di Alessandro Ghebreigziabiher*
C’era una volta un confine. E c’era una volta una bambina.
Leggete pure come un bagliore prezioso in viaggio verso la buia terra, un pianeta meraviglioso, crudele, e affascinante, malgrado tutto.
Ma che sia maledetto, laddove si dimostri capace di dividersi su una linea immaginaria incisa sulla carta più per paura, che a ragione, di ciò che conta di più, per noi tutti, immeritatamente detti umani.Osservatela adesso, quindi, la bimba martire ritratta su una porzione d’orizzonte.
Al contempo, rimirate il sacro bordo in rilievo sull’altra.
Capite cosa intendo? È questo che definisce il senso del viaggio comune, ora, in questo preciso istante.
Tra chi, per la sopravvivenza dei propri figli, getta alle spalle quel poco che è tutto.
E chi, per difendere un groviglio di filo spinato e pusillanimità, sacrifica tutto di quel poco d’amore per il prossimo rimastogli nel cuore.
Difatti, ci sono madri che si privano di giovinezza e serenità anche solo per donare un giorno in più al prezioso frutto cresciuto in grembo.
E altre che pensano di aver cura dei propri ragazzi, bruciando le speranze di quelli stranieri.
Esistono padri che sarebbero capaci di percorrere a piedi l’universo intero, pur di trovare un luogo capace di accogliere i propri sogni viventi, ai quali un giorno hanno donato occhi grandi e incontenibile desiderio di aprirli.
Ma, al contempo, ne esistono altri così miopi d’empatia e sentimenti da insegnare al sangue del proprio sangue che la distanza tra le genti lontane vale più delle genti stesse.
È l’attuale contraddizione.
C’è chi mette al mondo vite per donarglielo.
E c’è chi costruisce mondi senza vita.
Ci son quelli, in tanti, troppi, la cui sopravvivenza viene quotidianamente respinta dagli spigoli di un’esistenza egoista.
E ci son coloro che, allorché interrogati, si dichiarano all’oscuro delle conseguenze di parole vuote di senso e di senno.
Come sicurezza.
E identità.
Patria.
E orgoglio nazionale.
Purezza.
E confini, già.
Ebbene, sono proprio questi ultimi i figli prediletti del cosiddetto leader sovranista.
Perché è proprio questo che costui, e la società sua complice, stanno facendo, senza rendersene conto.
Dopo averli battezzati con il sangue dei poveretti di questo secolo, allattati con mammelle ricolme d’odio ormai rancido e nutriti con ottuse bugie e disumani proclami, gli hanno affidato il compito di uccidere per loro.
In altre parole, affinché l’uomo spaventato al riparo della sua casa ignori quali ignobili azioni compia il feroce guardiano al limitar del villaggio.
Eppure, ciò nonostante, ancora oggi.
C’era una volta una bambina.
E c’era una volta, altresì, una sopravvalutata riga di polvere invisibile, il cui significato dipende dalle scelte sciaguratamente già compiute, e quelle ancora possibili.
Dell’umanità intera.
La quale si trova, volente o nolente, tra soli sette anni di vita e tutte le storie e i giorni, gli amori e i dispiaceri, miliardi di attimi semplici e un’imperdibile, piccola manciata di frammenti per cui vale la pena esser nati.
Perché se il confine sarà ostacolo o ponte, tra il presente e il futuro.
Dipende da noi tutti.
Angela Giuffrida dice
Non si possono mettere sullo stesso piano madri e padri, donne e uomini dato che sono questi ultimi a sgovernare il mondo, avendo imposto con la violenza il loro sistema di pensiero come l’unico possibile. Credo che ogni uomo dovrebbe cominciare a prendersi la responsabilità di “genere”.
Cecilia dice
Non sono d’accordo. Il dramma evocato dall’articolo non riguarda solo i “governanti”, ma tutti noi, donne e uomini, madri e padri. Dietro ogni leader che attui politiche repressive nei confronti dei migranti ci sono i voti di donne e uomini, madre e padri, senza alcuna distinzione di genere. La discriminazione quotidiana nei confronti degli stranieri, a ogni livello della società, è alimentata in ogni istante tanto da donne che da uomini, madri e padri compresi, senza alcuna distinzione. Nessuno dovrebbe sentirsi escluso dal mettersi in discussione, a prescindere dal genere, ecco perché ciascuno di noi dovrebbe iniziare a prendersi la responsabilità di “essere umano”.