A cosa possono servire le discussioni sulla guerra nelle classi della scuola primaria? Quale il ruolo dell’insegnante? Cosa emerge dalla trascrizioni dei pensieri di bambini e delle bambine? Appunti di un maestro
Flash mob per la pace A Badia Calavena (Verona), promosso da maestre e maestri che hanno accolto il progetto dei Pacifici. Foto di Luciana Bertinato
Mai come in queste ultime settimane il mondo dell’informazione mi è parso ostile, carico di pseudoevidenze e di confusione, incapace di proporre una comunicazione razionale, che si mostrasse consapevole dei limiti di cui è portatore, per nulla impegnato a fornire avvertenze per mistificare il meno possibile.
Cercare informazioni parziali ma non capziose è divenuto molto faticoso, occorre dribblare la superficie, esercitare la critica delle fonti dove si riesce, fare ricerca cercando di ignorare la quantità crescente di pseudo verità che ci sommerge quotidianamente. Il senso di spaesamento è molto forte.
In classe, una terza, con le bimbe e i bimbi parliamo spesso di questa guerra, ascolto quello che hanno sentito e che raccontano. Io ascolto e loro parlano, a volte faccio domande, intervengo molto raramente per spiegar loro alcune cose.
Abbiamo aperto la discussione già sei volte, la prima volta R. ci assicurava di aver sentito chiaramente che “hanno parlato i presidenti” , che “adesso sono in pace”, mentre due giorni dopo N., appena posati gli zaini, ci informava che “alle sei hanno cominciato a sparare delle bombe”.
Sono discussioni molto ricche, una vera miniera di conoscenze, non sulla guerra, ma su come questa guerra entra nelle menti dei giovani, come si infiltra, per capire quali aspetti di questa sovrapproduzione di comunicazione trovano recettori attivi nelle nostre classi.
Sono discussioni che credo servano ai bambini e alle bambine a esorcizzare paure, a confrontarsi con i loro pari senza timore di non essere all’altezza, a costruire una propria opinione anche attraverso ciò che ascoltano dai pari. Nella discussione in classe ci si esercita a diventare società, micro-società. Credo anche che parlare e ascoltare li possa aiutare a capire di essere nella storia, a posizionarsi in un presente che diventa storia (un esercizio che anche noi adulti dovremmo fare di più).
Il colore della guerra
Nelle trascrizioni dei loro pensieri sono sempre presenti la paura e l’inquietudine. Ad esempio J. i primi giorni chiedeva: “moriremo se vengono qua?” e N. a sua volta: “se fanno la terza guerra mondiale, significa che morirà tutto il mondo?”. Così M. chiede: “cos’è la guerra mondiale?”. Io allora penso: “Questa la so, la posso provare a spiegare”, ma non occorre, ci pensa S.: “è una guerra dove tutti i paesi si scontrano e fanno la guerra” e N. aggiunge: “e dove tipo tutti fanno la guerra e non vogliono far pace”; tutto chiarito.
Ma che colore ha la guerra? Grigio. Lo spiega bene N. “le strade dell’Ucraina erano tutte grigie e malandate”, e T. “In Ucraina è quasi tutto spaccato, tutto grigio”.
Le informazioni di base comunque arrivano, mi pare quasi un miracolo: S: “è la Russia che attacca l’Ucraina” J: “la Russia ha iniziato a fare la guerra perché è un paese molto grande e invece l’Ucraina è un paese piccolo, lo voleva prendere e così popolava anche l’Ucraina”. Ma ci sono anche i dubbi, B.: “Io non ho capito chi ha lanciato le bombe: l’Ucraina o la Russia?”.
La guerra moderna è ormai una guerra ai civili. R: “Le mamme con i bambini possono andare in altre città invece i maschi devono rimanere a combattere con la Russia”; N “i bambini dell’Ucraina si sono messi in un posto chiuso così quando la Russia bombarda almeno loro sono al sicuro”. Qui anch’io ho qualcosa da raccontare: la mia mamma che andava in cantina, o nel rifugio, quando la guerra era qui.
