Cittadini e movimenti hanno cominciato a riempire di signifcato il tema della conversione ecologica e sociale del sistema produttivo e dei tessuti urbani. Da Roma a Pisa (foto), passando per Taranto, fioriscono i laboratori pronti a recuperare, riqualificare e riutilizzare spazi dismessi. Sognano e sperimentano, tra pratiche e teorie – tutte da sviluppare, reinventare e intrecciare – come fare un mondo nuovo, qui e ora. Un convegno a Pisa
Sull’urgenza di intervenire per fare fronte ai disastri di vario tipo cominciati e minacciati, tutti, a parole, si dicono d’accordo. Una recente inchiesta di Rassegna sindacale stima in 15.000 le «piccole Taranto», vale a dire i siti industriali potenzialmente inquinati presenti nelle nostre regioni, per non parlare dei luoghi e degli edifici dismessi o dei chilometri di ferrovie abbandonati con tutte le infrastrutture connesse (caselli, stazioni e relativi parcheggi, depositi) presenti ovunque. Il territorio urbano italiano, più di altri paesi, è lacerato da un numero incredibile di ferite. La conversione ecologica e sociale del sistema produttivo e dei tessuti urbani ha però bisogno di idee nuove e di gambe agili per camminnare. Di certo, da un po’ di tempo, in questo impressionante grigiore ci sono due novità: la prima è la consapevolezza che nelle aziende e nelle aree più colpite a livello occupazionale la conversione ecologica è spesso l’unica alternativa praticabile. Insomma, quelle aziende non torneranno più ad aprire e a riassumere per produrre le cose come una volta. La seconda novità è la spinta spontanea che viene da cittadini e movimenti, interessati a percorre sentieri inediti, quelli ad esempio che intrecciano progetti di recupero e autogestione di imprese con la necessità della loro riconversione produttiva, ma anche a discutere l’idea tradizionale di lavoro (qualcosa che si fa solo per un salario) e a mettersi in gioco subito per restituire spazi abbandonati ai cittadini (Roma, ad esempio, è davvero diventata la capitale delle occupazioni di «conversione sociale»).
Su questi temi hanno cominciato a ragionare in tanti e a vari livelli: soltanto a Roma, tra quelli già segnalati su Comune-info, ricordiamo il laboratorio urbano Reset (Riconversione per un’economia solidale ecologica e territoriale, laboratorio al quale aderiscono cooperative e associazioni) e il gruppo di lavoro sulle imprese recuperate (che ha organizzato un seminario e un biblioteca virtuale). A livello nazionale c’è anche la campagna avviata dal Wwf con l’aiuto di docenti universitari ed esperti, Riutilizziamo l’Italia, che invita i cittadini a segnalare aree o edifici dismessi o degradati da recuperare a fini sociali e ambientali (per fortuna casi virtuosi di recupero non mancano, come quelli segnalati in questo articolo Riciclo per caserme e capannoni).
Un’altra città nella quale la spinta dal basso su questo versante è davvero prorompente è Pisa. La crepa aperta dal Progetto Rebeldìa e oggi dal Municipio dei Beni Comuni (leggi I colori del cambiamento) merita di essere conosciuta meglio. Un’ottima occasione è il convegno del 14 e 15 dicembre Recupera, riqualifica, riutilizza. «Sono tanti gli esempi in tutta Europa e nel mondo di grandi aree industriali dismesse che sono state liberate da gruppi di cittadini e cittadine che le hanno restituite alla città e ai suoi abitanti sviluppando i più diversi progetti sociali e culturali – si legge in un messaggio che annuncia la due giorni – Forme di autorganizzazione e di autogestione che hanno ridato vita a luoghi abbandonati da imprenditori, aziende e multinazionali. Luoghi che vengono riutilizzati e destinati dal basso a nuove forme di produzione immateriali ma anche materiali, in cui si riattivano attività sportive, culturali, sociali, forme di cittadinanza attiva e di partecipazione che in alcuni casi vengono anche riconosciute e sostenute dagli enti locali». Anche nelle città italiane e pure a Pisa le aree industriali dismesse crescono a vista d’occhio, del resto «c’è chi chiude perché colpito dalla crisi e chi chiude approfittando della crisi». Grandissime aree vengono lasciate nel degrado, senza alcuna bonifica, e di cui «il privato non risponde in alcun modo»
