Qualcuno, nei vicoli di Napoli, ha tirato giù un paniere e ci ha messo su un cartello per dire che, pure dal balcone, si può essere di aiuto a chi vive per strada. Qualcun altro è andato più in là, ha evocato lo spirito del Caffè sospeso e ha dato forma a una nuova creatura, la Spesa sospesa, che ha attecchito ovunque. Un fiume spontaneo e anonimo di solidarietà. Da una decina di anni, in realtà, come più volte raccontato su Comune, l’antica pratica ribelle all’economia del Caffè sospeso – lasciar pagato un caffè al bar per uno sconosciuto – è stata ripresa da una sottovalutata rete di sette piccoli festival (tra cui, Valsusafilmfest, Riaceinfestival e Lampedusainfestival), uniti per un reciproco mutuo soccorso. Non occorre attendere la fine della pandemia per creare una società diversa

Nata in tempo di guerra, l’usanza del Caffè Sospeso è tornata di moda in questo scorcio di secolo ventunesimo, come antidoto proletario a una tragedia che guerra non è o, almeno, ci hanno spiegato, non va chiamata così, perché la guerra è una cosa ben più seria. Anche se di morti ce ne sono tanti, ma proprio tanti.
La pandemia che ha svuotato le strade del mondo ci ha impedito di reagire alla maniera che il popolo ritiene da sempre più congeniale in questi casi, dandosi cioè la mano e abbracciandosi, per regalarsi solidarietà. Ora non è possibile, ora è il tempo del distanziamento sociale. Ok, stiamo a casa. Eppure deve esserci un modo di aiutarsi che non sia quello di fare una videochiamata. State sicuri, c’è ed è anche ricco di fisicità, non è virtuale. Qualcuno, nei vicoli di Napoli, ha tirato giù un paniere e ci ha messo su un cartello per dire che, pure dal balcone, si può essere di aiuto a chi vive per strada. Qualcun altro è andato più in là, ha evocato lo spirito del Caffè Sospeso e ha dato forma a una nuova creatura, la “spesa so-spesa”, che ha attecchito nelle regioni del sud prima di essere nuovamente esportata in tutt’Italia,
E così, si torna a parlare di questa vecchia abitudine partenopea di fare dono a uno sconosciuto, ma stavolta è diverso. Non si tratta più di un caffè che si può consumare nel brusio di un bar e andar via, senza lasciare traccia. Stavolta il fautore della solidarietà non è più un barman vecchio e sornione che squadra l’avventore e ne indovina le scarpe da tennis sotto la giacca consunta. Oggi la “chiave dell’acqua” è il bottegaio che raccoglie le confidenze delle famiglie, che conosce palmo a palmo la geografia del quartiere, dei bassi, della gente nascosta dietro una finestra semichiusa; è lui il confessore della precarietà cronica di un single, di un capofamiglia carcerato o disoccupato, dei debiti contratti dalla anziana vedova dirimpettaia, della mamma chiusa in casa col figlio disabile o malato di mente, di una coppia giovane con il frigo vuoto che non sa a chi appellarsi per il latte ai bambini, di un lavoratore al nero che non ha più scale da pulire.
E così, improvvisamente, dopo gli applausi alla sanità pubblica, abbiamo riscoperto anche i piccoli commercianti, quelli che fanno ancora credito e ti procurano quel prodotto che non si trova più, comprese le mascherine pezzottate e l’amuchina quasi originale. Salumieri, macellai, ferramenta, verdumai e panettieri hanno recuperato punti preziosi sui loro diretti concorrenti che sono i supermarket di catene francesi e padane, luminosi, scintillanti e assortiti, con “gondole” che trasudano salmone e formaggi di ogni provenienza.

In fatto di umanità, questo esercito di piccoli imprenditori, condannati fino a ieri a scomparire per effetto di una globalizzazione che non lascia scampo, ha preso una bella rivincita a suon di sentimenti, muovendosi come rianimatori nelle corsie dei condominii, laddove piccoli appartamenti silenziosi nascondono fragilità sociali che sfuggono ai censimenti e alla dichiarazione dei redditi. Il piccolo esercente arriva fin dentro queste stanze dimenticate, rintraccia i suoi perduti avventori di cui conosce i gusti alimentari (e pure la marca delle sigarette preferite), distribuisce la frutta fresca, qualche dolce per i bambini e un po’ di pasta, pelati e olio che sono l’ossatura portante del pasto familiare. È un Amazon che non chiede password perché sa già tutto della sua comunità e si mette in moto ogni mattina, senza vergogna di chiedere, a chi passa per il suo negozietto, di aprire il portafoglio e fare quello che lo Stato tarda a fare: riconoscere l’esistenza di una categoria di invisibili, fatti di carne e ossa.
Questa strana macchina improvvisata, questa rete anonima della “spesa sospesa” che non fa capo ai grandi circuiti della solidarietà, si dissolverà con il ritorno alla cosiddetta normalità, pur avendo espresso una forza sociale tellurica e spesso ignorata. Queste “ombre cinesi”, chiamateli pizzicagnoli, fruttaioli, cotecari o casadduogli, ma non chiamateli eroi, non verranno mai intervistati da nessuno e neppure ringraziati pubblicamente, perché la legge del Caffè Sospeso vuole così. Dona e vai, senza mai chiedere chi, come, dove, quando.

L’antica pratica del Caffe Sospeso (lasciar pagato un caffè al bar per uno sconosciuto) nel 2010 è stata ripresa e rilanciata da un’associazione che raccoglieva sette piccoli festival i quali si univano per un reciproco mutuo soccorso. Da questa idea lanciata in tempi non sospetti hanno risposto decine e decide di locali, bar (l’elenco sul sito). In seguito la pratica del Caffe Sospeso si è trasformata in “pane sospeso” in biglietto del “cinema sospeso” ed ora nella “spesa sospesa”. Grazie a tutti
Per la Rete del caffe Sospeso Maurizio Del Bufalo con i territori rappresentati: Marina Café Noir – Cagliari, Valsusafilmfest – Valle di Susa, Cinema e Diritti – Napoli, S/Paesati – Trieste, Riaceinfestival Riace, Filmfestival sul Paesaggio – Polizzi Generosa, Lampedusainfestival- Lampedusa)
Bellissima iniziativa! Esiste un modo per aiutare?
le sezioni soci di Coop Centro Italia (Umbria e provincie di Arezzo, Siena, Rieti e L’Aquila) organizzano la Spesa Sospesa (a beneficio di case famiglia, mense caritas ecc) già dal 2017. Non per rivendicare “primati”, ma solo per sottolineare che non tutti i supermarket luminosi e scintillanti appartengono a catene francesi o a imprenditori padani. Ci sono anche i supermercati che appartengono ai soci di una cooperativa che quindi hanno un legame stretto con il territorio