Cosa c’entra il Canada
Da alcuni arrivano ragionamenti complessi, ne cito solo uno di M.: “La Cina è più debole degli Stati Uniti e la Russia più forte dell’Ucraina. Quindi se gli Stati Uniti aiutano l’Ucraina e la Cina aiuta la Russia sono quasi alternati [sic], alla pari”. E anche informazioni che non circolano nei media mainstream: “l’Ucraina ha bombardato una casa della Russia” dice H.
Abbastanza chiaro anche l’insieme delle alleanze : “l’Ucraina è venuta in Europa” dice A.; M: “l’America sta aiutando l’Ucraina” e N.: “… e la Cina sta dando supporto alla Russia”, “anche quelli della Francia sono andati a aiutare l’Ucraina”.
Qualcuno si azzarda a fare proposte per la risoluzione del conflitto, come B: “l’Ucraina poteva dare la terra alla Russia così almeno facevano pace”, o J: “ma invece di bombardare possono parlare tra di loro”, e M: “potrebbero fare la pace”.
Ogni tanto penso di avere delle cose da dire, per aiutarli a capire, e poi mi accorgo che ero io a non averli capiti. Ad esempio V.: “Perché i russi non combattono con il Canada?” Allora spiego che queste guerre si fanno con i Paesi confinanti, sono guerre di conquista del territorio; poi a casa ci penso e mi rendo conto che intendeva dire: “Perché i russi che sono grandi e potenti non combattono con una nazione grande e potente sul planisfero come loro?”
Sbaglio anche con R. che dice che anche dall’Italia sono partiti dei soldati per aiutare l’Ucraina; io inizio a spiegargli che non è così, ma subito mi viene il dubbio, poi penso ai volontari e mi fermo, Rettifico: “è possibile, ma non i militari dello Stato” – e aggiungo: “credo”.
Da quali pulpiti
Si parla anche dei profughi. T: “ Al lavoro di mio padre stanno arrivando delle famiglie dell’Ucraina per lavorare”. Raccontano anche degli effetti economici della guerra, con alcune scorciatoie di ragionamento (che poi cerco di chiarire): “Adesso nei supermercati non ci sono farina olio e altre cose perché altri stanno portando il cibo all’Ucraina”.
Come avete saputo queste cose? Mi azzardo a chiedere.
“Io ho visto in TV” risponde T., anche J.; “sui telegiornali” dice N. Ma agiscono molto sui bambini anche le fonti digitali, sdoganate per i piccoli dai recenti lockdown della pandemia: “Ho visto una youtuber…” dice M., “ io con mia cugina siamo andati su TikTok e abbiamo visto le navi e tutti i carri armati” aggiunge N che mi chiede di correggere perché avevo trascritto TikTok con la “c”. B.: “La mamma ha visto sul telefono…”. Stimoli arrivano anche da informazioni episodiche, occasionali: “la madre di una mia amica ha detto…”.
Ognuno di loro prova a costruire la sua idea di guerra mettendo insieme le fonti di cui dispone, provando a dare un senso a quello di cui viene a conoscenza, con le difficoltà che abbiamo anche tutti noi adulti.
A me che insegno, queste brevi discussioni servono sia a capire chi ho di fronte, sia ad aiutarli a prendere la parola; ma soprattutto mi sembra di vedere in loro lo specchio della mia difficoltà conoscitiva, il mio spaesamento. Nelle loro frasi approssimative ma pertinenti vedo riflesso me stesso, capisco quanto sia intricato il groviglio informativo che pesa su di me.
La cosiddetta libera informazione dei nostri giorni può essere davvero un ostacolo enorme alla comprensione.
Grazie maestro Gianluca. Un maestro che ascolta i suoi alunni è già un grande esempio di come poter evitare le guerre. In questa guerra anche di parole ascoltare e rendersi capaci di tacere è la sfida più grande.
Buona scuola.
Ester, maestra sospesa e ora segregata dai suoi bambini .