Dei centri di detenzione per migranti non si parla più. Eppure in Italia esistono da oltre vent’anni, se pur con diversi nomi. Si tratta di non luoghi in cui vengono trattenute persone senza aver commesso un reato, ma semplicemente per non aver rispettato una norma amministrativa sull’ingresso e il soggiorno nel nostro territorio. Oggi i Centri di trattenimento per i rimpatri sono un girone infernale, nel quale i migranti trattenuti vedono spesso violati tutti i loro diritti fondamentali. Ma i Cpr sono diventati anche una frontiera della speculazione e fonte di attrazione per imprese multinazionali. Il rapporto della Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili
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In Italia, dal 1998, esiste una forma di privazione della libertà personale che riguarda solo i migranti. Un trattenimento che deriva non dall’aver commesso un reato ma semplicemente dall’aver violato una norma amministrativa sull’ingresso e il soggiorno nel nostro territorio. In questi ultimi venti anni, sono cambiati i nomi delle strutture di detenzione (CPTA, poi CIE, infine CPR); si sono modificati i termini di trattenimento; si è giunti tra il 2013 e il 2016 a svuotare molti degli allora CIE, grazie alle proteste dei trattenuti e alle denunce della società civile. Tuttavia, come ben sappiamo, il decreto Minniti sull’immigrazione (d.l. n.13/2017) ha dato nuovo vigore alla detenzione amministrativa, prevedendo la creazione di un CPR per ogni Regione.

Venerdì 15 ottobre, come Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili, abbiamo presentato un Rapporto sui CPR, che vuole essere uno strumento ulteriore, che si aggiunge alle Relazioni del Garante nazionale e al costante monitoraggio di alcune importanti associazioni della società civile, per comprendere cosa accade in quei luoghi infernali che sono i Centri di trattenimento per migranti nel nostro Paese. Il Rapporto si chiama Buchi neri – La detenzione senza reato nei Centri di Permanenza per i Rimpatri. Buchi neri perché i #CPR sono luoghi opachi, impenetrabile, che vivono di una strutturale carenza di informazioni istituzionali e dell’impossibilità, da parte della società civile, di accedervi.
Cosa troverete nel Rapporto?
Uno. Un’ analisi dei dieci CPR attualmente attivi sul territorio nazionale (per una capienza complessiva di circa 1.100 posti), indagandone i costi; i soggetti privati che li gestiscono, lo stato delle strutture. Già rispetto a ciò, emerge un primo dato significativo: negli ultimi tre anni, abbiamo avuto gare d’appalto per un valore complessivo di 44 milioni di euro, prelevati dalla finanza pubblica ed attribuiti a soggetti privati per la gestione dei dieci CPR. Se guardiamo a questi soggetti privati che gestiscono tali strutture: (i) oltre alle cooperative sociali, alcune delle quali sono oggetto di inchieste giudiziarie proprio per la mala-gestione dei Centri; (ii) troviamo anche grandi multinazionali (è il caso di GEPSA-ente gestore del CPR di Torino o del Gruppo ORS-ente gestore del CPR di Macomer), che in tutta Europa gestiscono centri di trattenimento o servizi all’interno degli istituti penitenziari. Dunque, è evidente come – anche in Italia – la detenzione amministrativa sia divenuta una “filiera molto remunerativa”, in cui rischiano di verificarsi due diverse tendenze: da un lato, la ricerca da parte delle imprese di una massimizzazione dei profitti; dall’altro, la tendenza dello Stato a minimizzare i costi di gestione. Nel mezzo, ci sono centinaia di uomini e donne che rischiano di essere privati non sono della loro libertà ma anche della loro dignità.
