeno dal XV secolo.
Secondo dati recenti, sarebbero tra le 110mila e le 170mila le persone che s’identificano come rom, sinti o caminanti. Di loro circa 70mila sono di nazionalità italiana, per lo più discendenti da famiglie giunte in Italia nel tardo Medioevo. Gli altri provengono in gran parte da paesi dell’Est-Europa, soprattutto dalla Romania, quindi in quanto tali “regolari” e inespellibili.
Checché ne pensi Beppe Grillo, che già nel 2007 definiva “una bomba a tempo” i rom di nazionalità romena e proponeva d’interdire loro la libera circolazione nell’Ue, onde salvaguardare “i sacri confini della Patria”.
A vivere nei campi sono in 26mila, dei quali 10mila in campi non autorizzati. Più della metà di loro è costituita da bambini/e e ragazzi/e al di sotto dei 16 anni. La fame, il freddo, l’emarginazione, le malattie, i roghi, la discriminazione negano loro il diritto di invecchiare: solo il 2% raggiunge i 60 anni di età.
Eppure la gran parte di questa minoranza, come ho detto, è parte integrante della popolazione e della storia italiane. Per limitarci a un dato relativo alla storia contemporanea, basta ricordare che numerosi rom e sinti parteciparono alla Resistenza contro il nazifascismo. Fra i pochi dei quali conosciamo le biografie, si può citare il sinto piemontese Amilcare Debar, detto Taro, scomparso il 12 dicembre 2010.
A soli diciassette anni Taro fu staffetta partigiana; poi, sfuggito fortunosamente alla fucilazione, divenne partigiano combattente nelle Langhe e militò, con il nome di “Corsaro”, nel battaglione “Dante di Nanni” della 48ma Brigata Garibaldi, al comando di Pompeo Colajanni. Rastrellato dai nazisti nel 1944, fu deportato a Mathausen e ad Auschwitz e liberato nel 1945.
Nel dopoguerra egli fu rappresentante del suo popolo alle Nazioni Unite, a Ginevra.
Benché onorato e pluridecorato, Taro, al pari di altri rom, sinti e caminanti sopravvissuti ai campi di sterminio, visse fino alla fine dei suoi giorni in un “campo-nomadi”.

Nel 2008 (ministro dell’Interno Maroni), nel corso di una vasta campagna istituzionale mirante alla schedatura “etnica” di massa, con rilevamento delle impronte digitali, dei rom, sinti e caminanti presenti sul territorio italiano, compresi i bambini, furono schedati: anche ex-deportati ed ex-internati nei lager fascisti e nazisti.
Oggi, niente di buono per loro c’è da aspettarsi dal governo decisamente di destra che si profila. Basta ricordare che, appena insediatosi, Matteo Salvini, annunciando un censimento “etnico” alla maniera di Maroni, ne sparò una delle sue: “Se gli stranieri irregolari vanno espulsi, i rom italiani purtroppo te li devi tenere a casa”. Quanto alla famigerata legge sulla sicurezza, da lui fermamente voluta, rafforzando ed estendendo il “Daspo urbano” e altri dispositivi repressivi, essa ancor più ha esposto la minoranza romaní a soprusi, discriminazioni, deportazioni.
Versione ampliata e aggiornata di: Annamaria Rivera, “Il Porajmos, lo sterminio nazista di rom e sinti, ci sia di lezione per l’oggi”, in: blog di “MicroMega” online, 25 gennaio 2018
In questi giorni bui, di umiliazione per le istituzioni repubblicane italiane, è essenziale chiedersi chi, tra lə primə, potrebbe pagare il conto di questo riassetto di rapporti di forze, che rappresenta un pericolo anzitutto per gruppi e soggetti non conformi e storicamente costruiti come “altrə” rispetto all’edificio sociale della nazione. Grazie Annamaria, per tornare a occuparti della condizione di rom, sinti e caminanti.
