Nessuna poesia di Choman Hardi affoga nel dolore, ci viaggia dentro. Le Edizioni dell’Asino hanno pubblicato “La crudeltà ci colse di sorpresa”, una raccolta di poesie dal Kurdistan che racconta la lotta e l’anima di un popolo che resiste alla cancellazione della sua terra per mano coloniale e della sua memoria e straordinaria resistenza per opera dei governi degli Stati in cui stato smembrato. La fuga, l’esilio, la persecuzione nel complice silenzio delle istituzioni internazionali, almeno fino a che agitare la libertà dei Curdi non fosse servito a coprire interessi oscuri delle ciniche potenze mondiali. Niente di tutto questo è riuscito a piegare un popolo fiero delle sue montagne e della sua dignità come della lingua e dei versi che non hanno cessato di cantarlo
di Domenico Chirico
E’ stato pubblicato un piccolo gioiello, il libro “La crudeltà ci colse di sorpresa – Poesie dal Kurdistan” della poetessa Choman Hardi, Edizioni dell’Asino 2017. Un volume tradotto con arte da Paola Splendore e chiuso da una appassionata post-fazione di Hevi Dillara, attivista in Italia da anni.
Il Kurdistan, diviso tra Turchia, Iraq, Siria e Iran non esiste nelle mappe geografiche ufficiali ma esiste nelle lotte e nell’anima dei kurdi, anima che racconta di uno degli altipiani più belli del Medio Oriente, verde in primavera a perdita d’occhio. Arso dal sole d’estate. Con montagne evocative ed impervie alle sue spalle, come il Monte Ararat tra Turchia ed Iran. Altipiano abitato da donne ed uomini fieri e combattivi, che non si sono mai piegati alla cancellazione della loro memoria e identità.
I kurdi dicono che hanno come unici amici le montagne e le poesie della Hardi lo confermano tragicamente. Un popolo dimenticato, diviso e perseguitato in ognuno dei quattro stati dove è vissuto. Una lingua e una cultura negate. Dal gas di Saddam, che sterminò migliaia di kurdi in Iraq, e di cui la Hardi racconta nelle sue poesie, alle continue persecuzioni in Turchia e Siria.
C’è nel testo una breve poesia, Losanna 1923, che in poche parole racconta come fu cancellato dalla mano coloniale il Kurdistan in quell’anno. E con esso l’identità di un popolo. Ma molte altre sono le poesie dell’esilio e della fuga, degne dei migliori poeti e letterati della regione come Kanafani o Darwish.
Ci sono poesie che raccontano la vita e l’esilio della poetessa, prima in Iran e poi nel Regno Unito. E c’è la storia della sua famiglia, che è la storia di migliaia di kurdi. La storia di una persecuzione che li faceva vivere continuamente nella paura, con amici e vicini che scomparivano di continuo e non ritornavano mai. Non c’è una patria ma una continua fuga, accompagnati da un padre coraggioso che tenta di combattere l’ingiustizia e proteggere una famiglia sempre sotto assedio. Nessuna poesia affoga mai nel dolore, ci viaggia dentro. Osservandolo quasi con pudore. “A volte un viaggio è l’inizio di cento viaggi/ognuno irreversibile primo di altri piccoli viaggi/ognuno comporta cento possibilità/cento partenze./Nessun viaggio si capisce interamente”.
Oggi un Kurdistan esiste come parte dell’Iraq e chi lì ha subito l’immane e cieca violenza di Saddam Hussein, che usò il gas uccidendo migliaia di persone, ora può vivere e parlare in kurdo. Ma in Turchia sono sotto arresto tutti i politici kurdi che stavano lavorando a un’ipotesi di convivenza e dialogo. In Siria i kurdi combattono nel nord per essere autonomi dal regime di Damasco e contro Daesh/Isis. Le poesie della Hardi ci ricordano che il dramma di questo popolo è continuo. Scrive “Mio padre non ha mai avuto quello che voleva/e ancora non abbiamo quel paese che ci ha insegnato ad amare”.
Sono le terribili tecniche di annientamento di un popolo, che partono dalla distruzione scientifica dei suoi libri, della sua cultura, del pensiero critico. Come Daesh oggi, tanti altri prima hanno distrutto intere biblioteche, bruciato libri e ucciso insegnanti e intellettuali. Soggetti considerati sempre pericolosi dal potere, la cui azione è sempre sovversiva, i Kurdi hanno vissuto lo stesso destino. La poesia “I libri di mio padre” commuove nella sua leggerezza e intensità. I libri del padre della poetessa che vengono preventivamente nascosti, bruciati, seppelliti in giardino, per paura di essere dei marchi indelebili per la famiglia o di finire tutti in un rogo acceso dalle mani del persecutore.
“Era l’autunno del 1998/quando i libri di mio padre si dispersero. Uscirono dagli scaffali uno ad uno,/si ripulirono della sua firma/e si raggrupparono, scegliendo destini diversi”.
Questo piccolo libro, di una testarda casa editrice controcorrente, racconta attraverso le sue poesie il dramma dei kurdi. Racconta la ricerca di una patria, di una famiglia scomparsa, tra mille persecuzioni. E lo fa con una voce femminile che è forte, disperata e solitaria come le montagne del loro altipiano.
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