Due. Dal Rapporto emerge chiaramente con i CPR siano dei luoghi drammaticamente inumani, caratterizzati da uno strutturale stato di eccezione. L’eccezione di strutture di trattenimento che molto spesso sembrano non rispettare neanche gli standard fissati dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT). Come dimostrano i casi, approfonditi nel Rapporto, di locali di pernottamento di 20/24 metri quadrati in cui dovrebbero “alloggiare” fino a sette persone o il fatto che in molte strutture (Milano, Torino; Gradisca) i servizi igienici siano privi di porte, anche quando i bagni sono “a vista” nelle stanze di pernotto. Ciò significa che i trattenuti dormono letteralmente accanto al bagno turco, senza che vi sia neanche una porta di separazione, circostanza che già la giurisprudenza ha evidenziato essere un concreto indicatore di trattamento degradante.
L’eccezione di servizi sanitari affidati non al Servizio Sanitario Nazionale ma a dei soggetti privati, ossia agli enti gestori dei CPR, dando vita a una “extraterritorialità sanitaria” che si ripercuote gravemente sull’effettiva tutela del diritto alla salute dei trattenuti. La privatizzazione della sanità nei CPR comporta il serio rischio di piegare l’intervento medico e farmacologico a inaccettabili finalità di gestione interna o di disciplinamento dei trattenuti. Come dimostra l’elevatissima percentuale di popolazione trattenuta cui vengono somministrati psicofarmaci e ansiolitici: es. l’80 per centp a Milano e il 70 per cento a Gradisca. Proprio rispetto a quest’ultimo Centro, un’ex operatrice interna, intervistata da CILD, ha evidenziato come non vi fosse un adeguato monitoraggio nella somministrazione di tali farmaci perché “magari un calmante in più faceva comodo per tenere tutti tranquilli”. Ma, oltre a ciò, nel Rapporto ben si racconta come ogni aspetto del diritto alla salute dei trattenuti sia sistematicamente violato, con l’illegittima detenzione anche di soggetti affetti da patologie fisiche e psichiche che dovrebbero essere ritenute incompatibili con la vita in comunità ristretta. Non a caso, molti dei suicidi che si sono verificati, in questi anni, nei CPR potevano e dovevano essere evitati, trattandosi di persone con evidenti disturbi psichici che non dovevano essere ritenute idonee al trattenimento.
Ci sarebbero tante altre cose da evidenziare, che sono ben trattate nel Rapporto e che palesano come ai migranti trattenuti in queste strutture sia riservato un vero e proprio diritto diseguale: dalla violazione del diritto di informazione e di difesa; passando per il mancato rispetto della libertà di comunicazione fino al mancato avvio, nella maggior parte dei CPR, del piano vaccinale.
Il 20 ottobre, il presidente del consiglio Mario Draghi ha ribadito la necessità di potenziare i rimpatri. Ebbene, attualmente la maggior parte dei trattenuti nei CPR sono cittadini tunisini, che rappresentano anche la maggioranza delle persone rimpatriate nel 2020-2021. Peccato che, dalle testimonianza raccolte nel Rapporto, emerga chiaramente come questi rimpatri di cittadini tunisini siano, in alcuni casi, del tutto illegittimi. Come dimostra quanto raccontato da un’ex operatrice del CPR di Gradisca che ha sottolineato come, in tale Centro, facevano ingresso quotidiano anche venti persone provenienti dalla Tunisia che, nell’arco di due giorni, venivano rimpatriate, senza dare loro la possibilità di richiedere asilo.
Insomma, se vi va, potete dare un’occhiata al Rapporto qui: pdf. I risultati di questa ricerca confermano quello che già sapevamo: i Centri di trattenimento per i rimpatri sono un girone infernale, in cui i migranti trattenuti vedono spesso violati tutti i loro diritti fondamentali. Di più i CPR sono diventati anche una ulteriore frontiera della speculazione e fonte di attrazione per grandi multinazionali. Peccato che si speculi sulla carne viva di centinaia di esseri umani.
…ma queste cose perché devo scoprirle navigando nel web? perché non si trasmettono nelle prime pag dei TG nelle ore di alta audience?