Questa estate, per ragioni anche contingenti, ho letto tre libri che vi consiglio, per chi volesse approfondire la questione, da prospettive e chiavi di lettura diverse: il primo e più recente è “I rom. una storia” di Sergio Bontempelli, che fa un punto ragionato soprattutto sulle politiche italiane, statali e locali, che hanno gestito negli anni, dopo averla costruita, l'”emergenza rom”; “Sono rom e ne sono fiera” di Anina Ciuciu è un memoir denso di ricordi e riflessioni vissute sulla propria pelle da una giovane rom rumena, che ha fatto un percorso straordinario di crescita, attraversando con la sua famiglia in fuga la Romania di Ceausescu, la guerra in Kosovo, il Casilino 900 e finendo per laurearsi in diritto alla Sorbona; “Tzigari” di Giuseppe Levakovich e Giorgio Ausenda, pubblicato nel lontano 1975, è invece un imperdibile viaggio nel tempo, raccontato in prima persona da un rom croato d’origine, cresciuto in Italia, che ha attraversato la storia del fascismo, della resistenza e della ricostruzione postbellica.
Un grazie ad Annamaria Rivera per la sua dettagliata analisi della situazione dei rom specie in Italia.
E un grazie a Leonardo De Franceschi per i suoi suggerimenti di lettura; ho letto solo il libro di Anina Ciuciu e l’ho trovato molto interessante.
Da non perdere l’articolo di Dino Petruzzelli su Il Fatto Quotidiano dell’11 settembre 2022, in cui si parla di Mariella Mehr: la sua storia di poetessa “zingara” tolta alla madre e reclusa non deve essere ignorata. E per chi voglia conoscerla meglio: “Ognuno incatenato alla sua ora”, raccolta delle sue poesie pubblicate da Einaudi e “La bambina” e “Il marchio”, pubblicati da Fandango Libri.
Quando nell’esporre dati e analizzare la storia si riesce (anche) a infondere sentimenti ed emozioni si è in presenza di Arte, nel senso più ampio e completo possibile.
Ahimé nel nostro mondo (europeo, occidentale…) si verifica da anni una crisi morale e di valori fondamentali. Si rinuncia in un dietro front che investe tutti ai diritti fondamentali, si tenta di riscrivere “Sacre” formule in senso deteriore. Ciò di cui non ci si accorge (e la bellezza dei tuoi articoli Annamaria è riportarci con i piedi per terra con feroce grazia…) è che il nemico di turno, la “minoranza” additata, serve a far digerire poi amare pillole che ci riguardano tutti. Stiamo perdendo i valori, l’essenza della nostra società (che di per sé è storicamente cangiante) proprio per la paura di perderla.
Un grande grazie ad Annamaria Rivera, che riporta l’attenzione su questioni segregative da affrontare nel quotidiano, al di là di ogni deriva emergenziale ed eccezionale. Grazie soprattutto per aver scritto con estrema chiarezza e sincero desiderio divulgativo. L’articolo è una lucida sintesi di una storia troppo spesso percepita come aliena, ma che è profondamente radicata nei cuori dell’Europa. Le ombre di questo recente passato si dissolvono nelle nostre coscienze, mostrandosi nitide negli spazi della nostra contemporaneità. Dall’articolo si intuisce che questo recente passato, sotto sotto, non sia mai finito. Anzi: ogni azione politica continua ad avere un peso enorme nel riprodurre lo spossessamento materiale e simbolico di questa “galassia di minoranze”. Ciò, al contempo, mostra la grande responsabilità di ognuno di noi, anche fuori dalle istituzioni. In poche parole: si può e si deve cambiare (senza l’arroganza di paternalismi salvifici di vario genere), anche a partire da questi importanti spazi virtuali di confronto, che offrono possibilità di arricchimento notevole.
A tal proposito, ringrazio tutti quanti per gli ulteriori inviti di lettura. Colgo l’occasione per segnalare altri due lavori (forse già arcinoti, scusate) che per me sono stati utili: “I rom d’Europa: una storia moderna” (2004) di Leonardo Piasere e “Racial cities: Governance and the segregation of Romani people in urban Europe” (2017) di Giovanni Picker.
Grazie per mettere sapientemente in luce l’identità di popolazioni presenti nelle nostre città, poco considerate. Molti non sanno (io non sono tra questi) che i nazisti perseguitarono e eliminarono Sinti e Rom ?