Venerdì 14 e sabato 15 dicembre saranno due giorni di confronto e discussione proprio su questi temi, su come riqualificare e riutilizzare le grandi aree dismesse, a cominciare da quella liberata il 20 ottobre dal Municipio dei Beni Comuni: l’ex-Colorificio Toscano di proprietà della J Colors, chiuso nel 2009. Queste alcune delle domande intorno alle quali è stato pensato il convegno promosso da Progetto Rebeldìa, Gruppo Regionale Federazione della Sinistra-Verdi e Federazione Prc Pisa: come immaginare una riconversione sociale di questi spazi? Come riattivare nuove forme di produzione dal basso sostenibili e in grado di garantire i pieni diritti di chi vi opera? Come evitare che queste enormi superfici diventino, come troppo spesso accade, oggetto di speculazione immobiliare grazie a varianti urbanistiche fatte «ad hoc»? E ancora è possibile immaginare strumenti legislativi che siano in grado di riconoscere e valorizzare le esperienze di autogestione e promuovere nuove e diverse attività produttive nelle aree industriali dismesse (sul diritto ripensato su questi temi si ragiona anche nel percorso di autoformazione partecipata promosso dal Teatro Valle occupato a partire proprio dal 13 dicembre, leggi Una scuola dei beni comuni)?
A Pisa non rinunciano a tentare di coinvolgere anche gli enti locali, e si chiedono se ad esempio la Regione Toscana, «che ha più volte posto il problema dell’uso futuro di queste aree», potrebbe costruire un percorso serio e innovativo in questa direzione. Si comincia venerdì 14 alle 21 con la proiezione della video-inchiesta Pisa in vendita? Il patrimonio pubblico come bene comune della città realizzato da Pisanotizie, in collaborazione con il gruppo consiliare di Sel-Pisa. A seguire la presentazione del dossier realizzato dal Wwf-Pisa, Progetto Rebeldìa e Unione Inquilini nell’ambito della campagna RiutilizziAmo l’Italia e della mostra fotografica a cura dell’Associazione Imago. Sabato 15, alle 19, si ragiona di Crisi e Rendita: come «difendere» il territorio, il patrimonio pubblico e le grandi aree dismesse, con Fausto Ferruzza (Legambiente), Giorgio Pizziolo (docente presso la facoltà di Architettura di Firenze) e Monica Sgherri, (capogruppo Fds-Verdi Regione Toscana). Nel pomeriggio, dalle 15,30, Verso una proposta di legge per la «riconversione» delle aree produttive contro la speculazione e le delocalizzazioni: intervengono Vezio De Lucia (urbanista), Maurizio Marcelli (Responsabile nazionale ambiente Fiom), Rosa Rinaldi (segreteria nazionale Prc, responsabile Ambiente, territorio e beni comuni) e un esponente del Progetto Rebeldìa.
Per un approfondimento su questi temi, l’archivio di Comune-info mette a disposizione diversi articoli, alcuni li trovate elencati qui di seguito. Al tema delle imprese recuperate è invece dedicato un altro spazio, in continuo aggiornamentoe, ricco di articoli e video, questo Reinventare la vita dal lavoro.
– Agricoltura urbana a Chicago (Lory Rotemberck)
Il quatiere del blues, South Side, oggi abbandonato, diventa una immensa fattoria urbana
– Dove c’era la cava ora c’è un parco
– La conversione ecologica e sociale (Guido Viale)
– Un milione di posti di lavoro (Alberto Castagnola)
– Prove in corso per riparare il mondo (Adriano Sofri)
Riconversione produttiva? No, conversione ecologica. Il pensiero di Alex Langer
– La conversione ecologica e sociale, tra Europa e Appennino (Antonio Castronovi)
– Qui e ora: cambiare si può (Guido Viale)
– Il fiorire della vita, il lavoro e la decrescita (Paolo Cacciari)
– Siamo tutti più poveri. Quasi tutti (Andrea Fumagalli)
Un’analisi su crisi e reddito. Alternative? Riconversione industriale ecologica
– Disoccupazione creativa e saper fare (Franco La Cecla)
– Stop al consumo di suolo (Vezio De Lucia)
– La conoscenza come bene comune (Elinor Ostrom)
– La città inedita (Serge Latouche)
– Un nuovo diritto metropolitano (Ugo Mattei)
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